Hackmeeting 2007: Ten years nerdcore
Si è svolto proprio questo weekend la decima edizione di Hackmeeting, un
appuntamento fondamentale per la comunità digitale italiana, i cultori del
free software, gli smanettoni, i freaks della tecnologia indipendentemente
che si tratti di hardware, software o manipolazione del reale. Hackmeeting
è un'iniziativa indipendente che nasce nel 1998 e ogni anno si è proposto
itinerante in diverse città italiane, ospitato e ospite di spazi liberi e
pubblici; quest'edizione si è svolta al centro sociale Rebeldia, Pisa.
L'evento è in prima istanza una tre giorni di workshop e presentazioni che
articolano un dibattito tecnologico, profondamente radicato nella cultura
del free software e delle licenze libere. Di meeting di tecnologia e di
convegni sul software e sull'economia informatica ce ne sono in
continuazione, ma questo è un appuntamento speciale: è l'unico evento che
si occupa di queste cose in maniera critica e radicale. Hackmeeting si
riferisce esplicitamente all'approccio hacker alla tecnologia, e questo
termine seppur molto controverso nelle sue interpretazioni e stretto ad
ogni tipo di definizione sicuramente sottintende un atteggiamento proattivo
che si rifiuta di subire l'impatto tecnologico ma cerca di orientarlo.
Hackmeeting, o hackit com'è definito da chi vi partecipa, parte proprio da
questo punto, e nella propria home page parla di “tecnoindifferenza”
come la prima delle critiche da muovere al contesto sociale che verso la
tecnologia si mostra sempre più come un passivo consumatore. L'intento di
hackmeeting è stato negli anni l'aggiornamento di questa critica e del
dibattito: nel 1998 quando hackit nacque il free software era un fenomeno
ancora “di nicchia” e internet stesso era uno strumento di
comunicazione e accesso ad informazioni date ancora in diffusione. I nostri
giorni ci raccontano di milioni di persone che usano la rete per scrivere,
scambiare file, progettare, costruire, tutti i giorni e generando una
produzione insostenibile di contenuti. Le leggi sulla privacy informatica e
interventi di censura più o meno repressivi sono sempre più presenti
nell'attualità politica, tutto il mondo parla di proteggersi e sicurezza
ma nessuno s'interroga su che cosa davvero ci possa fare male. Queste sono
questioni che riguardano tutti, ma che la maggior parte di noi vive con
indifferenza, senza capire davvero cosa succede, senza farsi troppe
domande, accettando che la tecnologia cresca, migliori, si sostituisca, ci
aiuti sempre più, si faccia comprare secondo un percorso lineare in cui
tutto è scontato e determinato. Nella costruzione di hackmeeting si
esprime la voce di coloro che invece hanno domande quotidiane, dubbi e
critiche, sicuramente abilità tecniche e molta “passione curiosa”.
Hackmeeting “sviluppa e interseca le sacche di resistenza sparse nel
territorio italiano ed europeo”, come scrivono nella home, cercando di
divulgare informazioni su temi che pochi approfondiscono ma che influenzano
il quotidiano vivere di tutti gli esseri umani, attraverso un programma mai
definitivo di seminari che si succedono incessantemente nelle giornate del
venerdì e sabato. Ma come vengono organizzati i seminari, e chi c'è
dietro quest'evento?
È infatti il chi che rende cosi speciale hackmeeting. Tutto nasce in una
mailing list, che negli anni novanta venne creata come strumento di
discussione pubblico e trasversale ai nodi locali, alle situazioni, ai
linux user group e ai movimenti legati al software libero. Centinaia di
persone messe in relazione dal fitto scambio di email hanno sognato un
evento che sapesse dare forma a tutte le anime dell'underground digitale,
rispettando il valore dell'autogestione e dell'autoproduzione, un evento
che fosse pubblico e che nella sua concretezza e fisicità potesse aprirsi
alle connessioni con l'esterno e con le città. La lista è rimasta negli
anni il centro organizzativo dell'evento, vi partecipano centinaia di
persone e la gestione degli aspetti logistici è condivisa nel contributo
di tutti (o molti). Il resto lo fa tutto la partecipazione: gli spazi
vengono trasformati per fare posto al lan space, il cuore attivo e connesso
di hackit, uno spazio con prese elettriche e di rete che possa accogliere
le centinaia di persone che attraversano la tre giorni. Ogni anno un posto
diverso, una volta il lan space è uno stanzone da quattrocento persone
sedute ai tavoli e cumuli di cavi di ogni genere che si intrecciano sopra
le teste, in altri casi stanze più piccole e cavi che trapassano i muri.
Anche gli spazi dei seminari vanno preparati, servono teli, proiettori,
rete, sedie. In lista ci si organizza su cosa portare, su chi sa fare cosa,
chi può venire prima a pulire gli spazi e montare la rete.
L'infrastruttura di rete è un aspetto interessantissimo di hackit: non
tutti i posti che ospitano hackit hanno contratti per la connettività ad
internet, questa va quindi trovata e messa a disposizione di centinaia di
persone. La si costruisce, ogni volta, pezzo per pezzo: i server, il dns,
il gateway, la configurazione delle reti, lo shaping della banda per non
abusare di download ma sfruttare le risorse interne. Parole che sono oscure
ai più ma chi ha un minimo di conoscenza di reti può apprezzare l'atto
creativo che l'installazione della rete rappresenta per l'evento. E
l'accesso è semplice: arrivi, entri con una sottoscrizione libera e ti
imbatti subito nel primo computer (con annesso “hacker” alla tastiera)
che, se ti serve, ti assegna un indirizzo per poterti connettere alla rete.
I dischi del lan space sono potenzialmente tutti in condivisione, e questo
rende frenetica e divertente l'attività di scambio che scorre parallela ai
seminari per tutta la durata dell'evento. Hackmeeting vive tre giorni senza
sosta e c'è sempre qualcuno sveglio e qualcuno addormentato sulle
tastiere. Si dorme ospiti dello spazio, sacchi a pelo e spartanità ma è
davvero un'esperienza a cui va concesso di arrivare sottopelle. Tutti
possono partecipare iscrivendosi alla lista, proponendo seminari o
semplicemente facendosi un giro. Il giorno conclusivo della domenica è
dedicato ad un'assemblea plenaria di tutti i partecipanti che è, oltre che
momento per i felici scambi per la buona riuscita che non è mai stata
smentita, il tavolo della discussione della comunità stessa, il rilancio
all'anno successivo e il momento per delle valutazioni complessive nel
merito stesso del dibattito tecnologico. Si ritorna tutti a casa, e in
lista, pensando all'hackmeeting successivo e continuando a resistere nel
conflitto tecnologico quotidiano.
L'atmosfera dell'evento è in effetti qualcosa di unico, un momento fluido
di cooperazione creativa. Mille persone che si autogestiscono dimostrano
una certa complessità, e in ogni caso una certa bellezza: computer con
case autocostruiti in legno, computer nelle valige, negli acquari, la
costruzione di antenne dalle lattine dei pomodori, riciclare i componenti
elettrici per generare musica sono solo alcuni esempi delle stravaganze dei
punti di vista che compongono hackmeeting. Quest'anno si è parlato di
licenze software e sistemi di anonimato, di numeri primi, di sicurezza
delle reti telefoniche, ma anche di scienza e alimentazione. La presenza
massiccia e creativa dei computer è sicuramente l'aspetto estetico e
folcloristico più caratteristico di hackmeeting, non tanto per i pc ma per
la non organizzazione con cui possono essere disposti, e il groviglio di
cavi e dispositivi che da essi deriva. Ma hackmeeting non è un evento di
tecnologia informatica, bensì aperto e accogliente nei confronti degli
approcci radicali a qualunque sistema tecnologico: non stupitevi di chi si
porta il saldatore, le brugole, componenti elettroniche, hardware riciclato
di ogni genere, vecchie lattine e pezzi di fil di ferro, e perché no
matterello e ciotole di porcellana. I seminari sono “aperti al pubblico e
gratuiti, in cui si parlera' di tecnica ma anche di politica. Porteremo
avanti il discorso sui diritti digitali, sulla scelta del software libero,
l'opposizione alla logica dei brevetti e del copyright tradizionale, la
costruzione di server autogestiti, lo studio e la sperimentazione di fonti
energetiche pulite, i risvolti dell'uso sociale delle tecnologie e
dell'incontro tra tecnologie e sessualita', i problemi legati al lavoro in
campo informatico, l'autodifesa della propria privacy, lo studio dei
dispositivi di controllo e di sorveglianza, la resistenza alla
censura”.L'hacktivism, lo si legge nel manifesto ma lo si respira vivendo
l'evento, è un'attitudine: trasformare, manipolare, usare la tecnologia
per rispondere ai propri desideri, “Il nostro essere 'hacker' si mostra
nella quotidianità anche quando non usiamo i computer, si mostra quando ci
battiamo per far cambiare le cose che non ci piacciono, come l'informazione
falsa ed imposta, come l'utilizzo di tecnologie non accessibili e costose,
come il dover recepire informazioni senza alcuna interattività e il dover
subire da spettatori l'introduzione di tecnologie repressive e censorie.
Siamo sinceramente spaventati dalla velocità con la quale la tecnologia
viene legata a doppio filo al controllo sociale, alle imprese belliche, ad
una malsana e schizofrenica paura del proprio simile: il nostro approccio
è diametralmente opposto”.
In questo contesto hanno trovato spazio quest'anno seminari tecnicissimi
sul codice, discussioni su sistemi avanzati di sicurezza, workshop di
elettronica cosi come interventi di più generale interesse sull'aspetto
sociale delle tecnologie, sull'aggiornamento in materia di privacy. Non
sono mancati degli ospiti internazionali, un seminario critico sulla
scienza, sulla sua libertà e autorevolezza che ha generato un dibattito
sul futuro dell'attivismo che bussa alle porte dei laboratori. E, armati di
ciotole e matterello, un workshop sul pane, che con i suoi ingredienti e il
forte legame con la terra e la cultura tradizionale è stato una buona (e
golosa) scusa per riflettere di copyright sui semi, acque privatizzate,
saperi perduti e riappropriazione del tempo lungo e del tempo della
produzione come forma di hack della vita dei consumi.
Il lan space di Rebeldia è stato ospitato nel salone concerti. Telo da
proiezione con un vj collettivo: connettendosi ad un certo computer sulla
rete era possibile proiettare quanto voluto su uno degli otto terminali
video che venivano trasmessi contemporaneamente dal proiettore. Si sono
viste righe di codice scritte pubblicamente, autoproduzioni video, film,
sessioni di vjing, tutto in un flusso di immagine senza sosta,
particolarmente apprezzato durante la notte del sabato che si è conclusa
con frenetiche danze elettroniche e screening di ogni genere. Hackmeeting
è un evento anche divertente, e a suo modo poetico, nel suo essere
tecnofeticista e libertario allo stesso tempo. Tra le note elettroniche non
è tra l'altro mancata una nota a suo modo romantica, al massimo delle
casse gli hacker che cantano la canzone di capitan Harlock, eroe
dell'immaginario pirata e della libertà della trasformazione. È stato un
ottimo sottofondo per la celebrazione di questo decimo appuntamento che
cade completamente attuale su alcune importanti questioni socio/tecniche.
Controllo e interventi restrittivi delle libertà digitali sono al centro
della riflessione: la profilazione degli utenti sempre piu' sofisticata
resa possibile dalla mole di informazioni che mettiamo in rete con gli
strumenti di social software, i sistemi di sorveglianza e biometrici sul
controllo delle persone, il vincolo a sistemi software proprietari e le
battaglie contro la pirateria, la questione sicurezza e privacy che dal
dominio delle email e dei contenuti testuali si sposta ora su quelli
multimediali e i servizi telefonici che si basano sulla rete digitale.
L'innovazione tecnologica ci pone di fronte sistemi sofisticati di cui non
è accessibile alcuna profonda comprensione da parte dell'utente finale; il
data retention mappa le nostre vite raccogliendo informazioni dai telefoni,
le carte di credito, le tessere del supermercato, le carte bancarie, i
telepass, le tessere del blockbuster, il tuo provider, etc. In Germania lo
scorso week end si è svolta una manifestazione da ventimila persone contro
la politica della sorveglianza dei comportamenti nel mondo delle
telecomunicazioni, a svantaggio di tutti i cittadini (
http://www.vorratsdatenspeicherung.de/content/view/142/1/ ). Contro, in
sostanza, l'atteggiamento politico che ritiene la libertà negoziabile con
l'innovazione tecnologica, e che chiama “sicurezza” il freddo mondo
artificiale in cui ciò che veramente perdiamo con la tecnologia è
l'esistenza di umani dietro ad essa. lo spettro del tecno controllo è
sicuramente nell'orizzonte di chi parla di tecnologie libere e di come è
fatta davvero la tecnologia che viviamo. Ma c'è un orizzonte ancora piu'
lontano e significativo per hackit, che è quella della battaglia dei
saperi pubblici e dello scambio della conoscenza, di qualunque tipo,
soprattutto se creative, inusuali e non allineate come quelle che vengono
messe in gioco durante i tre giorni. Sicurezza è conoscenza, non
controllo. È fiducia e non isolamento. Su queste premesse si basa la
comunità degli hackmeeting e il loro sapere pubblico a cui siamo invitati
ad avvicinarci.