L'altro 11 settembre a Santiago sembra una giornata come tutte le altre. C'è
il sole, è quasi primavera. Un giornale dice che per sicurezza le università
più turbolente oggi stanno chiuse. Ma per chilometri e chilometri nelle strade
commerciali del centro la gente va per fatti suoi, negozi e passeggiate. Non ci
sono manifesti né altri segni. Si avvicina il 18 settembre, grande festa
nazionale, e lungo weekend di ponte. A tre isolati dalla Moneda, il palazzo del
governo dove fu assassinato Allende, incrocio un piccolo corteo: bandiere
rosse, della pace, arancioni, slogan (uniti possiamo, uniti vinciamo). Dietro
di loro, la polizia chiude le transenne: non si passa,
alla Moneda non si può avvicinare nessuno. Polizia dappertutto, dovunque
transenne. Intorno, zona pedonale e negozi, ordinaria amministrazione.
Faccio il giro e sbuco sulla larga avenda O'Higgins, e mi trovo in pieno stato
d'assedio. Furgoni militari che paiono enormi, camionette, blindati, plotoni
schierati, poliziotti a cavallo, e gruppetti di ragazzi con passamontagna e
maschere antigas. Faccio qualche foto, registro qualche slogan. Sembra che non
stia succedendo niente, non c'è corteo. Improvvisamente i ragazzi prendono a
correre come se avessero visto qualche cosa. Ho i riflessi meno
pronti e resto solo io al bordo dell'avenda. Prima di fare in tempo a girarmi
mi investe un getto di acqua intrisa di lacrimogeni e mi ritrovo per terra,
accecato e bagnato fino al midollo, Mi pare che passi un tempo lunghissimo
prima di sentire voci intorno a me, gli occhi non li riesco ad aprire, poi
qualcuno mi aiuta a tirarmi su, sono preoccupatissimo che la caduta e l'acqua
mi abbiano rovinato il prezioso registratore, mi passano scottex e limone e
finalmente ricomincio a vedere. Qualcuno ritrova i miei occhiali - con gli
occhi accecati non mi ero neanche accorto di non averli addosso. Sono l'unico
che è stato beccato; forse peché i ragazzi sono scappati prima, forse perché
quello che gli dava più fastidio era una persona dall'apparenza normale che li
fotografava. Come che sia, sono circondato da decine di registratori, macchine
fotografìche, telecamere, taccuini: ero venuto con l'idea di intervistare,
finisco intervistato. Comunque, sanno quasi tutti che cos'è il manifesto.
Ricomincio ad andare in giro, gli occhi tornano a posto, basta non strofinarli
(la ragazza dell'internet point dove vado a scrivere, come entro, dice: «Che è
questa cosa acre?» (la puzza del lacrimogeno ce l'ho ancora addosso, due ore
dopo), mi avvicino alla Moneda, circondata da tre file di soldati, poi dietro
le transenne un'altra fila di cavallerizzi da guerra. Vedo tre signore coi
fiori rossi in ma-no, a colpo sicuro gli chiedo se sanno dov'è il monumento ad
Allende (non c'era ancora l'altra volta che sono stato qui). Ma non si passa.
Provano a negoziare coi militari, mostrano non so che tesserini, niente da
fare. «Siamo in dittatura» dice la più giovane. Esagera parecchio, ma insomma
certe cose te le tirano. Certo che se per commemorare il gol¬pe e il potere
militare volevano darci un'idea di che cosa succedeva in quelle strade quel
giorno, un poco ci sono riusciti.
Rifaccio il giro, con un gruppetto di sbandati incalzati dai soldati a
cavallo: «Circolare, circolare!». Torno alle transenne dall'altra parte adesso
che il corteo è passato la polizia è un po' più rilassata. Faccio il turista
inge¬nuo che non sa dove si trova e mi fanno passare. Il monumento è coperto di
fiori e di inserti floreali con le insegne dei partiti e delle organizzazioni.
La cerimonia ufficiale c'è stata la mattina, quindi adesso siamo poco più di un
capannello. La statua non è bellissima, d'altra parte come si fa a fare un
monumento a un'icona dell'antiretorica? Due signore conversano: «Ti ricordi
quant'era bello? Nessuno aveva fame, eravamo tutti coinvolti)» «E la cultura? E
la musica? Adesso la democrazìa c'è, ma non è quella di allora, e non è quella
che sognavamo». Partono gli slogan, echi di un altro tempo, el pueblo unido ja-
mas sera vencido, rituale di resistenza e memoria, se stente, se stente,
Allende està presente. Cantano un po' stonati una solenne canzone patriottica.
Si alzano pugni chiusi. Le due signore compagne mi danno appuntamento a Villa
Grimaldi, luogo storico della repressione, dove i pinochettisti hanno torturato
e ammazzato migliaia di persone, ci sarà una cerimonia con discorsi e musica;
poi allo Stadio Nazionale, ad accendere candele.
Villa Grimaldi non è facile da trovare (provarci coi mezzi è un'odissea)
persino a pochi isolati di distanza la gente dice di non averla mai sentita
nominare. Alla fine mi affido a un tassista peruviano che neanche lui sa dov'è
ma armeno sa che cos'è e simpatizza, Arri¬vo e la gente sta entrando alla
spicciolata. La Villa Grimaldi è un posto bellissimo, verde, ampio. Adesso è un
parco della pace e della memoria. Steli bianche portano i nomi delle vittime,
sovrastate da una frase di Mario Benedetti: l'oblio è pieno di memoria.. Parole
sante. C'è un gran silenzio, anche se la gente continua ad arrivare, e il
silenzio è sottolineato dalle candele che a mano amano si vengo¬no accendendo.
Vedo una famiglia, con due bambini che reggono candele, che si avvici¬na al
muro curvo dove pure sono incisi i nomi - mi domando se hanno qualcuno lì. A
mano a mano che scende la sera le candele e il silenzio crescono, attorno alla
piccola sala della memoria con una parete di fotografie e cassetti aperti con
gli oggetti ritrovati di alcune delle vittime. È un silenzio intènso come un
momento sacro, anche se non ci sono segni religiosi. La musica non è niente di
speciale, ma le persone l'ascoltano assorte, sedute intorno con le candele in
mano.
Il tassista peruviano mi ha detto di non re¬stare da queste parti dopo le
otto, è pericolo¬so, e mi ha dato appuntamento. Sono troppo stanco e sbattuto
per andare allo Stadio Nazionale, e chiudo così questo altro 11 settembre.
Questo è quello che ho visto. Poi mi alzo la mattina, leggo i giornali:
scontri tutta la notte nelle poblaciones povere della periferia, assalti ai
commissariati, un poliziotto ferito grave, morirà più tardi (saccheggi,
sparatorie, vetrine e macchine sfasciate). Par che la polizia sia stata
sorpresa dal livello di organizzazio¬ne, anche se dicono i giornali che negli
anni precedenti era peggio. Insomma tutto si può dire meno che si tratti di una
città pacificata e tranquilla.
Un cardinale ieri ha benedetto il sacrario che l'esercito sta erigendo a
Pinochet. Il compagno che mi era venuto a prendere all'aeroporto la mattina mi
aveva detto: nonostante tutto, nel profondo di questo paese, Pinochet non è
stato sconfitto.
Alessandro Portelli (fonte. "Il manifesto 13/09/07)
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Non potendo rafforzare la giustizia si è giustificata la forza B. Pascal
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Ugo Beiso