[NuovoLab] Strage di Duisburg . Oltre i luoghi comuni : che …

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Autore: brunoa01
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CC: aderentiertecontrog8
Oggetto: [NuovoLab] Strage di Duisburg . Oltre i luoghi comuni : che fare ?
Strage di Duisburg . Oltre i luoghi comuni : che fare ?

Molti calabresi che vivono in questa regione e tanti altri che vivono nel resto del mondo, a partire dalla Germania, si sono sentiti schiacciati, umiliati , annichiliti dalle immagini e dai commenti della strage di Duisburg.
Una strage di ‘ndrangheta fuori della Calabria non si era mai verificata , ed anche all’interno di questa regione , anche nei momenti più cruenti delle guerre tra i clan non aveva mai raggiunto queste dimensioni : sei persone, giovani, sterminati in un solo agguato.
I commenti dei mass media hanno ripreso la casetta degli attrezzi che hanno a disposizione, ed hanno partorito i clichè che conosciamo .
Non credo che possiamo ancora una volta rispondere dicendo che la Calabria non è solo ‘ndrangheta- fatto inconfutabile ed ovvio – o che la presenza di questa criminalità organizzata dipende dalla assenza dello Stato e da un mancato sviluppo di questa regione.
Queste risposte , pur contenendo alcuni elementi di verità, ci portano fuori strada e ci consegnano alla retorica della politica , ai riti mediatici che si ripetono ogni volta che un fatto di sangue targato ‘ndrangheta si ripresenta. In più, trattandosi di San Luca, di un paese dell’Aspromonte, un po’ di folclore e di antropologia della domenica non guasta e si vende bene.
Di fronte alla strage di Duisburg , a questo straordinario salto di qualità, dobbiamo avere il coraggio di guardare dentro la nostra storia , la nostra società .
Per prima cosa dobbiamo sgombrare il campo da alcuni luoghi comuni, etichette, pregiudizi che ci impediscono di vedere quali siano le coordinate della questione criminale in questa regione, e non solo.
A partire dalla categoria della < faida> che è stata incautamente rispolverata.
La faida è una forma di vendetta su base familiare che è stata presente in tutto il mondo Mediterraneo , soprattutto nelle aree con predominanza della pastorizia, e che è ancora oggi praticata in alcuni villaggi del nord dell’Albania e del Kossovo (dove si chiama gjakmarrje ed è legata all’antico codice del Kanun) ed il alcune aree montagnose del Maghreb.
In passato, negli anni ’60 e ’70, sono state giustamente definite faide quella di Ciminà, di Seminara e di Cittanova , in quanto la catena delle vendette , innescata spesso da futili motivi , aveva questo codice che è legato ad una tradizionale difesa dell’onore e del prestigio delle famiglie, e certamente del potere su un determinato territorio.
Lo scontro tra i clan dell’area metropolitana reggina –dopo l’assassinio di Paolo De Stefano – non fu mai definito faida , anche se in pochi anni portò a più di settecento morti ammazzati su una popolazione di circa trecentomila abitanti.
Fu una vera e propria guerra per il predominio sul territorio reggino e che fu conclusa con una pax mafiosa determinata dalla mediazione di politici locali e capibastone venuti da fuori per porre fine ad una guerra che stava mettendo in crisi lo sviluppo dell’economia criminale legata al traffico internazionale di droga.
Ed è questo il nodo centrale che lega la strage di Duisburg alla Calabria : si tratta di uno scontro violento , che potrà sfociare come in passato in una vera e propria guerra per il controllo dei grandi affari legati al mercato mondiale della droga.
Così come ci sono le guerre per il controllo dei pozzi petroliferi e i grandi oleodotti- come è stata la guerra contro l’Irak- così come si combatte da anni una sanguinosa guerra nella regione dei Grandi Laghi nel cuore dell’Africa subsahariana , per il controllo dei diamanti , uranio, ecc.
Se è vero che il giro d’affari della ‘ndrangheta arriva a 35 miliardi euro l’anno ( anche se è una stima che andrebbe meglio verificata), vale a dire poco meno del prodotto interno della regione Calabria e molto vicino al fatturato di Fiat auto, con la differenza che il margine di profitto è decisamente più alto , allora è da questo dato che dobbiamo ripartire.
Dobbiamo prendere coscienza del fatto che, ci piaccia o no, la Calabria ha intrapreso da decenni una via criminale allo sviluppo con tutte le sue conseguenze .
Come altre regioni del nostro Mezzogiorno, come altri paesi del mondo –piccoli come il Montenegro, il Kossovo, o grandi come la Russia di Putin e la Colombia dei narcotraficantes.
Lo specifico calabrese sta nelle dimensioni di questa regione , nella sua fragile struttura produttiva e nel peso abnorme della spesa pubblica e dell’economia criminale. E’ una questione di numeri e di proporzioni .
L’economia non assistita e non criminale ha un peso marginale in questa regione e questo ha determinato un mutamento qualitativo nella gestione del potere.
Dalla seconda metà del ’900 , progressivamente una nuova classe sociale ha fatto la sua scalata al potere sostituendosi all’aristocrazia ed alla borghesia produttiva e, soprattutto , commerciale.
Questa nuova classe sociale , che il procuratore generale Grasso ed uno esperto come Umberto Santino definiscono da anni <<borghesia mafiosa>>, ha conquistato il controllo di vasti territori in tutto il mondo, e controlla in molti paesi anche le istituzioni formalmente democratiche. Questa è la portata dello scontro che , come sostengono due studiose dello spessore di Felia Allum e Renate Siebert mette in discussione la stessa democrazia (Organized Crime and the Challenge to Democracy, London,2003) .
Anche in paesi insospettabili e di grandi tradizioni civiche e democratiche come la Svizzera (vedi Jean Ziegler, Les seigneurs du crime, sulla potenza della mafia russa nel paese della banche al cioccolato) il peso crescente della borghesia mafiosa fa tremare le istituzioni.
Figuriamoci in Calabria !
Se questi sono i termini della sfida non possiamo evitare la domanda : che fare ? e chi ha la responsabilità del fare ?
Il prof. Aldo Maria Morace, presidente della Fondazione Alvaro , ha avanzato una proposta precisa : portare i rappresentanti del governo e dell’opposizione a San Luca per arrivare a finanziare un grande progetto che dia la possibilità di scelta ai giovani che non sono entrati nelle file dell’esercito criminale di riserva e che non vogliono lasciare la Calabria (e ci vuole un bel coraggio).
Mi sembra una proposta concreta e che va nella direzione giusta, che è quella , a mio avviso , di allargare l’area dell’economia non criminale , di offrire delle alternative ,anche culturali , di identità , a chi vive in questa terra.
Naturalmente bisogna evitare che i fondi pubblici servano a finanziare imprese mafiose , e questo non è semplice , ma si possono trovare delle strade innovative se si scelgono anche con intelligenza i settori su cui intervenire. Certamente una via d’uscita non è quella indicata da Veltroni –trasferire alle Prefetture la gestione delle gare d’appalto sopra i 100.000 euro- perché si allungherebbero in maniera insopportabile per tutti le lungaggini burocratiche.
Ma, dando un maggiore spazio al terzo settore , all’associazionismo ed alle piccole imprese si possono innescare meccanismi che vadano nella direzione sopraindicata.
Tutto questo naturalmente è una goccia nel mare se lo Stato continua a mantenere le sue strutture –a cominciare dagli uffici giudiziari- prive di mezzi ed uomini adeguati, se la classe politica nazionale continua a parlare di <<emergenza Calabria>> , come fa con la cosiddetta <<emergenza incendi>>, vale a dire : passato il fuoco tutto torna come prima .
Se, soprattutto, la borghesia del nord Italia e del resto d’ Europa , il sistema bancario e finanziario, gli opinion makers non hanno il coraggio di rompere con la borghesia mafiosa che porta denaro fresco nei loro territori.
Perché la strage di Duisburg lancia un messaggio preciso : non ci sono più zone franche per lo scontro tra le organizzazioni della borghesia criminale.
Finora le grandi famiglie del capitale industriale e finanziario, la classe politica di Bruxelles o Berlino o Milano hanno lasciato fare, hanno accolto questi ingenti capitali grondanti di sangue facendo finta di non sapere.
Adesso devono dimostrare che non sono complici.


                  Tonino Perna Sinistra Euromediterranea



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