Le ondate migratorie e la crisi del Noràppero
di G.M.Bellu su Repubblica.it 13 maggio 2007
Un fantasma si aggira per l'Italia, il fantasma del "Non sono razzista,
però". Basta una semplice verifica su un motore di ricerca come Google per
averne la prova. Si digita 'razzista', in italiano, e vengono fuori poco
meno di ottocentomila documenti, quindi si scrive 'racist', in inglese, e si
hanno quasi ventitré milioni di documenti. Dunque, nel web, per ogni
'razzista' abbiamo venticinque 'racist'.
Ma se si ripete lo stesso esperimento con l'intera locuzione "Io non sono
razzista però" in italiano e in inglese (per scrupolo di ricerca in più
varianti: 'I am not a racist but', 'I'm not racist but' etc), si hanno circa
diecimila documenti per le versioni italiane (con "però" o con "ma") e circa
cinquantamila per le versioni inglesi. In definitiva, se per ogni 'razzista'
abbiamo venticinque 'racist', per ogni 'Non razzista però' abbiamo solo
cinque 'Not racist but'.
Considerando l'enorme diffusione dell'inglese rispetto all'italiano nel
mondo e in particolare nel mondo del web, si può affermare che il 'Non
razzista però' (che da questo momento in poi, per esigenze di sintesi,
chiameremo 'Noràppero') è una figura caratteristica del Belpaese. E questo
fa ritenere che le ragioni della sua diffusione vadano ricercate in quei
valori di solidarietà e di tolleranza che hanno formato buona parte degli
italiani nelle parrocchie come nelle sedi dei partiti di sinistra. Il
razzismo ne è la negazione assoluta e il "non essere razzisti", più che un
valore guida, è una condizione di appartenenza. L'idea è che si nasce "non
razzisti". Ancora oggi, alla domanda secca: "Lei si considera razzista?" la
stragrande maggioranza di noi risponde con decisione "no".
Anche per questo non esiste un modello assoluto di Noràppero. Ci sono
Noràpperi in tutte le classi sociali. Noràpperi ricchi e poveri, colti e
incolti. Ci sono Noràpperi di sinistra, di destra e di centro. A volte è
possibile distinguerli dall'enfasi con cui pronunciano la prima e la seconda
parte della frase. Il Noràppero di sinistra di solito scandisce la prima
parte ("IO NON SONO RAZZISTA) e sussurra il "però" mentre quello di destra
fa il contrario, bisbiglia la premessa e declama la conclusione.
Presenti in modo sporadico fin dagli anni del boom nelle prime comitive dei
turisti esotici ("Io non sono razzista, però quell'albergo di Marrakesh era
sporco"), i Noràpperi sono diventati un fenomeno di massa alla fine degli
anni Ottanta con l'inizio dei grandi flussi migratori. All'epoca, la
congiunzione avversativa era indirizzata ai polacchi, in seguito scalzati
dagli albanesi, che oggi vedono il primato insidiato dagli eterni rom.
I 'però' del Noràppero sono molto sensibili alle vicende di cronaca, ai
sentimenti dominanti nell'opinione pubblica e anche alle esperienze
personali. Quale fu il primo? Verso la fine degli anni Ottanta a quel
semaforo? ("Io non sono razzista, però se il parabrezza è pulito il polacco
non deve lavarlo") o a metà degli anni Novanta? ("Io non sono razzista, però
davvero non si sa più dove mettere questi albanesi").
Il ritmo geometrico della loro proliferazione, ha introdotto i 'però' anche
in proposizioni dov'erano superflui: "Io non sono razzista, però la legge va
rispettata". Come se non fosse vero il contrario, che è il razzista a non
rispettare la legge, quella fondamentale, la Costituzione. O anche in
situazioni dove il razzismo non c'entra nulla, come quando lo si confonde
con la normale irritazione nei confronti di un giovane maleducato che non
cede il posto sull'autobus, se il maleducato è un nero.
Alla fine è accaduto l'inevitabile: la rivolta delle avversative abusate.
Stanche di vagabondare senza meta, esasperate dal precariato semantico,
hanno deciso di mettersi assieme e quindi di dissolversi, come le lampadine
di una luminaria che decidono all'improvviso di spegnersi. Se ne sono
andate, lasciando un solo rappresentante. Un enorme "però". Così il
Noràppero ha visto con sgomento comporsi la sintesi beffarda di quella
eterna premessa e delle sue contraddittorie e disomogenee conclusioni:
"Io non sono razzista, però... sono razzista!".
Sbigottito - in particolare se colto e di sinistra - ha reagito a questo
schiaffo al principio di non contraddizione nell'unico modo che gli è
sembrato possibile: con un doppio salto carpiato nel tempo.
"Io non era razzista, però - aiuto! - sto diventando razzista".
In questo modo ha creduto di salvare il suo 'non razzismo' infuso,
originario. Quello coltivato, ma mai verificato, nell'oratorio, nella
sezione di partito, nelle buone letture e nei buoni film. Il Noràppero - che
è tuttora uno dei più strenui difensori dei diritti civili degli
afroamericani - ricorda con struggente nostalgia i bei tempi in cui si
commuoveva per Martin Luther King e per Kunta Kinte e, quando usciva di
casa, se proprio gli andava male, al massimo s'imbatteva in un sardo o in un
calabrese ("Io non sono razzista, però perché i sequestri li fanno sempre
loro?").
L'acrobatica riconciliazione con la coscienza e con logica aristotelica, ha
poi creato un nuovo problema. Il Noràppero, infatti, ora è costretto a
domandarsi: "Se io - che non lo sono mai stato - sto diventando razzista,
che ne sarà del resto del paese che, diciamocelo, è molto meno colto e
tollerante di me?".
L'angoscia personale è diventata universale e sono scoppiate le prime lotte
intestine. I Noraàperi delle periferie sbeffeggiano i Noràpperi delle classi
medio-alte: "Doveva arrivarvi lo zingaro sotto casa. E quando li avete
spediti a Tor di Nona andava tutto bene?".
La crisi del Noràppero è ormai drammatica.
Si può fare qualcosa? C'è una salvezza per il Noràppero: per il Noràppero
che si nasconde in ognuno di noi? Chissà. Ma, quando ci si perde in un
labirinto, bisogna ripartire dall'ingresso. Forse all'origine di tutto c'è
stato un errore di presunzione: l'essersi proclamati 'non razzisti' quando
mancava la materia prima per mettere alla prova la saldezza delle nostre
convinzioni. E anche un errore di metodo: aver abusato del termine
associandolo a vicende diverse (una lite sul tram e uno stupro, una
discriminazione e un banale sgarbo) e aver conseguentemente abusato dei
"però" e dei "ma" fino a farne un intercalare meccanico e sciatto. L'aver in
definitiva abbandonato quel metodo di analisi della realtà che in gioventù
aveva consentito a noi Noràpperi di non sentirci migliori ma solo più
fortunati dei nostri coetanei devianti dei quartieri ghetto. L'aver
dimenticato che la fatica di comprendere il mondo, di ricomporne la
disgregazione in un moderno 'conosci te stesso', tutta quelle buone cose che
il Noràppero giovane ha letto in Gramsci, consiste soprattutto nella
capacità di distinguere e di discernere nel proprio tempo.
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Date: Mon, 20 Aug 2007 19:49:05 +0200 (CEST) > From: viviciclica <vivyciclica@???>
> Subject: [cm-Roma] tutti in galera- riflessioni antropologiche
> To: "lista cm-roma. " <cm-roma@???>
> Message-ID: <421945.78819.qm@???>
> Content-Type: text/plain; charset="iso-8859-1"
>
> tralasciando il resto della questione, che non mi va di impelagarmi nel
> pantano, mi soffermerei su un particolare.
>
> Valerio <val.marle@???> ha scritto:
>
> >E' la razza italica che non va
>
> e rivolgo a voi una domanda/ riflessione , miei illustri ospiti.
>
> per quanto l'abbia dichiarato io stessa, e a lungo , e per una serie
> infinita di argomenti, che sò gli italiani che non vanno, ultimamente sto
> rivalutando la cosa.
> perchè se è lecito dire peste e corna degli italiani come popolo, allora è
> lecito dirlo anche per le minoranze regionali- mi spiego: io salto sulla
> sedia ogni volta che sento dire che i siciliani so' mafiosi, i napoletani
> ladri e via dicendo; e finchè son luoghi comuni, vabbè.
> ma quando mi vengono a dire che la mafia prospera in certe regioni perchè
> c'è un "humus" favorevole, allora mi incazzo.
> come a dire che è la cultura stessa che è bacata, che è un modo di fare,
> un modo di vivere, ed è per questo che certe organizzazioni prosperano.
> "altrimenti perchè in altre regioni non è così?"
> e insomma via citando.
>
> mi ritrovo a corto di argomenti ogni volta che intavolo questo tipo di
> discussione, mi dico ogni volta che non è così, non può essere così, che più
> terrona :) di me ce ne so pochi eppure io non faccio parte di nessun humus
> del cazzo e mi sento una persona corretta e rispettosa degli altri come
> qualunque altro,a mia concittadino,a.
>
> epperò so' la prima a dire che negli italiani c'è qualcosa che non va. a
> proposito del rispetto delle regole, degli altri, del senso di
> responsabilità nei confronti del proprio lavoro ( leggi : lavori statali )e
> tante altre cose.
>
> ma il filo logico è lo stesso no?
> non posso indignarmi quando sento che i nap ( ci chiamano così, sapete?)
> son cafoni e allo stesso tempo dire che gli italiani sono incivili.
>
> superando l'obiezione della generalizzazione , che in questo caso è
> scontata, mi chiedo quale sia la soluzione.
>
> in realtà sto chiedendo se in questo congresso c'è qualche luminare di
> antropologia, e , nel caso ci fosse, se esiste qualche teoria sui tratti
> comuni delle popolazioni, o insomma roba del genere, per sapere se mi devo
> rassegnare a sentire storiacce sul conto della gente del sud oppure se potrò
> alzarmi trionfante dal tavolo e proclamare:
>
> state dicendo una marea di stronzate.
>
>
> grazie,
> viviciclica
>
>