[NuovoLab] Le armi italiane fanno boom: +61%

Nachricht löschen

Nachricht beantworten
Autor: Edoardo Magnone
Datum:  
To: forumgenova
Betreff: [NuovoLab] Le armi italiane fanno boom: +61%
Pacifismo governativo schifoso! I vari "Bertinotti & Co." (mettiamoci proprio
tutti, da lor signori ad i vari bacia-anello-presenti-in-ogni-dove!) se davvero
vogliono provare a riciclarsi un'altra volta non sara' di certo sufficiente
imbelletarsi con del rosso "bel-tempo-si-spera" per poter ripetere le solite
"filastrocche-simil-ninne-nanne" durante le manifestazioni
pro-(contro?)-governative... ci vuole una nuova legge ad personam che li salvi
tutti!!!
Una legge ad hoc urgente del tipo "Come favorire il cambio di nome dopo aver
mutato i connotati fisici".

Cordialmente,
Edoardo Magnone

PS. Non vorrei aver offeso i vari "& Co" ma leggendo l'articolo allegato viene
davvero tristezza!


------------------------------------------------

14/8/2007 (7:20)
Le armi italiane fanno boom
L'export a più 61% nel 2006

Anno da record, il governo ha autorizzato vendite per 2 miliardi. Tra i clienti
le zone calde del mondo: Cina, Colombia, Nigeria

MARCO SODANO
TORINO

L’Italia vende armi in tutto il mondo. Armi italiane per la Nigeria squassata
dalla guerriglia del petrolio tra il governo e il Mend, il movimento per
l’emancipazione del delta del Niger: questi hanno rapito un centinaio di
tecnici delle società petrolifere nell’ultimo anno, quelli non vanno per il
sottile. A Lagos, nel dicembre 2006, le truppe governative hanno stroncato nel
sangue la rivolta dei «ladri di benzina», disperati che avevano preso d’assalto
un deposito per rivendere il carburante al mercato nero. Almeno cento morti.

Il clima scotta, ma nel 2006 l’industria bellica nostrana ha ricevuto dal
governo il via libera a vendere alla Nigeria armamenti per 74 milioni di euro,
aeroplani e armi pesanti. D’altronde gli interessi italiani nell’area sono
imponenti: l’Eni estrae 160mila barili di greggio al giorno.
Armi italiane - munizioni, missili, navi da guerra, armi leggere e pesanti - per
India (spenderà 66 milioni) e Pakistan (ordini per 39,7 milioni). I due paesi
combattono da mezzo secolo per il controllo del Kashmir, hanno schierato sul
confine un milione di soldati e si scambiano minacce reciproche a base di
missili nucleari. La repressione del governo di Dheli nel Nordest del paese ha
fatto 10mila morti negli ultimi 10 anni.

Compra armi italiane - con il placet del governo - anche la Colombia. Non fa
punteggio il fatto che tanto l’esercito regolare quanto le Farc (le forze
armate rivoluzionarie), mandino in prima linea i minorenni e che il conflitto
sia costato almeno 300mila vittime. Armi italiane per gli Emirati Arabi Uniti:
nella lista della spesa del paese che ha messo fuorilegge la schiavitù solo nel
novembre 2006 «bombe, siluri, razzi, missili ed accessori, navi da guerra,
apparecchiature per la direzione del tiro, armi e sistemi d’arma e munizioni,
aeromobili» per 338 milioni di euro. Armi italiane per il l’Oman (78,6
milioni), il Venezuela (16), la Malesia (51), la Libia (14,9) e il Perù (26,8).
Armi italiane perfino per la Cina: nonostante l’embargo dell’Unione europea, il
governo italiano ha autorizzato l’esportazione di software e pezzi di ricambio.

Esportazioni da record
L’Italia vende armi in tutto il mondo e ne vende sempre di più. È un periodo
d’oro per gli affari di guerra: nel 2005 il Belpaese ha esportato materiale
bellico per un miliardo e 300 milioni di euro. Nel 2006 si son superati i due
miliardi: record degli ultimi vent’anni, con una crescita del commercio con
l’estero del 61%. E pazienza se il governo Prodi in tempi di programma
elettorale s’era impegnato a dare una stretta. Mentre la vocazione pacifista di
Palazzo Chigi resta sulla carta, l’industria armiera nostrana va a palla: sesto
posto nella classifica mondiale degli esportatori di armi militari, secondo per
le armi leggere, che uccidono una persona al minuto. I dati sono elencati nella
Relazione sulle esportazioni di armi presentata dal presidente del Consiglio
Romano Prodi il 30 marzo 2007.

Controlli addio
L’Italia vende armi in tutto il mondo e per riuscirci meglio ha anche smontato
una legge. Nel giugno 2003 - governo Berlusconi - il Parlamento ammorbidì la
legge sulle esportazioni di armi (185 del ‘90) eliminando l’obbligo di
accompagnare le forniture con il certificato d’uso finale pensato per impedire
le triangolazioni. Armi che partono, in prima battuta, alla volta di paesi
«buoni» e finiscono negli arsenali dei paesi proibiti grazie a una girandola di
compravendite più o meno legittime. Riveduta e corretta, la legge è meno severa
anche su altri punti: prima non si potevano esportare armi in paesi colpevoli
di violazioni dei diritti umani, oggi le violazioni devono essere «gravi».
Scelta politica precisa e bipartisan: fu il governo D’Alema, nel 2000, ad
avviare l’iter delle modifiche poi perfezionate - e approvate - dal
centrodestra. Insomma, per le armi italiane è molto più facile girare il mondo.

Così non c’è da stupirsi quando saltano fuori all’improvviso. Nel 2005, in Iraq,
i carabinieri sequestrarono migliaia di pistole Beretta alle cosiddette forze
ribelli. Venne fuori che il primo proprietario di quelle armi (44mila pezzi)
era il Ministero dell’Interno, che le aveva rivendute al suo fornitore (la
Beretta) perché le riparasse. Questa le aveva poi vendute a una società
semisconosciuta, la Super vision international. Non si sa come ci siano
arrivate, ma i rapporti dei carabinieri hanno messo nero su bianco che pistole
italiane appartenute alla polizia sono finite negli arsenali della guerriglia
irachena. Magari per essere usate contro i soldati italiani.

E ci sono testimonianze sull’arrivo di armi italiane anche in Somalia.
Nonostante la guerriglia infinita e nonostante l’embargo imposto nel 1993 dal
Consiglio di sicurezza dell’Onu, un rapporto Onu datato maggio 2006 accusa
l’Italia di aver violato il blocco con «invii di materiale militare» destinati
al governo federale transitorio. Il coordinatore degli ispettori Onu Bruno
Schiemsky scrive di aver contato «almeno diciotto camion militari arrivati nel
porto di Mogadiscio, poi usati per trasportare truppe e armi antiaeree
smontate». Smontati anche gli aeroplani Aermacchi che - sempre secondo l’Onu -
sarebbero arrivati via Eritrea alle Corti islamiche che combattono il governo
di Mogadiscio con l’etichetta di «pezzi di ricambio». La vendita (per oltre un
milione di euro) ottenne a suo tempo l’autorizzazione del governo. Armi
italiane su un fronte, armi italiane sull’altro, tutto in regola.

La lobby in cifre
I numeri dicono che non sarà facile applicare la stretta promessa del governo
Prodi. L’industria bellica italiana occupa 50mila dipendenti, fattura 7,5
miliardi l’anno, rappresenta lo 0,8% del pil e il 15% dell’export. E procura
affari d’oro alle banche, chiamate a gestire le operazioni di incasso. Il
grosso della torta va a San Paolo-Imi, per un giro d’affari da 446 milioni nel
2006 (quasi il 30% delle transazioni). Seguono Bnp-Paribas, (290,5 milioni),
Unicredit (86,7), Bnl (80,3), Deutsche Bank (78,3) e il Banco di Brescia, che
gestirà più di 70 milioni. Hai capito che lobby, ogni volta che la politica
prova a forzarle la mano alla fine si ritrova bloccata sulla porta. Il cartello
dice: sorveglianza armata.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200708articoli/24714girata.asp