[Cm-milano] Sei alto e bello a 16 anni? Avrai successo e più…

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Author: ajorn acharya
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To: cm >> \"cm-milano@inventati.org\"
Subject: [Cm-milano] Sei alto e bello a 16 anni? Avrai successo e più soldi
di Elysa Fazzino



Non tutto quel che conta può essere contato e non tutto quel che può
essere contato conta: il cartello scritto a mano nello studio di Albert
Einstein, all'università di Princeton, era un monito ma anche una sfida.
Più di mezzo secolo dopo, l'economia conta anche quello che si pensava
non potesse essere contato, temi considerati inconsueti per un
economista, la discriminazione razziale, l'organizzazione della
famiglia, la felicità.
A ricordare la massima attribuita ad Einstein è Leonardo Becchetti,
docente di economia politica all'università di Roma Tor Vergata, che nel
libro "Il denaro fa la felicità?" (Laterza) analizza il rapporto tra
reddito e soddisfazione della vita. «Applicando metodologie statistiche
ed econometriche rigorose – sostiene – si scoprono nessi importanti tra
variabili, che possono avere un'utilità enorme per le scelte di
politiche economica. Ma bisogna stare attenti a evitare automatismi, ci
vuole grande cautela, i dati vanno interpretati ragionevolmente».
Abbondano le ricerche che indagano sui legami tra aspetto fisico e
reddito. Nella società dell'apparenza, altezza e bellezza, è dimostrato,
fanno salire introiti e status sociale. É sempre stato così negli Stati
Uniti, dove chi fa politica deve avere soldi e piacere alla gente:
George Washington, Thomas Jefferson, Abraham Lincoln erano parecchio più
alti dei loro contemporanei. Anche Bill Clinton è più alto
dell'americano medio.
Il giovane economista Nicola Persico ha attirato l'attenzione quest'anno
al Festival dell'Economia di Trento con i dati sui maggiori redditi
percepiti dagli uomini alti rispetto a quelli bassi. Da uno studio
realizzato con due colleghi statunitensi su campioni di popolazione
negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, risulta che per gli uomini
americani di razza bianca ogni pollice di altezza in più (2,5 cm circa)
è associato a un aumento salariale dell'1,8%, per quelli britannici a un
aumento del 2,2. In entrambi i Paesi, il quarto più alto della
popolazione ha una retribuzione media del 13% maggiore del quarto più
basso. Ed è l'altezza da adolescenti, per la precisione a 16 anni, a
determinare il maggiore o minore reddito da adulti.
Anne Case e Christina Paxson, dell'università di Princeton, hanno
osservato che in Gran Bretagna i più alti, fin dalla più tenera età,
ottengono risultati migliori in svariati test d'intelligenza. Una volta
diventati adulti, i più alti guadagnano di più perché scelgono
un'occupazione ad alto stipendio che richiede maggiori abilità verbali e
numeriche e maggiore intelligenza. E se erano più alti a 16 anni -
spiegano - è perché sono figli ben nutriti e ben allevati di genitori
più intelligenti e ricchi della media.
Il mercato del lavoro punisce i più brutti, che percepiscono una paga
oraria del 7-9% inferiore, mentre i più belli hanno un premio del 5%,
secondo una ricerca di Daniel Hamermesh e Jeff Biddle.
In un altro studio realizzato con Gerard Pfann e Ciska Bosman, mostrano
che le ditte di pubblicità olandesi con manager più belli hanno un
fatturato maggiore. «Si tratta di studi che si basano su osservazioni
empiriche, in alcuni casi possono essere utili per un utilizzo politico,
in altri casi possono servire a capire un fenomeno», dice l'economista
Tito Boeri, professore di economia del lavoro alla Bocconi e lui stesso
studioso anche di argomenti meno tradizionali come l'economia del
calcio, la corruzione, la relazione tra produttività e invecchiamento
con riferimento alla performance dei tennisti.
Esiste l'economia delle sculacciate: Bruce Weinberg dell'università
dell'Ohio ha scoperto che nelle famiglie con 6mila dollari di reddito
annuo, i ragazzini sono sculacciati in media una volta ogni sei
settimane, in quelle oltre i 17mila dollari una volta ogni quattro mesi.
Le famiglie più agiate hanno più alternative di punizione, come togliere
il Game Boy.
E alle madri che lavorano, tormentate dai sensi di colpa perché non
riescono a dedicarsi ai figli, viene in aiuto Christopher Flinn: sul
successo dei figli incide più il tasso di istruzione della madre che il
fatto di avere un'occupazione e quindi meno tempo per la famiglia.
Della misurazione della felicità si occupano istituzioni come la Banca
d'Italia e l'Ocse. Normalmente si misura chiedendo a un campione di
individui quanto si ritengono felici, su una scala da zero a dieci.
Dell'argomento si è molto discusso al World Forum dell'Ocse che si è
svolto a Istanbul a fine giugno. «La conclusione è che dobbiamo riuscire
a misurare il progresso della società nella sua interezza» basandosi non
soltanto su indicatori economici come il reddito nazionale, sottolinea
Enrico Giovannini, direttore delle statistiche Ocse. Ciò - avverte - va
fatto con prudenza: a Istanbul è emerso un consenso sul fatto che gli
aspetti di carattere psicologico e qualitativo sono importanti, ma non
possono sostituirsi agli elementi di natura oggettiva e quantitativa.
«Le analisi - continua Giovannini - hanno dimostrato che le persone
reagiscono anche allo stesso tipo di politica economica a seconda
dell'approccio più o meno positivo che hanno verso la vita».
«Nel valutare la propria felicità scattano meccanismi di assuefazione –
osserva Becchetti – e ci si confronta con un gruppo di riferimento:
paradossalmente il disoccupato in una regione ad alta disoccupazione è
meno infelice di un disoccupato in una regione a bassa disoccupazione.
Insomma, come dice il proverbio, "Mal comune mezzo gaudio"».
I confronti tra Paesi sono particolarmente insidiosi, fa notare la
newsletter della Banca d'Italia, a causa delle differenze culturali che
plasmano i dati nazionali. Nelle classifiche, i più felici sono i
danesi. Gli statunitensi sono al 17mo posto. Gli italiani sono al 26mo,
a pari merito con gli spagnoli. Ma possiamo consolarci: più giù, in 39ma
posizione, ci sono quei brontoloni dei francesi.