il manifesto 21 luglio 2001
Tutti insieme a piazza Alimonda, ma al corteo dal «Carlini» Rifondazione
viene lasciata sola
Il G8 non riunisce i movimenti
Dallo stadio dove si riunirono le Tute bianche sfilano appena in 150. Un
centinaio di disobbedienti vanno a Palazzo Ducale e contestano Prodi e il
«macellaio» De Gennaro. Contestate le telecamere de La7, applausi per Haidi
Giuliani
Quando si risente «Genova libera» scandito come davanti alla Diaz nella
notte dell'assalto mentre la gente uscita in barella o come a un anno di
distanza quando il movimento era tornato a gridare in via XX settembre
avvinghiati uno all'altro (in caso di cariche), quando «Genova libera» lo
senti davanti alla Questura con una manifestazione semi-organizzata fuggita
al rituale di piazza Alimonda, vuol dire che qualche svolta nella giornata
c'è stata.
Se le contraddizioni si giocano anche nei simboli e nella scelta dei
luoghi, allora ieri tutto parte nella tarda mattinata con Luca Casarini, il
leader delle tute bianche di allora, che entra a Palazzo Ducale a passo
accelerato insieme a un centinaio dei centri sociali del nord-est abbraccia
Don Andrea Gallo e si concedono insieme alle telecamere. Dietro lo
striscione: «Governo Prodi vergogna - De Gennaro macellaio». «Genova ci
parla del presente e del futuro non del passato. La memoria non è una cosa
statica - grida Casarini al megafono - siamo qui per dire venite tutti a
Vicenza a settembre». Poi attacca il muro compatto contro le indagini e i
processi sul G8, quella che chiama «una copertura bipartisan» e denuncia la
promozione di De Gennaro. A piazza Alimonda di Casarini arriverà solo lo
striscione, lui non lo vede nessuno.
Poche ore dopo Palazzo Ducale, parte un corteo organizzato dal Comitato
Piazza Carlo Giuliani dallo stadio Carlini, sei anni fa la roccaforte delle
Tute bianche e soprattutto il punto di partenza di quel corteo autorizzato
e poi caricato violentemente in via Tolemaide. Sono solo centocinquanta.
Centri sociali zero. Dietro il camion prestato dalla Compagnia unica dei
portuali, Heidi Giuliani, senatrice di Rifondazione, il parlamentare
europeo di Rifondazione Vittorio Angoletto, il deputato Francesco Caruso
(sempre Rifondazione) e il capogruppo di Rifondazione alla Camera Gennaro
Migliore. Ad aprire il corteo «Strage di stato rapido 904, 23-12-84», uno
dei tanti sugli eccidi dal '47 a oggi. Il sound system fa fatica a caricare
gli animi. La canicola fa il resto.
A piazza Alimonda però di gente ce n'è eccome. Tanti genovesi che erano al
G8, facce nuove di ragazzini quindicenni che lasciato il motorino vengono a
vedere com'e. Si rivedono sindacati, associazioni, partiti, centri sociali.
Gli amici di Carlo si stendono a terra sullo striscione di quest'anno:
«Indignazione». Se la prendono anche con quelli de La 7 che hanno montato
un palco che non finisce più, alto tre metri da terra. «Un po' di ritegno -
grida uno di quelli che sei anni fa ha passato un paio di notti bivaccando
per non far lavare il sangue di Carlo - Qui è morta una persona». Quelli
niente, sono di un service. Poi Giuliano Giuliani chiarisce a tutti: «Ho
dato io l'autorizzazione. E' il punto da cui si guarda la piazza e quel che
è successo». Così alle 17 da tre metri d'altezza si vedono Giuliani padre,
accanto a Don Gallo e un avvocato, dare le spalle alla piazza perché dalla
diretta si veda la piazza medesima. Qualche spirito birbante pare riesca a
manomettere il microfono per pochi secondi. Heidi sul palco non ci sale.
Dove si fermò il Defender Cisco intanto canta «rimani acceso scintillante
come un diamante nel carbone» ma qualcosa non decolla. Neppure il minuto di
silenzio è stato un minuto, pochi secondi e via, poi un grande applauso
alle parole di Haidi che riabbraccia la piazza: «Noi non vogliamo fare
silenzio. Noi donne quando partoriamo un figlio non lo facciamo per la
guerra, per la violenza fascista».
A un certo punto i centri sociali organizzano una protesta alla Questura.
Heidi la annuncia dal palco. Giuliano s'incazza. Qualche centinaio partono
con Caruso in un corteo aperto dalla Digos con lo striscione «De Gennaro ha
amato i manganelli. Piazza Alimonda e via Tolemaide: non dimentichiamo!».
Arrivati davanti alla Questura bloccano l'incrocio per un'assemblea
autorganizzata. Caruso grida ai genovesi «siamo venuti a raccontarvi la
verità sulla Diaz e Bolzaneto». Intanto qualcuno attacchina le foto del
ragazzo di Ostia, 16 anni, pestato dal vice della Digos di allora
Alessandro Perugini proprio lì davanti alla Questura. Una piccola
delegazione femminile simbolicamente porta lo striscione proprio davanti
all'entrata. Accanto c'è anche il questore Pesenti, venuto a salutare
Caruso che chiede scusa ma «ho da fare» e grida «riprendiamoci questa
città», mentre tutti scandiscono «Genova libera».
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"Eppure il vento soffia ancora...." Pierangelo Bertoli (1942 - 2002)
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