Le coltivazioni di grano duro sono sostituite dal mais e i prezzi
salgono alle stelle.
La De Cecco ritocca i listini del 10%. Barilla sta per farlo. Allarme
dei pastai
Boom del granturco per la benzina ecologica, la pasta rincarerà del 20%
di MAURIZIO RICCI
ROMA - Altro che rivolta delle tortillas, con i messicani infuriati per
il prezzo sparato alle stelle dalla corsa all'etanolo. Adesso tocca a
noi: spaghetti contro ecobenzina. Da qui a settembre, annuncia l'Unipi,
l'associazione dei produttori di pasta italiani, il mezzo chilo di
spaghetti rincarerà fino al 20 per cento. La De Cecco ha già ritoccato i
listini del 10 per cento. Il gigante del settore, la Barilla (oltre 1
milione di tonnellate di pasta, l'equivalente di 10 miliardi di piatti
di rigatoni o penne) sta per farlo. Gli altri seguiranno a ruota. Perché
il prezzo della semola di grano duro - la materia prima della pasta - è
salito, nel giro di sei settimane dall'ultimo raccolto, del 50 per cento
sui mercati internazionali, da dove importiamo poco meno della metà del
fabbisogno delle nostre industrie.
Ma anche il grano duro italiano è diventato più caro: sul mercato di
Foggia - la nostrana Chicago delle granaglie - il prezzo è cresciuto di
oltre il 30 per cento rispetto ad un anno fa. E la semola rappresenta
oltre la metà del costo della pasta. "Con i conti non ci stiamo più"
dichiara il presidente dell'Unipi, Mario Rummo.
Ma che c'entra l'etanolo? Il rincaro generalizzato delle derrate
alimentari a cui stiamo assistendo è dovuto, in parte, ad un'annata
pessima, meteorologicamente, per i raccolti, ma il grosso degli aumenti
di prezzo, secondo gli esperti, è effetto del rimbalzo a 360 gradi del
boom della materia prima per l'etanolo. Simon Johnson, capoeconomista
del Fmi, parlava ieri di "sorprendente impennata dei prezzi da
primavera", sottolineando che l'etanolo "ha prodotto uno shock
macroeconomico". In effetti, il biocarburante oggi più di moda si fa in
Brasile con la canna da zucchero e, nel resto del mondo, soprattutto
processando le pannocchie di granturco, con il quale si fa semmai la
polenta, non gli spaghetti. Ma l'irresistibile attrazione esercitata
sugli agricoltori dal raddoppio del prezzo del granturco e dalle
previsioni di una domanda in crescita esplosiva, per far fronte alla
richiesta di etanolo, li sta portando a cambiare coltivazione,
spiazzando gli altri prodotti. Più conveniente produrre mais o girasoli
- da cui si ricava l'altro ecocarburante, il biodiesel - che, ad
esempio, grano. Il risultato è che l'offerta degli altri prodotti si
restringe. "La Siria ha bloccato l'export di grano, il Canada non ne
venderà fino a novembre" elenca Rummo. Anche l'Australia ha ridotto le
forniture. Dagli agricoltori agli hedge funds, tutti stanno speculando
sui rincari. Ma non finisce qui. Perché neanche il granturco basta più,
per l'etanolo e per il suo uso tradizionale.
Il mais ha un posto di assoluto rilievo nella catena alimentare, molto
al di là di polenta e tortillas. Soprattutto negli Stati Uniti, il più
grande mercato del mondo per il cibo. Prodotti diversi come il Gatorade
e gli hamburger partono dal granturco. Prendete i "chicken nuggets", i
bocconcini di pollo di McDonald's: il pollo è stato cresciuto a
granturco, ed è granturco la farina che lo riveste, la colla che lo
tiene insieme, l'olio in cui è fritto. Non solo: derivano dal mais la
lecitina e il lievito, i mono e trigliceridi aggiunti al pollo, il
colorante, finanche l'acido citrico che lo preserva. Insomma, su circa
45 mila prodotti reperibili in supermercato americano, più di un quarto
contiene mais: pannolini, sacchi della spazzatura, dentifrici,
fiammiferi, batterie, fino al luccichio sulle copertine delle riviste. E
poi c'è la carne: in buona sostanza, polli, tacchini, maiali, anche le
mucche, per non parlare dei salmoni, vengono allevati - in America, ma
non solo - a granturco.
Il risultato è un aumento dei prezzi su tutto lo spettro del mondo
alimentare. Se noi dobbiamo vedercela con il rincaro degli spaghetti,
gli americani si sono trovati a pagare il 70 per cento in più il cartone
di popcorn al cinema e il litro di latte quanto uno di benzina. Costano
di più i gelati e, in Inghilterra, il pane è quasi raddoppiato. Ma
l'ondata sta per sommergere tutto quello che va nella borsa della spesa.
Gian Domenico Auricchio, presidente di Federalimentare, denuncia aumenti
dei costi nell'industria italiana del 20 per cento per le uova, 50 per
cento per il burro, 20-40 per cento per le carni. Un impatto pesante per
i consumatori, anche se non drammatico. Il mezzo chilo di spaghetti,
sufficiente per cinque persone, assicura Rummo, continuerà, in fondo, a
costare "meno di una buona mela e di una tazzina di caffè". Ma, lontano
dal ricco Occidente, può essere una tragedia. L'allarme, lanciato da
Fidel Castro alcuni mesi fa, ha trovato conferme autorevoli. Il World
Food Programme, l'organizzazione Onu per gli aiuti alimentari, dichiara
di non essere più in grado, all'attuale livello dei prezzi
internazionali, di mantenere i suoi programmi. L'International Food
Policy Research Institute di Washington calcola che la sola corsa
dell'agricoltura ai biocarburanti, da qui al 2010, farà crescere i
prezzi del granturco del 20 per cento, della soia del 26 per cento, del
grano dell'11 per cento, della manioca (il cibo base in Africa e in Sud
America) del 33 per cento. Del doppio o del triplo al 2020. A questi
prezzi, stimano Ford Runge e Benjamin Senauer, due studiosi americani,
il numero delle persone che, nel mondo, soffrono la fame, invece di
scendere a 600 milioni nel 2025, come ci si aspettava, sarà del doppio,
1 miliardo e 200 milioni. Runge e Senauer fanno un calcolo anche più
brutale: riempire il serbatoio di un fuoristrada solo di etanolo
richiede oltre 200 chili di granturco, ovvero il fabbisogno di calorie
di una persona per un anno.
Dietro alla corsa ai biocarburanti, ci sono scelte politiche. L'Unione
europea si è fissata l'ambizioso obiettivo di sostituire con
ecocombustibili, entro il 2020, almeno il 10 per cento della benzina e
del gasolio che consumano le sue macchine. Ma è soprattutto il traguardo
fissato da Bush per l'America - 35 miliardi di galloni di etanolo l'anno
entro il 2017, sei volte la produzione attuale, un quarto dei consumi
totali di benzina - ad avere scatenato la corsa. Con un singolare
paradosso: la massa di investimenti messi in moto, nell'agricoltura e
nell'industria (il numero di raffinerie di etanolo, negli Usa, sta già
raddoppiando) ha senso solo agli attuali livelli di prezzo del petrolio.
"La ricerca dell'indipendenza energetica - notano Runge e Senauer - ha
già reso l'industria dipendente da alti prezzi del greggio".
Ma è un paradosso piccolo, rispetto al successivo. Qui non siamo a
spaghetti o pop corn contro ecobenzina. Siamo a spaghetti contro il
miraggio della ecobenzina. Perché, con le tecnologie attuali, tutto
questo biocarburante non si può produrre. Per fare 35 miliardi di
galloni di etanolo con le pannocchie, calcola la rivista Bioscience,
bisognerebbe coltivare esclusivamente a granturco un quarto dell'intero
territorio Usa (città escluse). Questo non significa che l'intera
vicenda dei biocarburanti sia un'illusione. Miscelati con i carburanti
fossili, etanolo e biodiesel consentono di ridurre i consumi di benzina
e gasolio e di contenere le emissioni di anidride carbonica che
determinano l'effetto serra. Ma non sono la ricetta-miracolo del
dopo-petrolio. Almeno, qui e ora. Produrre l'etanolo non dalla sola
pannocchia, ma dall'intera pianta, o dagli scarti vegetali in genere,
insomma direttamente dalla cellulosa, consentirebbe di superare d'un
colpo molti dubbi e vicoli ciechi dell'attuale corsa ai biocarburanti,
riducendo, dice l'Ifpri, l'impatto sui prezzi. Tecnicamente, ricorrendo
a speciali enzimi, è già possibile. Ma ancora troppo costoso, sia
rispetto alla benzina che all'attuale etanolo da pannocchia.
(20 luglio 2007)
http://www.repubblica.it/2006/12/sezioni/ambiente/biocarburanti/ecobenzina/ecobenzina.html
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NEUROGREEN
ecologie sociali, strategie radicali
negli anni zerozero della catastrofe
http://liste.rekombinant.org/wws/subrequest/neurogreen