Il Secolo XIX
Diaz, il video delle molotov
oggi il corteo a genova
Nelle immagini dopo il pestaggio si vede l'agente che porterà le bottiglie
incendiarie vicino agli uomini del settimo nucleo
20/07/2007
GENOVA. Nella notte del blitz nella scuola Diaz c'erano due polizie, una
contro l'altra. Nuove immagini video che il Secolo XIX è in grado di
pubblicare, mostrano come le false molotov portate nella scuola per
incolpare e arrestare i no global arrivarono alla Diaz. E tutto ruota
intorno al settimo nucleo antisommossa, il nucleo d'élite del reparto mobile
di Roma istituito in vista del G8 di Genova.
Questa nuova ricostruzione arriva sei anni dopo i tragici fatti del luglio
2001. Oggi pomeriggio un corteo di manifestanti partirà dallo stadio Carlini
per arrivare in piazza Alimonda, dove Carlo Giuliani fu ucciso da un colpo
sparato dal carabiniere Mario Placanica.
Le immagini del video mostrano Pietro Burgio, autista del furgone della
polizia dove le bottiglie incendiarie erano state custodite (in realtà erano
state sequestrate in corso Italia dalla mattina), che si trovava assieme
agli agenti del settimo nucleo antisommossa, i principali accusati del
massacro nella scuola.
La videocamera li filma insieme in piazza Merani, vicino alla Diaz. Qui,
sempre restando vicino agli uomioni del "settimo" riconoscibili dai caschi,
Burgio telefona al vicequestore Pietro Troiani, poi indagato proprio per la
vicenda delle moltov.
Quando Troiani e Burgio entrano nel cortile della Diaz per portare le
bottiglie, il primo segue passo passo l'allora capo della Digos genovese
Spartaco Mortola. Un marcamento quasi a uomo. Come per essere sicuro che la
missione vada in porto senza intoppi. E questo è dimostrato da altri
fotogrammi. Per non essere riconosciuto, Troiani nasconde i gradi.
Dopo le rivelazioni del vicequestore Michelangelo Fournier, che ha parlato
di «macelleria messicana» alla Diaz, la ricostruzione apre un altro fronte
di accuse all'interno della stessa polizia.
Marco Menduni
Molotov, un video accusa l'altra polizia
il g8 di genova sei anni dopo
Le responsabilità del "settimo nucleo" romano alla Diaz. Molti agenti non
sono più disposti a coprire i colleghi
GENOVA. Le "due polizie" si sfiorano, si toccano, ma non si compenetrano.
Nella notte del blitz nella scuola Diaz, una contro l'altra. C'è un nuovo
filmato, anzi, un assemblaggio di video che il Secolo XIX è in grado di
mostrare, il quale scandisce minuto per minuto come le false molotov portate
nella scuola per incolpare e arrestare i no global arrivarono alla Diaz. E
tutto ruota intorno a una sola entità: il settimo nucleo antisommossa, il
nucleo d'élite del reparto mobile di Roma istituito in vista del G8 di
Genova.
Pietro Burgio, autista del Magnum della polizia dove le bottiglie
incendiarie erano state custodite (in realtà erano state sequestrate in
corso Italia dalla mattina) si trovava insieme agli agenti del settimo
nucleo antisommossa, i principali accusati del massacro nella scuola. In
piazza Merani, vicino alla Diaz, dopo il massacro. Lo testimoniano le
immagini. Che, confrontate con i tabulati, indicano il preciso momento del
contatto telefonico tra Burgio e il vicequestore Troiani. Mentre Burgio è
ancora vicino agli uomini del"settimo".
Quando Troiani e Burgio entrano nel cortile della Diaz per portare le
bottiglie, il primo segue passo passo l'allora capo della Digos genovese
Spartaco Mortola. Un marcamento quasi a uomo. Come per essere sicuro che la
missione vada in porto senza intoppi. E questo è dimostrato da altri
fotogrammi. Si era persino "girato" i gradi, Troiani (lo conferma una
perizia del Ris), per nasconderli. Per non essere riconosciuto ed apparire
tal quale un semplice agente del reparto mobile.
Mortola e Troiani non si conoscevano. Mortola, quasi deriso dai magistrati,
sostenne che due agenti del reparto mobile tentarono di consegnargli le
bottiglie. In realtà, senza gradi, un graduato è esattamente identico a un
agente.
Ma torniamo nella scuola Diaz. Troiani e Burgio tentano di consegnare le due
bottiglie a Mortola (che racconta quel momento), che non le prende in
consegna, ma indica loro di ammucchiarle insieme agli altri reperti, su uno
striscione. Troiani, in quel momento, vede però un suo amico di corso,
Massimiliano Di Bernardini. Lo chiama e (anche questa circostanza è
confermata da un testimone dello Sco) gli consegna finalmente le bottiglie.
C'è ancora una circostanza davvero strana in tutta questa vicenda. Il
settimo nucleo aveva, diversamente da tutti gli altri poliziotti, una divisa
particolare, studiata in via esclusiva. La caratteristica più evidente? Il
cinturone. Nero, a differenza di tutti gli altri poliziotti, che l'hanno
bianco. Pietro Troiani non faceva ufficialmente parte del "settimo". Ma
quella sera indossava il cinturone nero. Perché? Un gesto di stima, ha
sostenuto poi, da parte del gruppo d'élite della celere romana.
L'ennesima stranezza? Quando la Digos genovese, su richiesta dei pm, domanda
alle questure e ai comandi di tutta Italia chi sia entrato alla Diaz quella
sera, a qualunque titolo, da Roma arriva una lista di 72 persone. Ce ne sono
persino due che in realtà non si trovavano a Genova perché in malattia. Ma
non Pietro Troiani.
Rimane qualche dettaglio da mettere a posto. Anche Massimo Nucera, l'agente
che sostenne di aver ricevuto una coltellata all'interno della Diaz (un
altro falso, per i pm) fa parte del settimo nucleo.
Tutte queste considerazioni fanno comprendere come, nelle prossime udienze
del processo Diaz, una polizia finirà inevitabilmente per accusarne
un'altra. E gran parte degli indagati punteranno il dito contro il
"settimo", i suoi responsabili e più in generale contro la celere romana
guidata allora da Vincenzo Canterini e da Michelangelo Fournier. Il
vicequestore, quest'ultimo, che ha parlato della «macelleria messicana». Ma
che, nella sua testimonianza, ha in realtà"assolto" i suoi uomini del
settimo nucleo, attribuendo i pestaggi a non meglio identificati "fantasmi"
(«due avevano la cintura bianca, due la pettorina», ha detto Fournier) che
si sono poi dileguati senza poter essere riconosciuti.
Il blitz nella scuola Diaz, insomma, non finisce di far discutere. E la
ripresa autunnale del processo vedrà questo scenario. «Ormai molte cose sono
chiare - spiega una fonte al Secolo XIX - e nella polizia molti non sono
disposti a pagare per una serie di azioni sciagurate nate tutte all'interno
di un gruppo ben preciso di persone».
I tanti misteri del G8 danno anche uno scossone al mondo politico genovese.
«Riteniamo giusto sollecitare il Parlamento italiano, e in particolare il
Presidente della Camera e il Presidente del Senato, ad agire con gli
strumenti che hanno a disposizione per contribuire a fare piena luce su
quanto accadde in quei giorni a Genova, ciò anche al fine di tutelare il
ruolo insostituibile delle Forze dell'Ordine nella nostra democrazia». Lo
hanno dichiarato congiuntamente il sindaco di Genova Marta Vincenzi e i
presidenti di Provincia e Regione, Alessandro Repetto e Claudio Burlando.
Che ora vuole anche incontrare il nuovo capo della polizia Antonio
Manganelli.
Marco Menduni
Ecco le Strade chiuse per i cortei
viabilità
I DUE CORTEI che oggi e domani attraverseranno la città a sei anni dal G8,
sono stati concordati da tempo fra no global, polizia e vigili urbani, e
produrranno numerose modifiche nella gestione della viabilità e dei
parcheggi in alcuni quartieri della città.
Il primo appuntamento è per questo pomeriggio alle 14 (vedi mappa), quando
dallo stadio Carlini i manifestanti si muoveranno per raggiungere piazza
Alimonda. L'area antistante la cancellata d'accesso all'impianto è vietata
alle automobili e lo sarà«per motivi di sicurezza» fino a domenica sera. Nel
pomeriggio i dimostranti usciranno dal varco sistemato a ridosso di un campo
da softball e percorreranno la direttrice corso Europa - corso Gastaldi -
via Tolemaide occupando la carreggiata in discesa: «Verranno disposte
chiusure a intermittenza - spiegano dal comando della polizia municipale -
ma nessun divieto esteso per un intervallo preciso».
Diverso, ovviamente, il discorso per piazza Alimonda, qui il corteo
approderà dopo la svolta in via Caffa. Qui dalle otto di stamattina alle 20
vige il divieto di sosta e l'accesso alle vetture sarà inibito dalle 15,30
circa. Stop alla circolazione anche nelle vie circostanti, dal pomeriggio:
«Verranno organizzati sensi unici alternati per consentire ai residenti o a
chi vi ha posteggiato di lasciare la zona».
Molto più semplici le disposizioni per la fiaccolata di domani sera, dal
quartiere di San Fruttuoso alla Diaz: previsti 200 partecipanti, qualche
interruzione momentanea al traffico ma nessun divieto.
I genovesi non temono i no global«Fa più paura arrivare a fine mese»
la città e l'evento
Genova. Genova, sei anni dopo. C'è un caldo soffocante in città, stretta fra
i monti e il mare e diventata famosa in tutto il mondo dopo i fatti tragici
del G8 che nel luglio nel 2001 provocarono disordini, devastazioni, caos,
violenze. E un morto, Carlo Giuliani. Da ieri continuano ad arrivare nel
capoluogo ligure decine di no global per la manifestazione in ricordo di
quelle giornate e per commemorare la morte di quel ragazzo. Ma i genovesi,
popolo chiuso per convenzione, questa volta hanno contraddetto lo
stereotipo. Nessuna lamentela, nessun segno di protesta. Anzi per alcuni
un'opportunità per qualche guadagno in più in una stagione troppo calda per
fare affari.
La paura, lo sgomento del 2001 hanno lasciato il posto all'indifferenza.
«Non vediamo nessun motivo per preoccuparci - dicono nel negozio di
abbigliamento "Tamurè", a San Martino, proprio vicino allo stadio Carlini
che ospita i no global in questi giorni- E poi oggi i problemi sono altri:
arrivare alla fine del mese, per esempio. Altro che no global». Anna
Scortecci, gestore di una cartoleria della zona, non solo non teme nulla:
«Anzi, se sarà una festa, come penso proprio che sarà - dice - sabato
resteremo aperti invece di chiudere come facciamo sempre». Una delle
abitanti della zona, Anna G. (il cognome non lo vuole dire) ci metterebbe la
mano sul fuoco sulla tranquillità dell'evento, ma non tanto perché i
protagonisti sono pacifici: «E' tutta politica - dice - non hanno la
convenienza a fare casino, c'è una posta troppo alta in gioco. Se ne
staranno tranquilli tranquilli» . Un'anziana signora, vestita di tutto
punto, interviene nella conversazione: «Ma turna qui vengono?». Turna, nel
dialetto genovese, significa di "nuovo", e la signora che dice di chiamarsi
Pina e basta cade dalle nuvole alla notizia dell'arrivo dei no global a
pochi passi da casa sua: «Ma davvero? Non ne sapevo nulla. Ma tanto sto
tranquilla, io parto per le vacanze». Come dire, che si azzuffino pure se
devono, tanto io non ci sono. Un altro abitante, Maurizio T., alla notizia
fa semplicemente spallucce: «E allora? Di cosa dovrei preoccuparmi? Non ho
avuto paura nel 2001 perché dovrei averne adesso?». I commercianti non ci
pensano proprio a chiudere per paura di qualche devastazione: «Dobbiamo
lavorare - spiegano alcuni gli esercenti di San Martino - non ci pensiamo
neanche a chiudere, chi ci paga il giorno perso?».
Se è vero che i genovesi non hanno paura, per alcuni di loro la cosa vale
solo in apparenza: «Mi hanno disdetto tutti gli appuntamenti da oggi fino a
sabato - chiosa Carolina Marzo titolare dell'omonimo negozio di parrucchiere
alle spalle dello stadio - mi hanno telefonato appena saputo dell'arrivo dei
no global. Anche nel 2001 avevo perso dei clienti. Questa manifestazione non
ci voleva. Non tanto per i no global, ma perché ho perso soldi».
Se sui timori di nuovi disordini i genovesi sembrano concordi nel non
averne, lo stesso coro unanime si solleva per un'altra questione, e cioè su
quanto il G8 abbia influito negativamente per l'immagine della città: «Chi
ha governato e ci metto dentro tutti, destra e sinistra - interviene
Patrizia Sbalgi, unica cliente del giorno di Carolina- ha fatto in modo che
Genova sia ricordata ancora per molto come la città del G8». Stesso parere
di Giovanna Mugnaini, abitante nei pressi della scuola Diaz di Albaro,
triste teatro dell'incursione delle forze dell'ordine contro i no global su
cui ancora non si è fatta piena luce: «Finiamola di parlare di Genova come
la città dove c'è stato il G8. Se ne parla solo per quello e si dimenticano
tutte le altre cose belle e significative di questa città».
Angelica Giambelluca
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Repubblica Genova
Violenze di strada quel processo mai cominciato
FRANCO MANZITTI
Sei anni dopo quei giorni terribili del ragazzo Giuliani ucciso dal ragazzo
carabiniere in Piazza Alimonda, sei anni dopo tutte quelle violenze dei
black bloc alla città di Genova, dei poliziotti nella scuola Diaz contro i
giovani occupanti, delle guardie carcerarie contro gli arrestati nella
caserma di Bolzaneto, una grande verità va ancora scritta. Oltre a tutte le
altre.
La verità che manca, che nessun magistratura e nessuna commissione
parlamentare d´inchiesta, nessun rapporto di polizia, carabinieri, Guardia
di Finanza, nessuna carta riservata hanno cercato di scoprire o indicare, e
che oggi vale la pena di invocare, resta il vero mistero di quei giorni
indimenticabili nella storia genovese del Dopoguerra. Questa verità
sconosciuta riguarda "i fatti di strada", le violenze commesse contro i
manifestanti, in gran parte pacifici di quelle giornate del 20 e 21 luglio
2001, in ogni parte della città, da corso Italia a piazza Manin, a via Carlo
Barabino, nella fatidica zona gialla, ma anche lontano da essa.
Ci furono, in quei giorni, più di mille feriti tra i dimostranti caricati
dalla polizia, dai carabinieri, pestati spesso indiscriminatamente solo per
il fatto che erano per strada. Ci sono stati migliaia di referti, spesso
firmati da medici che non erano negli ospedali e centinaia di denuncie
contro le forze dell´ordine: una montagna di carta che non è diventata
materia processuale, che si è sfarinata negli anni, sbriciolata accanto a
quella che si ingigantiva con i fascicoli del caso G8, Placanica, Diaz,
Bolzaneto, blak bloc.
Se il processo contro il blocco nero, i violenti-devastatori che hanno fatto
a pezzi la città, non ha raggiunto i risultati sperati, questo altro
processo non è neppure mai cominciato.
Eppure nella storia d´Italia, dall´unificazione ai giorni nostri, tra
monarchia e repubblica, ventennio fascista compreso, non era mai successo
che le forze dell´ordine picchiassero tanta gente, caricassero così
indiscriminatamente, esercitassero una violenza così totale e massiccia.
Neppure quando il generale Bava Beccaris fece sparare sulla folla e ci
furono i morti, la polizia si scagliò contro un numero così grande di
manifestanti. Mille e più feriti sono la dimostrazione di un sistema, di un
ordine, di una direttiva che era scattata in quei giorni a Genova ed aveva
portato le forze dell´ordine ad agire uniformemente. Attaccavano e colpivano
poliziotti, carabinieri, finanzieri con le stesse modalità e in ogni parte
della città. Chi non ricorda quella carica improvvisa a Piazza Manin contro
i manifestanti della rete Lilliput, in cui furono pestati anche singoli
manifestanti che erano lì per caso? Eravamo lontani dalla Zona Rossa, non
c´era alcun rischio, neppure negli spostamenti delle Forze dell´Ordine,
allora perché caricare? E perché caricare senza motivo in corso Italia quel
sabato mattina di terrore puro per tante famiglie, perfino per bambini,
nonne e nonni che sfilavano in discesa verso la Fiera? Il ricordo di quegli
assalti con i manganelli alzati è diventato un incubo difficile da
cancellare con i particolari raccapriccianti dell´anziana sorretta dopo le
botte davanti a Punta Vagno o di quell´altra scalciata a terra dagli
scarponi di un agente. Perché?
Tutto questo vuol dire che c´era una direttiva, un ordine in base al quale
oltre alla "macelleria messicana" della Diaz, alle torture della caserma di
Bolzaneto, la polizia doveva far rimbombare alla sudamericana gli scudi coni
i manganelli e poi pestare le "zecche" - come vengono chiamati i
manifestanti nelle registrazioni rese pubbliche oggi dei colloqui da volante
a questura -, dovunque erano e qualsiasi cosa facessero.
La magistratura, oberata dagli altri processi, non ha deciso di indagare su
questo rilevante aspetto. Non ha cercato fili di collegamento sulla presenza
a Genova in quei giorni nelle caserme di carabinieri e polizia del
vicepremier Fini di An e del ministro di Grazia e Giustizia il leghista
Castelli.
Domande scottanti alle quali non è stata mai data una risposta. Il
Parlamento, né quello a maggioranza berlusconiana, né questo a maggioranza
di centrosinistra, ha giudicato che un simile caso meritasse un´indagine, un
approfondimento. Si è giustamente discusso ampiamente (e ancora si dovrebbe
fare) sulle verità incomplete del caso Placanica, con quella pallottola
deviata dal calcinaccio, sulla Diaz dove quanto è emerso negli ultimi mesi
dimostra ciò che era evidente da subito, si è scavato dentro a montagne di
foto per scoprire le identità dei blak bloc e si è passato al setaccio ogni
centimetro della Caserma di Bolzaneto. Giustamente, anche se con risultati
non definitivi e passibili oggi dell´inesorabile macchina del tempo che
tritura le responsabilità con la prescrizione dei reati.
Ma sui "fatti di strada" niente di niente. La memoria del G8 genovese che
oggi si celebra è marcata dal corpo di Carlo Giuliani come un Cristo
crocifisso all´asfalto di Piazza Alimonda, dalle scene della macelleria
nella scuola Diaz, alle devastazioni delle strade, delle auto, delle
vetrine, al carcere di Marassi incendiato dai devastatori.
Ma oltre a questo il marchio indelebile è quella folla picchiata, inseguita,
travolta tra lacrimogeni e manganelli. Da corso Italia a piazza Manin. Mille
feriti, mille referti, centinaia di denuncie: un grande falò della verità.
FRANCO MANZITTI
L´ANNIVERSARIO DEL G8
Le avanguardie dei no global nello stadio che ospitò i Disobbedienti prima
della tragica manifestazione
Carlini, ritorno per pochi intimi
Oggi corteo fino in piazza Alimonda per ricordare Carlo Giuliani
MARCO LIGNANA
In centoventi si sono prenotati, in venti sono arrivati ieri. Il primo dei
quattro giorni dedicati al ricordo scorre via liscio come l´olio allo stadio
Carlini. Clima sereno, preparativi, allestimenti. Definire l´atmosfera
tranquilla è riduttivo. C´è una sola persona che cammina avanti e indietro,
dà indicazioni, apre e chiude porte e portoni, ed è Giuliano Giuliani. Alle
sei del pomeriggio va alla Coop «a fare colazione», la notte dormirà qui,
«insieme ai ragazzi». I primi ospiti arrivano già dal mattino. Sotto il sole
infernale di mezzogiorno spuntano alla "accettazione" Giacomo, Francesco e
Salvatore. Sono giovani, giovanissimi, nel 2001 erano ai primi anni di
liceo, Giacomo alle medie. Sono venuti in macchina da Asti: «Abbiamo
cominciato a interessarci di G8 con il "progetto Sherwood", ci siamo
documentati, abbiamo letto inchieste e controinchieste. Oggi volevamo
esserci a tutti i costi». Pure qualcuno presente in quei maledetti tre
giorni è già arrivato. Ilaria e Roberto, ventiquattro anni, studiano a
Bologna, lei "lingua e cultura di Asia e Africa", lui fisica. Alle quattro e
mezza sono al Carlini: «Eravamo a Genova il sabato del G8, il giorno dopo
l´uccisione di Carlo. Avevamo scelto di arrivare in treno, ma ci fecero
scendere a Quarto. In corso Italia ci caricarono. I lacrimogeni venivano
anche dall´alto, dagli elicotteri, ma ci riteniamo fortunati, non ci
successe niente di grave». Non sono a Genova soltanto per il gusto di
esserci: «Devono essere quattro giorni intensi, bisogna ridare animo al
movimento, che negli ultimi tempi si è un po´ smarrito. Dobbiamo parlare del
diritto di manifestare liberamente, in una supposta democrazia non è
possibile rischiare la pelle per potersi esprimere».
Intanto chi può fa una scappatella al mare, altri danno una mano: bisogna
scaricare la pasta, sistemare i cassonetti della spazzatura, attaccare i
manifesti alle pareti. Tante lenzuola in memoria degli episodi più oscuri
della Repubblica: piazza Fontana, Italicus, stazione di Bologna, fino a
Genova. Così come si parte da Francesco Lo Russo e Peppino Impastato per
arrivare a Federico Aldrovandi e Carlo Giuliani. La mostra "Luoghi
Resistenti" è già allestita, una trentina di tavole dalla Val di Susa a
Vicenza, dalla val di Noto alla Stoppani. Anche il ristorante è pronto,
tavoli e sedie in legno sono al loro posto. Alle sei e mezza le tende
piantate ai bordi dei due campi di calcio sono tre, ma i più hanno scelto di
portare solo il saccoapelo: «Dormiremo sui gradoni». La sera si mangia
pastasciutta, poi proiezione del film-documentario "Il Social Forum Mondiale
di Nairobi". Oggi sarà il giorno più importante, quello della «passeggiata
musicale», come l´ha voluta chiamare Giuliano Giuliani: «Sono solo due
chilometri e duecento metri. Altro che città bloccata, come ha detto
qualcuno». La partenza del corteo è prevista per le 14.30 ma quasi
certamente la partenza sarà posticipata. Certamente si arriverà in piazza
Alimonda prima delle 17.27, l´ora esatta in cui, sei anni fa, Carlo Giuliani
è stato ucciso. In mattinata tornerà a Genova anche Luca Casarini, uno dei
portavoce del movimento dei Disobbedienti. Sarà lui, insieme a don Andrea
Gallo, il protagonista di una conferenza stampa a Palazzo Ducale. Mentre
prendono posizione, con un comunicato congiunto, Claudio Burlando,
Alessandro Repetto e Marta Vincenzi, in cui si ricorda che «Gli elementi di
conoscenza che continuano a emergere dallo svolgimento dei processi per i
fatti del G8 confermano la gravita´ della ferita che si è prodotta in quelle
drammatiche ore per la città di Genova e per il rispetto dei diritti
democratici nel nostro Paese».
L´ex portavoce del social forum: "Dopo Genova, il vertice non sbarchi in
Sardegna"
Agnoletto, l´obbligo di ricordare "Ma ora blocchiamo la Maddalena"
"La storia ci ha dato ragione, le esperienze di quei giorni sono patrimonio
comune"
GIUSEPPE FILETTO
NON CI saranno manifestazioni che possono degenerare, né reazioni violente,
tantomeno scontri con polizia e carabinieri. «Tutto dovrebbe svolgersi
tranquillamente», assicura Vittorio Agnoletto, parlamentare europeo. L´ex
portavoce del Genoa Social ForumGlobal è giunto a Genova nel tardo
pomeriggio di ieri e vi rimarrà fino a sabato, e si aspetta che nel
capoluogo ligure alla fine arrivi almeno un migliaio di persone.
Non c´è alcunché da temere?
«Non c´è alcun motivo di avere paura, anche se è evidente che negli scorsi
giorni ci sia stata una provocazione da parte di un sindacato di polizia,
nel tentare di fare una manifestazione senza alcun contenuto e di ottenere
un solo risultato».
Quale?
«Questo tentativo è riuscito soltanto a far crescere la tensione mediatica».
La contromanifestazione del Coisp è stata revocata, quindi quest´anno sarà
una commemorazione come gli scorsi?
«Tutti gli anni abbiamo fatto iniziative in ricordo di quei giorni. Certo
quest´anno l´incontro è più importante, dopo le dichiarazioni di Fournier,
le ammissioni più o meno parziali di altri interrogati, gli avvisi di
garanzia all´ex capo della polizia De Gennaro; l´attuale capo Manganelli
dice che farà delle nuove indagini sulle responsabilità. Inoltre, sono state
rese pubbliche alcune telefonate di gente che doveva garantire l´ordine
pubblico, invece si compiaceva dei disordini e si augurava altri morti».
Tutto questo significa che ci sarà più tensione?
«Assolutamente no, ma ci sono molti motivi in più per tornare a ricordare
quello che è avvenuto a Genova in quei tre giorni del luglio 2001. La storia
finora ci ha dato ragione e sono certo che ci darà ragione in futuro. Aldilà
di come finiranno i processi, il nostro obiettivo è l´opinione pubblica,
tanto che in questi tre giorni proprio dal Carlini inizierà la discussione
con le diverse anime del movimento sul G8 alla Maddalena».
Quale ragionamento?
«Dal capoluogo ligure partirà l´appello rivolto al Governo per decidere di
non fare il G8 su quest´isola della Sardegna. Questo appello arriva in un
momento particolare. Verrà lanciato tre giorni prima della perlustrazione
che la delegazione del Governo farà il 25 luglio prossimo. Ci sono poi tre
considerazioni da fare...».
Quali sono?
«Torniamo a chiedere la commissione parlamentare d´inchiesta, che era
all´interno del programma dell´Unione. Inoltre, domandiamo che intenzione ha
il Governo rispetto ai dirigenti che all´epoca del G8 a Genova avevano ruoli
di comando; dal precedente Governo sono stati promossi».
La terza considerazione?
«Più che altro è una riflessione sui contenuti di quei giorni: oggi possiamo
dire che quelle esperienze sono diventate patrimonio della gente e sono
entrati nell´agenda politica».
Ci faccia qualche esempio.
«È stata fatta la legge contro la privatizzazione dell´acqua in Italia;
siamo riusciti a far ritirare le truppe da alcuni Paesi orientali e dalle
zone di guerra, come l´Iraq».
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Il Giornale
Amaro G8, la polizia è indagata e i no global fanno gli onorevoli
di Diego Pistacchi - venerdì 20 luglio 2007, 07:00
da Genova
Haidi Giuliani è senatrice. Francesco Caruso è deputato. Vittorio Agnoletto
fa il parlamentare europeo. Gianni De Gennaro l’indagato. C’è
solo lo stesso sole di sei anni fa a Genova. Ma tutto il resto è cambiato,
tutto è rovesciato. Quello che all’epoca del G8 era il capo della
polizia ora è sotto inchiesta. Chi era in piazza a contestare il vertice dei
grandi della terra è nella stanza dei bottoni, ma dice di voler riportare
indietro l’orologio di sei anni. Vuole «riprendersi Genova» per
processare in piazza «la macelleria messicana della polizia» e via
accusando. Vuole tornare dove è morto Carlo Giuliani, in quella piazza
Alimonda dove stava assaltando una jeep di carabinieri mascherato con un
passamontagna e armato di estintore.
L’orologio però è andato avanti. E così ci si arrangia. Lo stadio
Carlini, quello che fu il quartier generale del Genoa Social Forum, quello
invaso e sfasciato da decine di migliaia di no global, è stato concesso con
esplicita autorizzazione del sindaco Marta Vincenzi (che peraltro, fidandosi
dei compagni di lotta discontinua, ha comunque chiesto una fideiussione per
eventuali danni). In mezzo al prato del campo da calcio c’è una tenda
da campeggio e c’è Giuliano Giuliani, il papà di Carlo, l’unico
a non essere riuscito a farsi eleggere da qualche parte (neppure in Comune a
Genova presentandosi con il simbolo dei Ds), che si aggira da solo, cercando
qualcosa da organizzare. I quattro giorni di eventi sarebbero iniziati ieri,
con proiezioni di filmati a sorpresa, video mai visti, documentari-verità,
dibattiti. La città non se n’è accorta. Sei anni fa, il 19 luglio,
aveva già capito l’aria che tirava. Le prime cariche della polizia
c’erano già state. I primi cortei avevano già convinto i negozianti a
tirare giù le serrande e a scappare.
Era il preludio al 20 luglio. Quello dei black bloc inafferrabili e
sfasciatutto, quello della guerriglia in ogni parte di Genova, quello
dell’assalto alla zona rossa, dei blindati dei carabinieri dati alle
fiamme. E quello di Carlo Giuliani morto in piazza Alimonda. Da quel 20
luglio, ogni anno viene rilanciato l’appuntamento al mondo no global,
al popolo dei movimenti. Che ogni anno si ripresenta sempre più
assottigliato, sempre più imborghesito. Quello di oggi è il tentativo
dell’ultimo colpo di coda. Perché non sarebbe una ricorrenza «tonda»,
non cadono neppure i dieci anni. Eppure il 20 luglio 2007 è il primo dopo la
sostituzione del capo della polizia, dopo la sua iscrizione nel registro
degli indagati, dopo le prime «confessioni» in aula dei poliziotti cui è
improvvisamente tornata la memoria per accusare i colleghi dei pestaggi
compiuti. La Genova che interessa non è più quella delle vetrine da
sfasciare, delle banche e delle carceri da assaltare, ma quella delle
vittorie politiche.
E così oggi in piazza i poliziotti ci saranno, ma con l’ordine di
tenersi in disparte, di farsi vedere il meno possibile. La presa della zona
rossa stavolta è concordata. Finta. Anche il sindacato Coisp, che aveva
annunciato una contromanifestazione di agenti proprio in piazza Alimonda,
dopo l’ultimo braccio di ferro con il prefetto Giuseppe Romano,
proprio ieri mattina ha fatto un passo indietro e «prenotato» il campo per
l’anno prossimo. Da parte loro gli organizzatori, gli ex contestatori,
garantiscono un servizio d’ordine interno, promettono di fare i bravi
e di essere in pochi. Detto da chi di solito contesta i dati ufficiali della
questura, saranno solo «qualche centinaio». E alla fine la maggioranza di
loro sarà a Genova anche per altri motivi. Come tutti i dirigenti della
«Sinistra europea», quel nuovo gruppone che va da Rifondazione a ben undici
«reti nazionali di movimenti associativi» e che domani ha fissato proprio a
Genova la sua prima assemblea nazionale con l’annunciata presenza di
circa duecento delegati. Pronti a partecipare alle manifestazioni
dell’anniversario come ai lavori del partito.
A Genova oggi sarà come sei anni fa. Ma gli unici sicuri della previsione
sono solo i meteorologi.
--
Carlo
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