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Benemeriti calci nei coglioni
di Maristella Iervasi
sezione genova 2001
risorsa l'Unità
«"Sei un comunista di merda”, mi dicevano. Un “terrone comunista 
figlio di operai”... E giù botte e manganellate allo stomaco senza 
pietà. Avevano sul telefonino “Faccetta nera” e si misero a 
cantarla in coro addosso a me. Non voglio dimenticare perchè voglio verità e 
giustizia. La mia vicenda personale è stata archiviata e mi è stato negato 
il risarcimento per l’ingiusta detenzione di tre giorni. Ma vorrei che 
la Benemerita finisse sotto processo. Invece il battaglione Lombardia che mi 
arrestò e il comando della caserma provinciale Forte S. Giuliano dove io e 
tanti altri fummo pestati, insultati e minacciati sono usciti indenni. 
Manganelli, sputi e pugni ad ogni passo nei corridoi. I miei testicoli 
assaggiarono il cuoio degli anfibi di un militare. C’erano marascialli 
alla Fiera con il viso mascherato da passamontagna che ci minacciavano. 
Eravamo ammanettati e ci dicevano: “Adesso vi facciamo la festa, vi 
mettiamo in gabbia con i cani” Fino al tormento di un uomo in
abiti borghese, con tanto di orecchini e capelli lunghi lisci: ci segnava 
con le sue mani in faccia il segno della croce e mentre un suo amico ci 
teneva fermi, ci sferzava pugni chiusi sulle tempie».
I pestati del G8: «Le telefonate? Solo una parte dell’orrore»
Paolo e Gabriele erano in piazza a Genova: «Non avevamo fatto nulla Portati 
in caserma e massacrati dai carabinieri. Ma nessuno pagherà»
di Maristella Iervasi
GABRIELE G. clicca e riclicca quel tasto. Ascolta e riascolta su Internet 
l’audio delle telefonate dei poliziotti alla Questura, depositate al 
processo per le violenze del G8 di Genova. E scuote la testa: «Alcuni pezzi, 
certi frasari mi sono noti: è come se me li sentissi ripetere ancora oggi 
addosso. Ma la realtà di quel che è accaduto a Genova non traspare più di 
tanto. Il clima in quei giorni di luglio - sottolinea - era davvero 
pesante». Gabriele nel 2001 si era appena diplomato e l’occasione di 
partecipare al G8 non voleva perderla. Così, tesserato di Rifondazione a 
Palermo, partì in treno con loro. «Mi ero equipaggiato bene - racconta -: 
anfibi, giubotto di salvataggio e gli occhiali della Fincantieri presi in 
prestito dal mio papà operaio».
Aveva dormito allo stadio Carlini e la mattina dopo partecipò al corteo. «A 
metà corteo, quasi all’altezza di via Tolemaide mi ero staccato dal 
gruppo per vedere cosa accadeva in testa, dove i manifestanti avevano gli 
scudi in plexigas. I carabinieri che erano di fronte non volevano che 
proseguissero oltre, loro invece avanzavano. Così ecco la prima carica e il 
fuggi-fuggi generale. Io non mi sono mischiato, ho cercato riparo in una 
traversa laterale. Ma era una strada senza uscita. C’era un ferito 
sanguinante e un’infermiera che lo medicava, mi chiese aiuto ed io mi 
fermai. Ma all’improvviso arrivò un carabiniere e mi prese: “Tu 
vieni con me”, mi disse. Poi ne arrivarono altri, che urlavano: 
“Chi posso prendermi?”». E nella lotteria la sorte cadde su 
Paolo F., impiegato di Pavia, arrivato al G8 di Genova solo per scattare 
qualche fotografia.
Hanno subito lo stesso girone dell’inferno Paolo e Gabriele, senza 
conoscersi. Entrambi vegono fatti salire su un furgone e lì comincia un 
saliscendi di uomini in divisa che sputa, li insulta, li picchia. Solo 
l’inizio di un calvario, «mentre una voce urlava in una 
ricetrasmittente: “Sì aquilotto, chiama la canna. Li ho presi tutti 
io...». Poi le perquisizioni e i documenti. E per Gabriele le vessazioni 
diventano sempre più pesanti. «”Sei un comunista di merda”, mi 
dicevano - racconta il ragazzo -. Un “terrone comunista figlio di 
operai”... E giù botte e manganellate allo stomaco senza pietà. 
Avevano sul telefonino “Faccetta nera” e si misero a cantarla in 
coro addosso a me».
Storie di chi quei giorni di violenza li ha vissuti sulla propria pelle. 
Storie di chi è stato arrestato ingiustamente e ha denunciato l’Arma 
senza alcun esito. Come Paolo: «Non voglio dimenticare perchè voglio verità 
e giustizia. La mia vicenda personale è stata archiviata e mi è stato negato 
il risarcimento per l’ingiusta detenzione di tre giorni. Ma vorrei che 
la Benemerita finisse sotto processo. Invece il battaglione Lombardia che mi 
arrestò e il comando della caserma provinciale Forte S. Giuliano dove io e 
tanti altri fummo pestati, insultati e minacciati sono usciti indenni».
Oggi Paolo ha 43 anni e fa parte del Comitato verità e giustizia per il G8. 
Nella carica di via Tolemaide cercò una via di fuga, ma finì nella stessa 
stradina cieca di Gabriele. Racconta: «Un uomo in divisa continuava a 
ripetermi: “a te ti conosco, ti ho visto a Napoli...” Non ero un 
no-global, una tuta bianca. Ero vestito normalmente, di strano avevo solo un 
paio di occhialetti da piscina». E dalle 14.20 di venerdì 20 luglio fino 
alla mezzanotte restò nelle mani della Benemerita. Poi in carcere a Pavia, 
fino al lunedì successivo.
Il furgone con Paolo e Gabriele si ferma davanti alla questura per oltre 
un’ora. Dentro, vengono «buttate» anche altre persone. Poi riparte in 
direzione della Fiera, dove «i miei testicoli assaggiarono il cuoio degli 
anfibi di un militare». Ma il racconto degli orrori non si ferma qui. 
«C’erano marascialli alla Fiera con il viso mascherato da 
passamontagna che ci minacciavano - racconta Gabriele. Eravamo ammanettati e 
ci dicevano: “Adesso vi facciamo la festa, vi mettiamo in gabbia con i 
cani”». Poi l’«ordine» di spostarsi alla caserma di Forte S. 
Giuliano, sede del comando provinciale dell’Arma che ricevette la 
visita di Fini e del responsabile della sicurezza Ascieto. «Ci sembrava una 
liberazione - conclude Paolo -. Invece... manganelli, sputi e pugni ad ogni 
passo nei corridoi. Fino al tormento di un uomo in abiti borghese, con tanto 
di orecchini e capelli lunghi lisci: ci segnava con le sue mani in faccia il 
segno della croce e mentre un suo amico ci teneva fermi, ci
sferzava pugni chiusi sulle tempie».
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Carlo
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