[NuovoLab] I signori (europei) della guerra

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Szerző: Edoardo Magnone
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Tárgy: [NuovoLab] I signori (europei) della guerra
I signori (europei) della guerra

di Alessandro Cisilin, Megachip - da Galatea Europea Magazine

Era la fine degli anni '70, il tempo dell' austerity . Le televisioni pubbliche
europee si inventavano i panettoni diurni domenicali, per tenere a casa le
persone e confortarle della possibilità virtuale di un'altra realtà. Diversa da
quella degli anni di piombo e della Guerra fredda, di un mondo sull'orlo della
crisi e di catastrofici conflitti in atto, di un'escalation di atomiche a uso
degli eserciti e di un capillare boom di armi leggere a disposizione di
chiunque. La storia forse non è ciclica, come dicevano gli antichi e l'ancora
attuale mito dell'eterno ritorno descritto da Mircea Eliade.

C'è da qualche parte un cambiamento di “ struttura ”, come lo definiscono i
sociologi, ci sono forse i “ conflitti di classe ”, come pensava Marx, e c'è
soprattutto un “ tempo lungo ”, come scrivono gli intellettuali transalpini,
per spiegare che la storia cambia davvero, nei suoi sostrati politici e
culturali, solo nell'arco di alcuni secoli.

E da allora infatti sono passati solo trent'anni, e la storia è la stessa, tra
conflitti reali, terrorismi e scontri potenziali, e con una produzione di armi
di ogni scala tornato agli allori di quel tempo. Nel frattempo è nata una
specie di Europa politica, che si è saputa fare largo anche in tale mercato.
Oltre un quarto delle armi vendute nel mondo viene dal vecchio continente, e
negli ultimi tre anni c'è stato addirittura il sorpasso con gli Stati Uniti. Se
poi si aggiunge la Russia, che con massicci investimenti bellici si è oramai
ripresa la potenza militare sovietica, si constata che tre quarti delle armi in
circolazione è fabbricato nella frazione terrestre tra gli Urali e il Texas. Il
Nord, dunque, o l'Occidente, a seconda del punto di vista, finanzia quasi tutte
le guerre del Sud, e ci guadagna vistosamente. Non è dunque solo una generica
responsabilità politica, quella trainata dall'Europa, con squilibri globali
alimentati da ragioni coloniali di scambio commerciale, con percentuali sempre
più esigue di contributi-elemosina allo “ sviluppo ”, con impegni
sistematicamente disattesi tra un annuncio dei G8 e l'altro, con alleanze
sconsiderate con gruppi di “ resistenza ” poi rietichettati come “ terroristi
”.

E' molto di più, è l'apporto mortalmente fisico della fornitura diretta di armi.
La spesa militare globale ha raggiunto oggi i Pil di interi continenti, con
livelli di crescita - registrati dal Sipri, l'autorevole Istituto di ricerca
per la pace di Stoccolma - del 37% nell'ultimo decennio, e proporzioni rispetto
all'economia complessiva che riportano il pianeta, appunto, ai valori di
trent'anni fa. L'Europa, in verità, rispetto ad altri ha rallentato i ritmi di
crescita, ma con rilevanti eccezioni. E' il caso dell'Italia che, in materia di
esportazioni di armi ha segnato un più 3,5% nel solo ultimo anno, grazie a
soprattutto a Finmeccanica, azienda a partecipazione statale, contribuendo a un
commercio internazionale incrementato nel settore del 50% negli ultimi cinque
anni. Salgono le spese militari, e sale a velocità ancor di più vertiginosa,
quindi, la contaminazione del resto del globo.

E dove vanno esattamente tutte queste armi? Tra i dieci principali importatori
al mondo ci sono cinque paesi del Medio e Vicino Oriente, ossia l'intera area
insanguinata tra il Golfo Persico e il Mediterraneo. Dalla Gendarmeria turca,
tra un bombardamento e l'altro sul Kurdistan, si denuncia, il 60% delle mine a
disposizione dei ribelli comunisti del Pkk è di provenienza italiana, smerciate
attraverso l'Iraq. Quel gruppo, a dispetto della repressione subita, ha
l'etichetta e il boicottaggio europeo del “ terrorista ”. Non può ricevere
nulla, salvo le armi. Analoga la rabbia della fame in Palestina, con l'embargo
su Hamas e la matrice nostrana a ogni giorno di spari.

Le domeniche alle tv europee sono diventate intanto più articolate, con la
competizione delle emittenti commerciali e l'avvenente cornice di ragazze
svestite e quasi commosse alla vista dei bimbi mutilati dalle guerre, per i
quali si fa la raccolta di fondi, via sms. E coi ministri a dire che è forse il
momento di una qualche forza (militare) di pace, per impedire che continuino
affluire armi. Omettendo di raccontare che a dargliele siamo proprio noi.


http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=4328