[Forumlucca] la Guantanamo afghana? E' italiana

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Autor: asa lucca
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Dla: forumlucca
Temat: [Forumlucca] la Guantanamo afghana? E' italiana
la Guantanamo afghana? E' italiana

By: Il Manifesto - Inviata il 6/7/2007 - Ore: 02:15

Giustizia a Kabul
E la Guantanamo afghana? E' italiana
Manlio Dinucci
Tommaso Di Francesco

L'Italia è il paese guida per la «giustizia» e le carceri in Afghanistan,
come ha confermato la conferenza di Roma. Solo a marzo il ministro della
difesa afghano, Abdul Rahim Wardak, ha inaugurato il nuovo blocco di massima
sicurezza del carcere di Pol-i-Charkhi presso Kabul, con l'annuncio: «Non
manderemo più nessuno a Guantanamo». Invece ancora a giugno alcuni
«comandanti della guerriglia talebana» sono trasferiti a Guantanamo. Ma ora
ecco il «nuovo» carcere appena fuori Kabul, direzione est: un cassone di
cemento armato, telecamere, microspie e sensori laser: 324 celle, 172
guardie addestrate dalle forze speciali americane e italiane, filo spinato e
mura insormontabili. Alla realizzazione della Guantanamo afghana ha
contribuito in modo decisivo l'Italia. Nella ripartizione dei compiti per
garantire la «sicurezza interna» dell'Afghanistan sono stati individuati
cinque «pilastri prioritari». Nell'illustrazione della cooperazione italiana
è un tempio greco con le colonne portanti sotto la leadership di altrettante
«nazioni guida»: l'esercito è affidato agli Usa, la polizia alla Germania,
l'anti-narcotici alla Gran Bretagna, il disarmo delle milizie parallele al
Giappone, la giustizia all'Italia. E' stato a tal fine costituito nel 2003,
sotto il governo Berlusconi, «l'Ufficio italiano giustizia» che si occupa
del «ripristino di un'efficace amministrazione giudiziaria». In tale quadro
rientra la «costruzione o riabilitazione di infrastrutture: tribunali,
uffici, prigioni». Dopo una iniziale concentrazione delle attività a Kabul,
«l'attenzione dei progetti italiani va ora gradualmente espandendosi alle
province ed ai distretti». Rientra in tale quadro la costruzione di altre
carceri «per migliorare le condizioni di vita dei detenuti». L'impegno al
«programma giustizia» è stato confermato dal governo Prodi, «fornendo - sono
le parole del sottosegretario agli esteri Gianni Vernetti - un contributo
concreto non solo in termini di uffici del ministero, ma anche di tribunali,
procure e carceri; a questo si aggiunga la formazione di 2.000 operatori
della giustizia: giudici, procuratori, avvocati, operatori penitenziari».
Resta da vedere quanto questi «operatori di giustizia» operino per la
giustizia. E quale sistema di giustizia possa essere costruito da chi, dopo
aver occupato il paese, gli detta le norme di diritto che esso deve seguire.
Una cosa è certa: la costruzione di nuove carceri, finanziata dall'Italia,
serve. Soprattutto agli Stati uniti. Come ha confermato il segretario
dell'Onu nel settembre 2006, nel centro di detenzione di massima sicurezza
di Pol-i-Charkhi dovrebbero essere trasferiti gli afghani - circa 70
detenuti a Guantanamo (Cuba) e parte degli 800 detenuti nella base aerea di
Bagram in Afghanistan. A che servirà la nuova Guantanamo afghana? Servirà
per l' opinione pubblica mondiale: se ci sarà qualche abuso, ora la colpa
sarà di Kabul. Di fronte all'indignazione del mondo per le torture dei
militari Usa ai prigionieri di Guantanamo, Bagram, Abu Ghraib e altri centri
di detenzione, Washington cerca, dov'è possibile, di consegnare formalmente
i prigionieri alle «autorità» nazionali. Così, quando verranno alla luce
altre prove di torture, saranno queste a risponderne. Allo stesso tempo i
prigionieri continueranno ad essere in mani americane: lo conferma il fatto
che le guardie afghane del centro di detenzione di massima sicurezza di
Pol-iCharkhi sono state scelte e addestrate da forze speciali Usa, esperte
in tecniche di tortura. Ai prigionieri trasferiti da Guantanamo, Bagram e
altri centri di detenzione Usa, si aggiungeranno quelli che saranno
catturati nelle operazioni in corso della Nato-Isaf e in future operazioni
militari. C'è quindi bisogno di nuove carceri, dove imprigionare e
interrogare chiunque, talebano o no, resista all'occupazione o debba
comunque essere interrogato sotto tortura per estorcergli informazioni o
fargli confessare crimini magari non commessi.


il manifesto
04 Luglio 2007

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