[Incontrotempo] dopo bush a roma..un contributo alla discuss…

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Author: info
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To: incontrotempo
CC: pop
Subject: [Incontrotempo] dopo bush a roma..un contributo alla discussione

Forse l’azione diretta più efficace durante i giorni della visita europea
di G.W. Bush, è stata quella della riappropriazione materiale della
ricchezza, sfilando direttamente dal polso del presidente USA, l’orologio
d’oro che ilcriminale texano sfoggiava mentre s’immergeva in un albanese
bagno di folla, che ancora ringraziava le bombe “umanitarie” del ‘99 sulla
Serbia.

Ma al di là di uno degli atti più eversivi commessi contro il Presidente
Usa dall’inizio del suo mandato (l’altro lo ascriviamo all’attacco
terroristico dei mitici salatini che fecero rantolare a terra Bush con il
rischio di strozzarlo), i segnali di dissenso, protesta e forte
indignazione contro Bush e i signori della guerra, si sono moltiplicati in
più parti del mondo a partire dalle giornate di mobilitazione a Rostok
dove migliaia di persone si sono scontrate con la polizia tedesca che in
assetto da guerra aveva blindato un’area di diversi km intorno al vertice.
A Rostock era stato predisposto quel dispositivo militare della guerra
preventiva a bassa intensità che da Napoli 2001, passando per Genova,
ormai conosciamo bene.

Un segnale chiaro ai movimenti globali dopo anni di iniziative e
contro-vertici: chi si oppone all’oligarchia mondiale deve cimentarsi con
tutti quei dispositivi della new strategie army che ridisegnano un modello
neo-autoritario e neo-securitario della gestione del potere economico e
politico.
Da Buenos Aires a Caracas, da San Paolo a Lima, da New York a Rostok, G.W.
Bush, malgrado ciò, è stato accolto da una massa critica eterogenea e
irregolare, composita e radicale, creativa e attiva. Le lotte sociali,
ambientali, anticapitaliste in tutto il mondo hanno deciso di dire la loro
e di segnare questi passaggi con delle giornate di lotta e contrasto alla
politica economica che, non solo simbolicamente il presidente americano
rappresenta. Contro la prepotenza delle banche e della multinazionali che
attraverso le politiche globali ratificate dagli accordi degli organismi
internazionali - tra cui FMI, W.T.O e G8 – distruggono le economie locali,
privatizzano i servizi e i beni comuni, precarizzano e schiavizzano la
vita ed il lavoro di milioni di donne e uomini, distruggono il clima e il
nostro ambiente naturale

Roma, 9 giugno ’07.

E così anche a Roma le lotte sociali, ambientali, le organizzazioni dei
diritti umani, i comitati locali contro le grandi opere armate, hanno
manifestato contro il criminale di guerra. Una manifestazione aperta dai
movimenti del NO che in quest’ultimo periodo hanno espresso esperienze
nuovedi protagonismo sociale che rimette in discussione il tema della
sovranità, rispondendo cosi alle scelte calate dall’alto dei governanti di
ogni specie e rimettendo in discussione proprio il tema del “chi decide”.
Esperienze di lotta da guardare con interesse perché rimettono in cammino
ipotesi di autorganizzazione, perché partono dalla centralità del
territorio, sfruttato e violentato, perché ricostruiscono forme di
solidarietà nuova come il Patto di mutuo soccorso. Patto tra le lotte, per
resistere. Patto al quale ci aggreghiamo e a cui uniamo la nostra forza
per sostenere le lotte che nei prossimi mesi dovranno resistere alle
pressioni del governo della “partecipazione al consenso”, a cominciare
dalla base NATO di Vicenza e dalle nuove proposte governative sulla
questione della TAV.

Con questa idea siamo scesi in piazza a Roma. Con il tentativo cioè di
sottolineare ancora una volta, come facciamo da sempre, della necessità di
rivendicare l’autonomia dei movimenti. In questi anni lo abbiamo ripetuto
più e più volte, la possibilità di ricostruire una dinamica comune, un
rapporto di forza reale, una opportunità di cambiamento passa attraverso
la visibile, praticabile, rivendicata autonomia dei movimenti. Lo abbiamo
detto quando in molti correvano dietro elezioni più o meno locali cercando
di accreditarsi come rappresentanti del “movimento”, lo abbiamo praticato
nel rapporto con una forza istituzionale come rifondazione comunista,
mantenendo cosi un rapporto chiaro, paritario e soprattutto politico e mai
opportunista, lo abbiamo fatto e ripetuto in tutte le nostre lotte, dalla
casa agli spazi sociali, dalle mayday contro la precarietà alle esperienze
di sport autogestito, dalle manifestazioni per il reddito garantito agli
eventi dei controvertici. E così anche il 9 giugno, abbiamo voluto
manifestare contro Bush e la politica omicida dei padroni del mondo, e
rilanciare una proposta chiara che và nella direzione di ricostruire un
ambito di movimento, autonomo, sganciato dai portavocismi, dalle tattiche
di bassa lega dell’autonomia del politico, dal continuo inquinamento, dei
professionisti della rappresentanza, dei percorsi autonomi.

Il 9 giugno in tanti e differenti realtà, abbiamo saputo costruire una
manifestazione che ha provato ancora una volta a rompere il clima di
criminalizzazione che già avevamo vissuto a Genova, a partire dalla
rottura dell’isolamento politico e del divieto, trascinando prefettura e
questura attraverso lunghe trattative cosi da far autorizzare il percorso
al centro della città senza accettare riserve, zone rosse o divieti. Nel
riconoscere poi, il diritto a manifestare e quindi a raggiungere la
capitale gratuitamente con i treni, cosa che in tutti i modi il Ministero
degli interni e Trenitalia hanno tentato di impedire in diverse città,
costruendo ad arte la provocazione poliziesca.

In molte stazioni si sono dovuti bloccare i treni per permettere a tutti
di raggiungere Roma. Ma i tentativi di provocazione si sono protratti a
lungo, dai checkpoint sulle autostrade, con perquisizioni dei pulmann,
fermi e identificazioni durante la mattinata contro l’iniziativa degli
studenti medi, i camion con le amplificazioni bloccati e controllati dalla
Digos, e infine con l’imponente schieramento di Forze dell’Ordine durante
il corteo che ci regalava una Piazza Venezia cosi folta di polizia che
sembrava di vivere un film dal titolo: “Prove tecniche di regime”. Il
tentativo mal riuscito da parte del governo di isolare la manifestazione
boicottandone il corteo non è riuscito, e il tentativo della sinistra di
governo, con la proposta di un ulteriore appuntamento a Pzza del Popolo,
ha dimostrato nello stesso momento la forza (del regime) e la debolezza
(della sinistra radicale di governo) di fronte ad oltre 100.000 persone
decise a riprendersi la parola e la città.

Rabbia e determinazione contro la presenza di Bush a Roma, ma anche e
soprattutto contro la politica economica, sociale e militare del governo
Prodi, hanno caratterizzato il 9 giugno. Ma anche una forte richiesta di
non interrompere il cammino, a partire dalla necessità di rimettere in
moto un processo che veda i movimenti sganciati dal ricatto governista e
antiberlusconiano. I bisogni sociali, le rivendicazioni di nuovi diritti,
la pratica del rifiuto della guerra, sono diventati più importanti di
qualsiasi tattica politicista e di qualsiasi ricatto governista.

La ripresa di parola di molti si è vista a partire proprio dalla capacità
di costruire una giornata di lotta come il 9 giugno, senza dover passare
il tempo a rincorrere i media o i diversi partitini che anche nei
movimenti si muovono. La partecipazione di tanti senza tessera, è garanzia
di autonomia.

La nostra partecipazione dunque guardava in più direzioni. Innanzitutto
dare un benvenuto al presidente assassino, mandanogli cosi una cartolina
con 100.000 NO e partecipare al rifiuto globale della politica americana.
Ci interessava rendere visibile uno spezzone delle lotte sociali di questa
città, costruito insieme al coordinamento cittadino di lotta per la casa,
con i migranti, i precari, gli studenti medi e universitari. Rendere
visibile un processo che ormai a Roma si è innescato e che a partire
proprio dai territori tenta di riprendersi la città laboratorio del PD.
Porre uno scarto tra movimenti e partiti di governo, foss'anche della
sinistra radicale, cosi da rendere ancora più visibile la "non contiguità"
con il centrosinistra ed i partiti di lotta e di governo.

Inoltre ricordare il lavoro fatto in questi anni sul tema della lotta per
la casa, insieme agli altri movimenti, che sono riusciti a strappare un
primo vagito di politica sulla casa, puntando sia sul piano locale che
nazionale.

La presenza nel nostro spezzone del coordinamento di lotta per la casa,
significava rifiutare la presenza del macellaio texano a partire proprio
dal terreno della contraddizione abitativa, che passa dal mercato
dell’affitto alle cartolarizzazioni, attraverso criminali politiche
economiche di svendita del patrimonio immobiliare pubblico che hanno
regalato centinaia di palazzi alle banche armate multinazionali tra cui
proprio quelle americane come la Morgan e la Carlyle.

Infine, lo sguardo dentro le possibilità, le opportunità di crescita di un
movimento autonomo, in grado di ricostruire dai territori (come ci
indicano le lotte dei movimenti del NO) nuove alleanze sociali, nuovi
percorsi di lotta, nuovi rapporti di forza in grado di trasformare
l’esistente.
Uno spezzone costruito dunque con un pezzo di questa città che sulla
propria pelle vive la precarietà della vita. Uno spezzone animato da
diverse esperienze sociali come la squadra di Rugby All Reds, che ha
saputo rilanciare l’idea di sport come iniziativa politica e di
riappropriazione
della propria vita, insieme agli occupanti delle case, agli studenti
universitari, ai migranti, al comitato “CdR” e a molti altri che hanno
saputo dare un segnale forte di attivazione collettiva e di tutela comune,
cosi come tanti altri spezzoni, assumendosi la responsabilità di
proteggere il corteo stesso dalle possibili provocazioni che la polizia in
questo paese troppo spesso mette in campo.

Tuttavia c’è poco da gridare alla rivolta e campare sulle declamazioni
entusiastiche a fronte di qualche tentativo di forzatura. Il ritardo tutto
politico, di un movimento a partire dalla capacità di riconoscersi come
tale, rende visibili tutte le debolezze presenti e tutto il lavoro
necessario da fare per costruire reali percorsi di autonomia. Purtroppo,
oggi come ieri, non bastano semplici sommatorie di sigle e siglette di una
o più città, non basta rimestare sempre dentro lo stesso calderone
pensando di essere di più, sempliecemente ricomponendo forzatamente pezzi
o pezzettini di movimento sparsi nella penisola. Riteniamo che oggi sia
invece più interessante ed utile riaprire percorsi sociali in grado di
aggregare forze nuove, in grado di intervenire nelle contraddizioni reali
piuttosto che giocare all’acchiappatutto nel movimento. Pensiamo più utile
ed interessante saper intervenire oltre noi stessi e rimetterci in cammino
dentro un più ampio scenario sociale che inesorabilmente rischia di
schierarsi sempre più a destra e di rendere quel populismo
dell’antipolitica una forza di maggioranza sociale
incline più alla barbarie che alla rivolta di classe.

La nostra scelta di scendere con le nostre esperienze, diverse ma comuni,
in uno spezzone tutelato e in grado di tutelare, è stata una scelta di
opportunità, di visibilità di un idea diversa di affrontare il nuovo
percorso politico che tutti quanti hanno di fronte. Abbiamo voluto
segnalare la necessità di costruire un fare comune nuovo, a partire dal
riconoscimento delle esperienze di ognuno ma in grado di farsi corpo
unico, a prescindere dall’essere uno studente, un occupante di casa, un
giocatore di rugby, un giovane di un centro sociale o un precario. O tutte
queste cose insieme. Questo è stato il nostro senso comune, quello di fare
una proposta politica, di metodo e di orizzonte possibile, dentro una
giornata che rischiava di divenire
scontata. Il nostro contributo al 9 giugno quindi voleva guardare in più
direzioni cercando cosi, anche oggi, di rimettere al centro del dibattito,
la necessità di costruire un nuovo movimento di lotta che sia radicato e
radicale, che costruisca strategie e non viva di eccesso di tatticismo,
che sappia
aggregare e che non si concentri solo sull’arginamento della crisi della
militanza.

Una proposta necessaria, proprio oggi che sul piano sociale, cosi come su
quello politico, si avvia con urgenza, la necessità di rimettere in piedi
percorsi politici credibili, affidabili, in grado di ribaltare con forza
innazitutto l'idea di politica come mero strumento di potere e arroganza.
Ci è sempre interessata invece l'idea della potenzialità che diventa
potenza, del tutto per tutti, nessuno o tutti, o tutto o niente.

Dobbiamo riflettere inoltre su un livello di militarizzazione e blindatura
che la manifestazione ha subito. Nonché del ruolo svolto dalle forze
dell’ordine che pare abbiano “agito da polizia europea”. Il livello
scelto da questo governo per affrontare nei contenuti e nella Piazza la
radicalità dell’autonomia dei movimenti, oltre ad un muscolare dispositivo
di controllo preventivo e blindatura della manifestazione con più di
diecimila agenti in tenuta antisommossa, lancia un segnale chiaro di un
modello di “dialogo” nuovo, che sembra in apparenza rendere tutto
compatibile, anche se questo significa blindare una città o rifarsi la
sera stessa nelle stazioni ferroviarie, come a Tiburtina.

Un ultimo pensiero va agli arrestati del 9 giugno che, a partire dalla
prima udienza dell’11 luglio, dovranno affrontare nei prossimi mesi un
processo politico aggravato giudiziariamente dal decreto post-Raciti che
con l’aggravante 339 inasprisce di molto le pene previste, confermando per
l’ennesima volta quanto sui laboratori della repressione come lo stadio, lo
stato sperimenta le forme più inquietanti di repressione dell’ordine
pubblico per poi però allargale a tutto il resto della società.
La nostra solidarietà va anche ai denunciati per aver espresso la semplice
necessità di raggiungere con un treno la manifestazione di Roma.



Organizza la tua rabbia, la libertà non cade dal cielo.



LIBERI TUTTI/E



Laboratorio Acrobax project, coordinamento cittadino di lotta per la casa,
Polisportiva All Reds etc etc.