[NuovoLab] prove tecniche d idepistaggio (e altro)

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Autore: brunoa01
Data:  
To: veritagiustiziagenova, fori-sociali
CC: forumgenova, forumsociale-ponge
Oggetto: [NuovoLab] prove tecniche d idepistaggio (e altro)
secolo xix

GENOVA. Un accordo, un accordo segreto. Per scaricare tutte le colpe del blitz nella scuola Diaz, al G8 del
2001, sul superpoliziotto Arnaldo la Barbera e su Lorenzo Murgolo, all’epoca vicequestore vicario di Bologna.

Prove tecniche di depistaggio.

Questo è l’ambito in cui si muove la nuova inchiesta dei pm, quella che ha portato all’iscrizione sul registro
degli indagati del capo della polizia Gianni De Gennaro, sospettato di aver incitato un testimone (Francesco Colucci, ex questore di Genova)a mentire ai giudici.
Undepistaggio.
Perché Arnaldo La Barbera, allora vice capo della polizia
e numero uno dell’Antiterrorismo, è morto dimalattia nel 2002. E Murgolo è l’unico indagato ad esser già stato archiviato, su richiesta degli stessi pm. E’ ovvio: la concentrazione di accuse nei suoi confronti (quella di Colucci è stata la più evidente) potrebbe puntare a mettere in difficoltà gli stessimagistrati.
Poi, però, c’è un “fatto oggettivo”.
Quel “fatto” che i pmconservano gelosamente nel nuovo fascicolo Colucci De Gennaro e non vogliono rivelare, nemmeno sotto tortura e di fronte a ogni genere di blandizie.
Il perché è detto: De Gennaro, già convocatoinprocuraper lo scorso 16 giugno, ha dato forfeit: «Per difendermi,
vorrei capire meglio che cosa mi si contesta». Adesso si lavora per stabilire la data di un nuovo incontro.
E solo in quell’occasione i pm sveleranno le carte.
Certo, il “fatto” (si sussurra di una telefonata intercettata) dev’essere di una certa entità.
La procura non ha agito inmaniera scriteriata, nell’intera inchiestaG8, e sicuramente l’invito a comparire al capo della polizia è stato soppesato e valutato con molta attenzione. Ci sono poi le
strane modalità con cui la notizia è trapelata l’altro giorno, proprio quando il premier Romano Prodi, dopo aver ritualmente ringraziato l’operato di De Gennaro, ne ha sostanzialmente decretato la fine della corsa.
L’indiscrezione è iniziata a trapelare dalla capitale nel pomeriggio e non certo dai magistrati genovesi, che sono anzi riusciti a mantenerla nascosta per diversi giorni. De Gennaro ha ricevuto l’avviso lo scorso 11 e la data di spedizione è ancora di qualche giorno precedente. Qualcuno,
in un giorno così importante sul piano politico(e costellato di furibonde polemiche) ha cercato di sparigliare i giochi.
E’ certo: nelle ultime settimane, sono accaduti alcuni eventi interessanti, che hanno riportato l’attenzione
intorno ai processi G8. Il 3 maggio depone Colucci, questore di Genova al tempo del G8. Il 23 arriva in aula Ansoino Andreassi. Era l’altro vicecapo della polizia, esplicitamente delegato a plenipotenziario per il summit dei Grandi del luglio 2001. Tra queste due date il 17, sarebbe toccato anche a Murgolo, che ha alle sue spalle una lunga esperienza nella Digos e la fama di uomo di dialogo, quasi un ufficiale di collegamento con ilmondo no global. Attenzione ai tempi. Il 3 maggio Colucci (per la prima volta) lo indica come il coordinatore dell’operazione
Diaz.
Murgolo potrebbe ribattere a quell’affermazione, che a distanza di sei anni lo indica come responsabile del sanguinoso blitz di cui non si è mai riusciti a identificare l’ideatore.
Colucci, lavora al Cesis, l’organismo di coordinamento
dell’intelligence italiana.
Invece Murgolo (oggi nei servizi) fa scena
muta.
Si avvale della facoltà di non rispondere.
La sua posizione è stata archiviata, come già detto, su richiesta dei pm.
E’ convocato come testimone. Dovrebbe parlare.
Ma ha una scappatoia: come ex indagato nel procedimento, ha diritto a non dire una parola. E così fa. Dopo che, in altre occasioni precedenti, aveva sempre promesso «la massima collaborazione» .
Quando arriva Andreassi, la storia
si ripete.Chi era lamentedell’operazione Diaz?
«ArnaldoLaBarbera era
la figura più carismatica. E lui quella sera era presente. A me dispiace parlare di un collega che non può più
dire la sua.
Ma è andata così. È pacifico », dice l’ex vicecapo della polizia.
Andreassiè andato in pensione dopo aver finito la carriera come vicecapo operativo del Sisde.
Poi giunge la testimonianza di Vincenzo Canterini, ex capo del reparto mobile di Roma.
Oggi ha un incarico all’estero.
Dopo l’accordo di collaborazione tra Italia eRomania, firmato dal ministro dell’Interno Amato accordo che prevede la possibilità delle due polizie di lavorare anche
nell’altra nazione) è finito a fare il
commissario vicino a Bucarest.
Cosa dice Canterini? Ribadisce che la decisione
di agire allaDiaz fu presa dal
prefettoArnaldo La Barbera.
Insomma, la storia si ripete.Tanto
da far sussurrare agli inquirenti: «Da un certo punto in poi, chi si è seduto in aula ha pronunciato i nomi di
Murgolo e di la Barbera prima ancora di dire il proprio». Un’iperbole, è ovvio.Ma significativa del clima.
Ma è sul racconto diColucci che si appuntano le perplessità dei magistrati.
Tra i tanti passi, uno in particolare.
Tra le dichiarazioni considerate sospette, la puntualizzazione che fu lui di sua iniziativa, e non il capo della polizia, a chiamare Roberto
Sgalla, direttore delle pubbliche relazioni del dipartimento di polizia, per informarlo della perquisizione decisa nella scuola Diaz.
Nel corso delle indagini preliminari
Colucci aveva raccontato che fu il capo della polizia invece a dirgli di informare Sgalla. Alla contestazione in aula del pm Enrico Zucca,Colucci rispose : «Mi correggo... voglio dire questo... forse sonostatoimpreciso...
il capo della polizia evidentemente mi ha richiamato per raccomandarmi la massima prudenza e io gli ho detto di aver informato anche Sgalla».
Quest’ultimo è stato contattato dal Secolo XIX.
«Non faccio commenti spiega Sgalla ma confermo pienamente quello che ho già detto ai magistrati».
Cio é che fu avvisato del blitz da Colucci, in due riprese.
«Nella prima mi disse: forse più tardi scatta un’operazione, fatti trovare, tieni i telefonini accesi».
La seconda volta, quando Sgalla era già uscito dalla questura e si stava dirigendo a mangiare una pizza: «Colucci mi comunicò l’indirizzo esatto di dove sarei dovuto andare, poi decise di inviare un’auto di servizio per farmi trasportare là».

MARCOMENDUNI
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repubblica

L´INCHIESTA
Colucci telefona a un funzionario indagato per motivi diversi e nasce il coinvolgimento di De Gennaro
E il questore confidò al collega "Il capo vuole un´altra versione"

I pm volevano sentire l´11 giugno il prefetto, che ha chiesto e ottenuto un rinvio
La svolta un paio di mesi fa. Il capo della polizia indagato per istigazione a mentire
MASSIMO CALANDRI


GENOVA - «Il capo dice che sarebbe meglio raccontare una storia diversa...». Il cellulare intercettato dagli investigatori è quello di uno dei 29 imputati per il blitz alla scuola Diaz. Appartiene ad un alto funzionario della Polizia di Stato, indagato dalla Procura di Genova anche per una seconda vicenda che non sarebbe legata ai procedimenti del G8. Ed è per questo motivo che, a sua insaputa, i carabinieri tengono sotto controllo il telefono. Dall´altro capo del filo c´è Francesco Colucci, nel 2001 questore nel capoluogo ligure, chiamato a testimoniare nel processo sulla sciagurata irruzione del 21 luglio. E´ Colucci che parla. Il «capo» cui fa riferimento è Gianni De Gennaro.
Comincia così, un paio di mesi fa, la vicenda che ha portato all´iscrizione nel registro degli indagati del capo della polizia italiana. Che secondo i magistrati avrebbe «suggerito» al suo sottoposto di fornire ai giudici una versione meno scomoda su quanto accaduto sei anni or sono nel capoluogo ligure. Un´altra «verità» per quella sciagurata notte, costruita a tavolino così da spazzare via anche le piccole ombre.
La seconda parte va in onda lo scorso 3 maggio, quando l´ex questore di Genova si presenta puntualmente nell´aula di tribunale dove si celebra il processo a 29 tra agenti e super-poliziotti. E´ protagonista di una sconcertante testimonianza, farcita di silenzi, contraddizioni e «non ricordo». In alcune occasioni fornisce versioni differenti da quelle date in precedenza ai magistrati, in particolare nel corso di un interrogatorio dell´ottobre di sei anni fa. Una storia diversa, appunto. Enrico Zucca, il pubblico ministero che lo interroga, sembra perdere la pazienza. Lo incalza e Colucci arrossisce, chiede scusa: «Ho sbagliato forse nel parlare». «La mia affermazione forse è stata un po´ sprovveduta, superficiale». «Mi correggo, sono stato impreciso». Racconta di aver chiamato il prefetto De Gennaro su consiglio di Ansoino Andreassi, allora numero 2 della polizia italiana, per avvertirlo dell´imminente perquisizione nella scuola. Giura di aver telefonato lui, di sua iniziativa - e non su ordine del capo - , all´addetto stampa del ministero, Roberto Sgalla. S´impappina quando il pm denuncia l´esistenza di un fonogramma che parla di una seconda perquisizione, nell´istituto di fronte a quello del massacro. Ricorda che a parlare del ritrovamento delle due molotov, portate dalla polizia e falsamente attribuite ai no-global, furono Spartaco Mortola o Nando Dominici (allora rispettivamente capo della Digos e della squadra mobile genovese), mentre prima aveva detto un altro nome: Giovanni Luperi, che era vice-capo dell´Ucigos.
Terzo capitolo: Colucci viene iscritto nel registro degli indagati per falsa testimonianza. Lo stesso accade per Gianni De Gennaro, che secondo la Procura deve rispondere di averlo indotto e istigato a mentire. I pm genovesi avrebbero voluto ascoltare il prefetto l´undici giugno. Il capo della polizia ha chiesto un rinvio: la nuova data dell´interrogatorio è ancora da fissare.
La notizia dell´avviso di garanzia a De Gennaro getta benzina sul fuoco delle polemiche e delle tensioni tra difensori e pubblica accusa, che in aula sono fortissime. La Procura smentisce in maniera secca qualsiasi collegamento tra l´inchiesta sulla falsa testimonianza di Colucci e quella su di un´altra imbarazzante storia legata al G8: la sparizione dalla cassaforte della questura di Genova delle due molotov, prova «regina» dei falsi commessi dalle forze dell´ordine. Non ci sono nuovi indagati, precisano gli inquirenti. Ma secondo i bene informati sarebbero state intercettate altre chiamate di funzionari: super-poliziotti che uscendo dal tribunale, dopo essere stati ascoltati in aula, se la prendevano con i magistrati. E concordavano la linea difensiva dei colleghi, convocati nei giorni successivi.
Carlo Di Bugno, legale di Luperi, ammette di aver verificato nei giorni scorsi - e come lui altri avvocati - la posizione dei suoi clienti. «Non ci risultava nulla di nuovo. Ma qui ogni giorno c´è una sorpresa. Se poi ci si mette ad ascoltare le telefonate dei testimoni dopo un interrogatorio durante il processo, state pur certi che si possono scrivere addirittura romanzi». Di Bugno ha chiesto ufficialmente di inserire nel fascicolo del procedimento-Diaz tutte le dichiarazioni rese da Francesco Colucci. «E´ il modo migliore per fare chiarezza, per dissipare tutte le perplessità e scoprire se ha davvero mentito», spiega. Secondo altri, la mossa obbligherebbe i magistrati a scoprire le proprie carte rivelando gli elementi di cui sono recentemente entrati in possesso: i pm Zucca e Francesco Cardona Albini si sono riservati di esprimere un parere sulla richiesta nel corso della prossima udienza, in programma mercoledì.


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MA IL CAPO DELLA POLIZIA NON È COME POLLARI O SPECIALE

Le opacità e infedeltà dei due non hanno nulla a che fare col lavoro di De Gennaro
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
De Gennaro non è né Pollari né Speciale
GIUSEPPE D´AVANZO
Divisa in decine di partiti, la politica italiana è concorde soltanto nel comune odio per l´obiettività nella polemica. Il confronto politico patisce sempre i fatti. Regolarmente s´inabissano al primo rumore. Non è un´eccezione la coda di confuse baruffe che segue l´annuncio della fine del mandato di Gianni De Gennaro, capo della polizia. Nella contesa contro il governo ingaggiata dal centrodestra, Berlusconi in testa, si frullano, in apparenza – soltanto in apparenza – a difesa del poliziotto, argomenti che combinano in un unico gomitolo i comportamenti e i destini degli alti burocrati della sicurezza che, negli ultimi mesi, sono stati allontanati dal loro incarico.
Occorre avere memoria dei precedenti e saper separare il grano dal loglio, se si vogliono evitare altri e inutili strappi istituzionali.
Gianni De Gennaro non è Roberto Speciale, il comandante della Guardia di Finanza "licenziato" da Padoa-Schioppa. De Gennaro non è Nicolò Pollari, il direttore del Sismi (l´intelligence politico-militare) rimosso dalla sua responsabilità tra le divisioni nel governo. Le opacità e l´infedeltà contestata a Speciale e Pollari non trovano alcuna simmetria nel lavoro svolto dal capo della polizia nei sette anni del suo incarico.
Roberto Speciale è stato accusato dal ministro dell´Economia Padoa-Schioppa di «opacità di comportamenti», di avere gestito il Corpo «senza alcun rispetto delle regole» fino a creare addirittura «una separatezza», una «forte discrasia tra la Guardia di Finanza e il potere politico che deve dare gli indirizzi». Il governo non ha ritenuto quel comandante «più idoneo a svolgere la funzione di generale della Guardia di Finanza». Ancora più critica la condizione in cui l´ansia di potere ha cacciato il capo delle spie. Nicolò Pollari, al di là delle sue responsabilità dirette o indirette nel sequestro di un cittadino egiziano, ha organizzato un ufficio di dossieraggio illegale, da lui stesso guidato (nessuno contesta la circostanza). I suoi uomini migliori erano parte integrante di un network spionistico che si è avvalso delle tecnologie e della collaborazione della Security di un´impresa privata, la Telecom (pure qui, nessuna contestazione del fatto). Anche per Pollari dunque, e al di là delle sue responsabilità penali, si può parlare di un abuso di potere nello svolgere le mansioni che gli erano state affidate dalla politica e dalle istituzioni.
Il bilancio professionale di Gianni De Gennaro è radicalmente diverso. I suoi sette anni da capo della polizia non lasciano intravedere «separatezze», «discrasie», spionaggi e dossier illegali, manovre storte nel sottosuolo della politica né alcun tentativo per condizionarla. Ha fatto il suo lavoro come meglio ha potuto, restandosene - come si dice - "al suo posto". Spesso fin troppo rispettoso dei bizzarri e contraddittori indirizzi dei governi, sempre alla ricerca dei migliori risultati per l´interesse pubblico. Risultati che non sono mancati, dall´arresto di Bernardo Provenzano all´annientamento del rinato nucleo delle Brigate Rosse, all´arresto degli assassini di Massimo D´Antona e Marco Biagi. Soddisfatto del suo lavoro, da maggio il capo della polizia prepara il suo addio concordando con l´esecutivo che, dopo sette anni, tre governi e sette ministri, un´opportunità istituzionale consiglia di passare la mano. E non per occupare una seggiola ancora più influente nel territorio della sicurezza, ma per cambiare del tutto ambiente, se è vero che Gianni De Gennaro sarebbe stato il commissario per gli Europei di calcio, se l´Italia non si fosse persa per strada l´organizzazione dell´evento. E oggi nell´orizzonte di De Gennaro pare che ci sia l´U.N.I.R.E. (Unione Nazionale per l´Incremento delle Razze Equine).
Il solo vulnus - grave - della lunga stagione di De Gennaro è la violenta inefficienza dimostrata dalla polizia durante il G8 di Genova. Se si esclude parte della sinistra radicale, nessuno gliel´ha mai rimproverato in questi anni, nemmeno la magistratura di Genova che, soltanto l´11 giugno scorso, ha contestato un´»istigazione o induzione alla falsa testimonianza» di un questore testimone. L´indagine è in corso e si vedrà. Tuttavia, è soltanto un trucco polemico, e di mediocre polemica, sostenere che De Gennaro fa fagotto per quell´avviso di garanzia o che la sua parabola di «uomo delle istituzioni» possa accompagnarsi alle lune nere che hanno orientato i comportamenti di Nicolò Pollari e Roberto Speciale. È un accostamento che De Gennaro non merita. E che nasconde un rischio: la sottovalutazione della cultura della sicurezza e di una generazione di eccellenti "quadri" che De Gennaro ha saputo costruire e allevare. Le fragili istituzioni nazionali non sembra che ne abbiano bisogno.
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secolo xix

De Gennaro va avanti
Il governo fa slittare la sostituzione. La Cdl compatta: «Si stanno prendendo tutto»


Roma. «Non è all'ordine del giorno delle prossime riunione del Consiglio dei Ministri la sostituzione del capo della Polizia»: a metà pomeriggio, Silvio Sircana, il portavoce del premier, Romano Prodi, ha premuto con forza sul pedale del freno. Il "caso De Gennaro", la sostituzione del capo della Polizia, infatti, rischia di trasformarsi nel "bis" delle polemiche e delle tensioni scatenate dopo l'avvicendamento del generale Speciale ai vertici della Guardia di Finanza. La Cdl fa infatti quadrato, chiede un dibattito parlamentare al Senato (dove la maggioranza è più debole). «Stanno occupando tutto. Ora metteranno le mani anche sull'arma dei carabinieri?» ha ironizzato il leader dell'opposizione, Silvio Berlusconi. Pierferdinando Casini si è appellato al ministro dell'Interno, Giuliano Amato, perchè sia evitato quello che lui stesso ha definito «lo scempio della sostituzione di De Gennaro», considerata «una concessione eccessiva alla sinistra» dell'Unione. La maggioranza ribatte: «Richieste strumentali. La sostituzione del capo della Polizia, dopo sette anni di mandato, è stata concordata con il diretto interessato».
Più maliziosamente, il centrosinistra accusa la Cdl di aver voluto creare il caso ad ogni costo: l'avviso di garanzia ricevuto da Gianni De Gennaro, infatti, risalirebbe all'8 giugno; una settimana dopo Prodi ed il capo della Polizia hanno concordato il cambio di mano; soltanto due giorni fa, però, al "question time", l'Udc ha presentato una domanda sulla sorte del prefetto.
Ma Prodi deve anche fare i conti con i "mal di pancia" della sua coalizione. Da una parte lo tira Antonio Di Pietro: «Non ci sarebbe nulla di scandaloso nella sostituzione del capo della Polizia. Solo che si stanno sbagliando tempi e modi». La sinistra, al contrario, esulta: e torna a chiedere il rispetto del programma dell'Unione che prevede l'istituzione di una commissione di inchiesta sull'accaduto al G8 di Genova.
Ma c'è un motivo, più degli altri, che spinge a rallentare i tempi: non è ancora stata fatta la scelta del successore. Romano Prodi, in aula, ha spiegato che rispetterà la tradizione consolidata, ed avvierà"consultazioni" con l'opposizione. Solo che la Cdl sembra già aver scelto il proprio candidato: Antonio Manganelli, ex capo della Criminalpol, ma soprattutto "delfino" di De Gennaro. E, proprio per questa ragione, osteggiato dalla sinistra dell'Unione. Ma nella rosa che Prodi sta sfogliando in queste ore, ci sono anche altri nomi. C'è quello di Luigi De Sena, una carriera assolutamente immacolata nell'amministrazione pubblica, nessuna specifica simpatia politica, un curriculum da fare invidia. Oppure c'è il nome di Mario Morcone, già responsabile del dipartimento dei Vigili del Fuoco ed attualmente a capo del dipartimento "Immigrazione e libertà civili" del ministero dell'Interno (gradito a tutto il centrosinistra). Se si volesse optare per una scelta "istituzionale", il candidato perfetto sarebbe Carlo Mosca, attuale capo di Gabinetto del ministero dell'Interno. E poi ci sono tre outsider da osservare con molta attenzione. Nicola Cavaliere, "poliziotto vecchio stile" che ha, nel suo palmares, anni di successi: da quelli contro la "Banda della Magliana" a quelli, più recenti, contro le Br. Marcello Fulvi, questore di Roma ed ex questore di Bologna (amico di Prodi). Ed infine Achille Serra, attuale prefetto di Roma, un passato da parlamentare di Forza Italia, ma un ottimo rapporto con il sindaco Veltroni, Ds.
La pressione del centrodestra ha sorpreso non poco il presidente del Consiglio. Fin dal primo momento: da quando Casini, in aula, lo ha accusato di un "comportamento scorretto". Eppure Prodi era convinto di aver spiegato esattamente gli avvenimenti: l'avviso di garanzia, ricevuto da De Gennaro non aveva alcun nesso con la decisione di avvicendarlo. Tutto sarebbe legato al periodo medio di permanenza in quel posto: De Gennaro ha abbondantemente superato i sette anni di guida. Oltretutto, fanno notare ambienti della maggioranza, un altro capo della Polizia, il prefetto Vincenzo Parisi: nel '94 (esattamente dopo 7 anni dall'insediamento) fu raggiunto da un avviso di garanzia per i "Fondi neri del Sisde" e, spontaneamente, si dimise. Cosa che Di Gennaro non ha fatto.
«Speriamo che non vadano avanti così? ha però insistito, ieri mattina, Berlusconi - perché tra poco ci sarà qualcuno che vorrà mettere le mani anche sui Carabinieri. E quando dico "sui Carabinieri" non faccio sarcasmo - ha aggiunto, quasi ad anticipare un terzo round - Sono preoccupato perché, dopo aver messo le mani su tutte le istituzioni, potrebbero cercare di occupare anche tutto ciò che non è ancora sotto il loro dominio». Una volta tanto, anche Casini è in sintonia con lui: «In qualsiasi paese serio, il governo difende i suoi uomini e non li abbandona al pubblico ludibrio. Tutti possono essere meritevoli di andare al posto di De Gennaro, anche Manganelli, ma il problema è di metodo, che diventa anche sostanza». Anche Di Pietro ha qualcosa da obiettare sul succedersi degli avvenimenti: «Non si può cedere sempre alla sinistra massimalista! Non è possibile che non si discuta all'interno della maggioranza la sostituzione di De Gennaro! Non mi ritrovo più in questo clima di resa dei conti!».
«C'è in giro una drammatizzazione eccessiva - risponde a tutti Piero Fassino, segretario dei Ds - Non abbiamo difficoltà a riferire in Senato, come, peraltro, Prodi ha già fatto alla Camera. Tutto avverrà con procedure e tempi trasparenti e con la necessaria consultazione dell'opposizione».
Angelo Bocconetti


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De Gennaroe i silenzisulle torture ai br
Ora il vicequestore Genova potrebbe essere sentito dai magistrati che si occuparono del rapimento Dozier


GENOVA. I contatti con le procure venete che si occuparono delle torture ai brigatisti sono stati due, nell'ultima settimana. Perché oltre al tourbillon generato dalle testimonianze sul G8, c'è un'altra spina che ha accompagnato il recente lavoro di Gianni De Gennaro. Ovvero l'indifferenza, il silenzio che il capo della polizia avrebbe opposto alle ricorrenti richieste di aprire un'indagine interna sulle sevizie ai br e sull'esistenza di una squadra-torturatori gestita dall'Ucigos, per chiarire quali dei super-funzionari che oggi occupano posti di rilievo al vertice del Ministero ne furono protagonisti ma hanno aggirato sempre le responsabilità.
Il caso è stato sollevato la settimana scorsa da Salvatore Genova, oggi dirigente della Polfer ligure, nel 1982 uno degli investigatori che liberò il generale americano James Lee Dozier. Genova non solo ha confermato i metodi violenti usati nel caso specifico da un gruppo di poliziotti (già certificati dai processi dell'epoca e da alcune inchieste giornalistiche), ma ha svelato l'esistenza d'un nucleo - "I cinque dell'Ave Maria" - che si muoveva in tutt'Italia alle dirette dipendenze del Ministero, con l'obiettivo di torchiare con pestaggi i brigatisti più reticenti. «Alcuni superpoliziotti che allora gestirono e comunque utilizzarono la squadretta - ha accusato - ricoprono tuttora ruoli di prestigio in seno all'Amministrazione». Perciò lo stesso Genova potrebbe essere ascoltato - anche informalmente - dai magistrati che allora trattarono la vicenda: due sono state le telefonate dell'ultima settimana, come detto, una a Venezia dove lavora uno dei pm che all'epoca si occupò del caso.
Non solo. Negli ultimi giorni sono emersi altri dettagli, che rendono ancora più ingarbugliata la matassa. Esistono infatti due documenti che attualizzano la questione delle torture (soprattutto delle omissioni alle richieste di chiarimento) e chiamano in causa il capo della polizia. Il 27 luglio 2004 Salvatore Genova fu convocato - con una nota firmata proprio da De Gennaro - a Roma per parlare delle sue denunce, che fino a quel momento erano state inoltrate ai vertici del Corpo solo con informative «riservate» e non con l'"outing" sui giornali. Ebbene, il colloquio effettivamente avvenne, ma non fu De Gennaro l'interlocutore di Genova, bensì Paolo Calvo, il prefetto direttore centrale delle risorse umane.
E poi c'è una lettera del 26 luglio 2004. Contribuisce a gettare nuova luce sulle ripercussioni che i fatti (gravissimi) di 25 anni fa hanno avuto nella gestione della polizia odierna, che spiega come carriere-chiave siano dipese (anche) dai misteri di quel periodo. Scrive, Salvatore Genova: «Gli alti gradi ministeriali dell'epoca mi avevano più volte promesso, sia per la mia attività operativa che per aver opposto un invalicabile muro alla pressante attività della magistratura, evitando loro gravi conseguenze sul piano della carriera e della libertà personale, una promozione straordinaria e vari riconoscimenti. Naturalmente non furono queste promesse le molle che motivarono il mio comportamento: come spiegato, fu invece il senso di appartenenza a questa Amministrazione a spingermi alla sua difesa a oltranza. Tuttavia - insiste il funzionario nel suo articolato documento - questo non giustifica il fatto che la mia carriera, anziché essere agevolata, sia stata al contrario ostacolata: ad esempio, non giustifica certamente la disattesa promessa che io e...(viene fornito il nome di un questore tuttora in servizio, ndr) avremmo dovuto "marciare" assieme». Genova dice una cosa molto semplice: in cambio dei silenzi su fatti delicatissimi, che hanno consentito avanzamenti importanti, erano state promesse promozioni che non sono mai arrivate. Ma qualcuno fra quelli che fecero quelle promesse è ancora in sella. E non è escluso che i nomi finiscano a breve sul tavolo di un procuratore.
MATTEO INDICE


22/06/2007
la mia carriera anziché essere agevolata
è stata ostacolata


22/06/2007
«


22/06/2007
CLAUDIO SCAJOLA (ex ministro dell'Interno e presidente del Copaco): «Ciò che sconcerta in questa vicenda non è il programmato avvicendamento del vertice operativo della sicurezza nazionale, dopo sette anni di onorato servizio, ma il modo dilettantesco e irresponsabile con il quale il Governo, nella diretta responsabilità del Presidente del Consiglio dei Ministri, gestisca un ricambio fisiologico, facendolo apparire all'opinione pubblica e agli apparati più delicati della sicurezza, come il licenziamento in tronco di un grande servitore dello Stato. Ancora più grave che questo avvenga in sospetta coincidenza con l'iniziativa della magistratura sul G8 di Genova. Il governo, per compiacere una parte della maggioranza, accetta di far ricadere sulla Polizia e sui suoi vertici, invece che sui dimostranti violenti, la responsabilità di quelle tragiche giornate. Quanto alla scelta del successore, sempre nella storia repubblicana il capo della Polizia, che è anche il responsabile della sicurezza, è stato oggetto di una scelta condivisa tra maggioranza e opposizione.
Mi auguro sia così anche stavolta».
IGNAZIO LA RUSSA (capogruppo di An al Senato): «C'è effettivamente il timore che dopo un attacco alla Guardia di Finanza ed alla Polizia ora arrivi un attacco all'Arma dei Carabinieri. Non ho notizie precise, ma siamo preoccupati visto che ora siamo in tre a dichiarare la stessa preoccupazione, Berlusconi, Cossiga ed io. Se tre indizi fanno una prova, tre battute possono costituire un'affermazione seria».
CLEMENTE MASTELLA (ministro della Giustizia): «Bisogna arrivare ad una via di uscita di prestigio per un uomo che ha dato tantissimo, per un grande poliziotto che ha reso un eccezionale servizio al nostro Paese. L'avvicendamento di De Gennaro non deve apparire una forma di rimozione ed essere concordato tra maggioranza e opposizione. Èsbagliato ritenere che De Gennaro debba andar via per i fatti di Genova. Ma sbaglia anche l'opposizione a gridare in modo isterico e inopportuno».
VITTORIO AGNOLETTO (europarlamentare del Prc, ex portavoce del Genoa social forum): «Era ora che la magistratura riaffermasse un principio fondamentale della Costituzione: nessun cittadino è al di sopra della legge, nemmeno il capo della polizia. Altro che imposizione della sinistra radicale! De Gennaro avrebbe dovuto essere rimosso subito dopo il G8: un capo della polizia non può far credere di non sapere cosa stiano facendo i suoi più stretti collaboratori quando vanno all'assalto di una scuola, massacrano 93 persone mentre dormono, costruiscono prove false, firmano verbali non corrispondenti alla realtà. È grave che Prodi abbia scelto di aspettare un atto della magistratura prima di rimuovere il capo della polizia».
FRANCESCO COSSIGA (ex presidente della Repubblica, che ieri mattina ha depositato al Viminale un biglietto di solidarietà a De Gennaro): «Intendo solidarizzare con tutte le forze dell'ordine, Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza, che si trovano sotto il tiro del governo Prodi che, insieme a settori deviati della magistratura, vuole compiacere la piazza della sinistra radicale e dei movimenti, che è matrice della nuova eversione armata».
ROBERTO VILLETTI (Rosa nel pugno): «Dopo la deposizione di Fournier, lo stesso De Gennaro avrebbe dovuto avere la sensibilità di fare un passo indietro per i gravissimi fatti avvenuti a Genova nella scuola Diaz.
Siamo davvero stupiti che l'ex ministro degli Interni Scajola continui a far finta che sei anni fa a Genova non sia successo nulla e che anch'egli non abbia avvertito quella sensibilità istituzionale che in frangenti analoghi hanno avuto suoi predecessori come Lattanzio o Cossiga.
C'è voluto difatti uno scivolone increscioso come quello su Marco Biagi per costringerlo a lasciare la poltrona del Viminale».


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