[NuovoLab] Il cittadino Fournier e il tritacarne mediatico

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Il cittadino Fournier e il tritacarne mediatico


di Pino Finocchiaro


Grande scalpore hanno fatto le dichiarazioni del vicequestore aggiunto
Michelangelo Fournier, capo del nucleo antisommossa del Reparto mobile di
Roma, poi confermate dal suo ex comandante, Vincenzo Canterini, sulla
“macelleria messicana” vista il 21 luglio 2001 nella scuola Diaz
di Genova.

Il cittadino Fournier, supponiamo ragionevolmente, ha finalmente detto la
verità davanti ai giudici. Questa è di per sé una notizia. Ma cosa ha detto
il cittadino Fournier che non conoscessimo già? Cosa aggiunge la
testimonianza di Fournier a quel che non ci avevano consegnato già tanti
filmati documentando il dramma drammatica di una vicenda che ha sfiorato il
ripetersi della tragedia già consumatasi in piazza Alimonda con
l’uccisione di Carlo Giuliani?

Il collega Fausto Pellegrini, di Rai news 24, ha rimandato in onda le
immagini da lui personalmente registrate quella notte alla Diaz. Il canale
All News del servizio pubblico radiotelevisivo ha rilanciato le drammatiche
testimonianze raccolte in diretta dal telefonino di Fausto che smentiva
punto per punto, fatti alla mano, la ricostruzione ufficiale
dell’evento offerta dal capo delle relazioni esterne della Polizia di
Stato, Roberto Sgalla.

Il cittadino Fournier ha mosso un passo avanti verso la definizione di una
realtà processuale che quando non è inficiata dalle prescrizioni sempre in
agguato risulta sempre più monca rispetto alla verità dei fatti. Quel che
più interessa.

Più che alle testimonianze redivive dei funzionari Fournier e Canterini,
come giornalisti dovremmo dedicarci con maggior frutto a rivedere gli errori
(laddove si possa parlare d’errore e non d’autentica
propalazione di notizie infondate in quei tragici giorni di Genova).

Si possono considerare le piccozze lasciate nel cantiere della scuola dai
muratori un’arma impropria? Si può accettare l’idea che le
molotov fossero lì già prima dell’intervento degli agenti senza
chiedersi come mai quei pericolosi facinorosi messi all’indice dalle
note ufficiali non avessero neppure tentato di usarle? Si può chiedere come
mai gran parte dei feriti avessero subito ferite gravissime proprio nei
punti (lo sterno per tutti) che non andrebbero mai colpiti col
“tonfa” che non è uno sfollagente ma un’arma letale se
usata contro parti sensibili del corpo umano?

La verità è che alla “macelleria messicana” della Diaz e alle
scene da “Garage Olimpo” della caserma di Bolzaneto del reparto
mobile di Genova fece seguito un tritacarne mediatico in cui posizioni e
responsabilità rimasero impercepite e indistinte.

Lasciamo un attimo da parte le mancate verità che qualcuno avrà pur detto al
dottor Sgalla di pronunciare in diretta Tv, lasciamo da parte le fortunate
resipiscenze di Fournier e Canterini, uomini dello stato all’interno
di un’unità, il reparto mobile, che come tutti i reparti mobili e le
forze speciali di intervento, dipendono direttamente dal ministro
dell’interno – all’epoca il forzista Claudio Scajola
– anche se il controllo della piazza spetta alla locale autorità di
pubblica sicurezza.

Parliamo delle responsabilità politiche. Che ci faceva il vicepremier e
ministro degli esteri Gianfranco Fini nel centro di comando e controllo
dell’Arma dei Carabinieri di Genova? Come mai, ad un tratto, alcuni
reparti dei carabinieri non riuscirono più ad “ascoltare” via
radio le direttive che giungevano della questura ed andarono a
“tagliare” in modo disastroso un corteo che sino a quel momento
era stato assolutamente pacifico provocando i primi scontri a Genova? Come
mai non fu preso nessun black bloc mentre furono pestati boy scout, i
ragazzi di lilliput e i pensionati dei sindacati confederali?

Chi comandava a Genova? Se qualcuno comandò mai in quella baraonda dove, per
dichiarazione di un alto funzionario della polizia, persino i carabinieri
del Tuscania avvezzi a muoversi a pie’ fermo in Somalia, Iraq,
Afghanistan e Kosovo, avrebbero smarrito la strada?

Non è abbastanza? Il sangue fresco filmato dall’inviato della Rai
Fausto Pellegrini non è lo stesso che vide il cittadino Fournier
nell’esercizio delle sue funzioni di capo di un’unità
antisommossa chiamata ad intervenire in una scuola dove i più dormivano e
pochi altri rumoreggiavano? C’è stata una sassaiola prima
dell’intervento? Questo basterebbe a giustificare un’irruzione?

L’irruzione sì. Le teste spaccate e gli sterni aperti no. La difesa
deve essere sempre proporzionata all’offesa e soprattutto non può
colpire alla cieca. Deve accertare le responsabilità e separare le colpe
degli irruenti dai diritti dei pacifici. Diversamente non sarebbe
un’azione di polizia ma un atto di rappresaglia alla messicana, ma del
Messico di un paio di secoli fa.

Il problema, quindi, non sono le dichiarazioni di Fournier, Sgalla e
Canterini, ma l’uso pubblico, ufficiale e mediatico, che se ne fa.

C’è un antico problema di rapporto tra il giornalismo e il potere.

Il giornalismo non deve attendere le sentenze, se arrivano, quando arrivano,
ma deve indagare liberamente. Deve offrire ricostruzioni giornalistiche che
offrano strumenti critici all’opinione pubblica. Deve scandagliare e
illuminare a giorno i rapporti tra corpi armati dello Stato e politici.

Non è giornalisticamente rilevante il grottesco atteggiamento del
destituendo comandante della Finanza, Roberto Speciale, che il 2 giugno,
festa della Repubblica, non trova di meglio che dichiararsi “sempre
agli ordini” del capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi?

Fortunatamente, Silvio Berlusconi, parla parla ma ha di meglio da fare che
golpe o regicidi da operetta. Ma se al suo posto di fronte a Speciale si
fosse trovata una qualsiasi mente bacata?

L’ex capo delle Fiamme gialle ricorda di aver giurato fedeltà alla
Repubblica e non ad una parte del paese? E’ solo un esempio. Ma è il
problema dei problemi. I funzionari di polizia e gli ufficiali delle forze
armate sono al servizio dello Stato, non dei politici. Ma dai politici,
quando assumono veste istituzionale, presidente, premier, ministri prendono
ordini e devono eseguirli. Non possono volgersi là dove li porta il cuore ma
là dove le istituzioni indicano.

E qui il cittadino Fournier con la sua testimonianza ha offerto un prezioso
contributo alla verità ma non alla sua comprensione. Non possiamo fargliene
una colpa. Perché il problema non sta nell’esecuzione degli ordini ma
in quel che succede nella catena di comando quando la piazza si muove
pacifica e viene infiltrata da quei nazi-fascitelli ribattezzati black-bloch
per nascondere la loro provenienza da trame oscure e curve nere come quella
che a Catania ha provocato la morte dell’ispettore Filippo Raciti.

Ecco, se Michelangelo Fournier è quello che Canterini sente alla radio
gridare “Basta! Basta!” per fermare il pestaggio di una ragazza
inerme, ed è allo stesso tempo il comandante che tiene a freno i suoi
uomini quando pochi giorni fa hanno isolato e circondato i provocatori
dall’ala pacifica del corteo anti-Bush. Se lo stesso Fournier dice
“obbedisco” e tacita i suoi uomini quando giunge l’ordine
di far defilare i nazistelli da curva nera travisati da black bloch. Il
problema non è il vicequestore Fournier, né le sue parole. Il problema è
capire perché la catena di comando politico-amministrativa rinuncia al fermo
e all’identificazione dei provocatori ma non sottrae agli spintoni i
pensionati come è accaduto pochi giorni fa sul sagrato di Palazzo Chigi,
così come non li seppe sottrarre alle percosse a Genova.

Ecco. Il problema è capire. Il servizio pubblico radiotelevisivo ha grande
tradizione e grandi responsabilità.

Possibile che al di là degli interventi di Minoli, Report, Rai News 24 e
Blob non si riesca a mettere su un “reportage
all’italiana” e mandarlo in onda a puntate, in prima serata,
alla stregua della “Notte della Repubblica” con la quale Sergio
Zavoli tentò di far luce sul terrorismo?

Non è abbastanza profonda la notte su quel che accadde a Napoli e Genova?
Non è abbastanza inquietante che non si possano vedere in manette gli
spaccavetrine che persino un’anziana signora stufa di violenze è
riuscita a smascherare togliendo il fazzoletto dal volto?

Una delle frasi che i pacifisti – quelli pacifici, è inteso – si
sentivano ripetere a Genova mentre le manganellate piovevano era “Così
imparate e la prossima volta restate a casa”.

Qualche imbecille in divisa, s’è cercato minimizzare.

E no! In democrazia gli imbecilli non possono indossare la divisa. Perché un
imbecille non dovrebbe mai portare armi con sé, meno che mai se indossa
un’uniforme che gli consente di usarle. Perché un uomo in uniforme ha
il potere di usare la forza. Ha un potere di interdizione anche fisica che
nessun civile – imbelle o meno – possiede.

E nessuna istituzione repubblicana – sia essa rappresentata da saggi o
imbelli come talvolta accade – può limitare il diritto alla protesta
pacifica. Nessuno deve restare a casa. Nessuno deve temere di essere
infiltrato da nazi-fascitelli prezzolati dai cultori della strategia della
tensione.

L’ordine pubblico è fatto anche di intelligence, se vogliamo usare una
parola grossa, o più modestamente (modestia semantica, s’intende, non
di funzione) di prevenzione che in fondo è la stessa cosa.

Insomma, gli italiani vogliono vederci chiaro. Il rimedio è sempre quello.
Accendiamo i riflettori del servizio pubblico radiotelevisivo.

Ecco, ridiamo ai giornalisti poteri d’inchiesta
“giornalistica”. E se il cda Rai è in altre faccende
affaccendato, se è rimasta una commissione di vigilanza a Roma, non ancora a
Berlino o Bruxelles, batta un colpo. Liberi le risorse giornalistiche della
Rai e ridia ai reporter il potere di fare reportage. Unico ingrediente, la
verità dei fatti. Anche se scomoda.



pinofinocchiaro@???



--
Carlo
Forum Verso La Sinistra Europea - Genova
http://versose.altervista.org/
Coordinamento Genovese contro l'Alta Velocità
http://notavgenova.altervista.org/

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