il manifesto
Rotta l'omertà dei poliziotti. Ora verità e giustizia
Antonio Bruno
Le dichiarazioni di Michelangelo Fournier - all'epoca del G8 a Genova vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma e oggi uno dei 28 poliziotti imputati per la sanguinosa irruzione nella scuola Diaz - che descrivono l'irruzione nella scuola dormitorio del Genoa social forum come una «macelleria messicana», suscitano sentimenti e reazioni diverse, apparentemente contrastanti. In questi anni molti genovesi hanno cercato di appoggiare il lavoro dei legali sia con raccolta fondi, sia con ospitalità in famiglia di testimoni e vittime. Ogni settimana si svolgono le udienze per i processi contro 25 manifestanti, per le violenze alla scuola Diaz e per le torture di Bolzaneto. In questi anni abbiamo compreso come un malinteso «spirito di appartenenza» ha spinto decine di operatori delle forze dell'ordine a un comportamento al limite dell'omertoso; ci siamo indignati di fronte all'arroganza di chi ritiene di essere al di sopra della legge; ci siamo sentiti isolati quando abbiamo capito che le notizie dei processi di Genova, contrariamente a quello di Cogne ad esempio, venivano confinate nelle cronache locali dei giornali genovesi. Se in questi anni qualche «difensore dell'ordine» avesse dichiarato pubblicamente quello che aveva visto, lo Stato di Diritto avrebbe tratto un grande giovamento e decine di persone massacrate non si sarebbero sentito sole. Il parlamento sarebbe stato costretto a istituire una Commissione di inchiesta per capire come alle soglie del 2000 fosse stato possibile perpetuare una sospensione della democrazia, la più grave in un paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale. Finalmente un rappresentante delle forze dell'ordine ha dichiarato pubblicamente la gravità dell'intervento nella notte del 21 luglio 2001, tutte cose note a tutti e rintracciabili nei video e nelle testimonianze. Meglio tardi che mai. Adesso le forze politiche, il Parlamento, il governo, il presidente della Repubblica, l'opinione pubblica non possono più esimersi dal riaprire quella pagina maledetta. In una democrazia «normale» la commissione d'inchiesta sarebbe una necessità, mentre il cambio totale degli attuali vertici della polizia e la sospensione cautelare di chi ha avuto ruoli di comando e che invece è stato promosso sarebbe un atto dovuto. In gioco sta proprio la natura della democrazia nel nostro paese: avallare questi atteggiamenti o far finta di nulla, per puro calcolo politico, significherebbe passare in modo effettivo a una falsa democrazia, dove i diritti sono discrezionali e l'autoritarismo un dogma. Sei anni fa la mattanza nella scuola Diaz seguì la bestiale gestione della repressione nella piazza, con l'assassinio di Carlo Giuliani, e fu contestuale alle torture nella caserma di Bolzaneto. Forse tutto questo era l'inizio di una repressione che avrebbe dovuto zittire il dissenso e mettere in condizioni di non nuocere i movimenti e i loro «dirigenti». Una grande mobilitazione, anche internazionale, bloccò questo tentativo. Poi Genova è diventata un'icona dei movimenti del pianeta, ma chi ha subito violenze e sopraffazioni si è sentito abbandonare dalla maggioranza del quadro politico e dei movimenti. Questa è l'occasione per richiedere con forza Verità e Giustizia e per rilanciare la democrazia nel nostro paese.
14.6.07
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