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DA REPUBBLICA.IT
MERCOLEDÌ 9 MAGGIO 2007
SE LA CHIESA DIVENTA UN PARTITO
NELLO AJELLO
Raccogliendo sotto il titolo Lo Stato e la Chiesa un´antologia dei suoi scritti pubblicati negli ultimi sette anni su Repubblica - e il volume si può acquistarlo nelle edicole allegato al quotidiano - Gustavo Zagrebelsky ha disegnato un panorama molto attuale e di grande drammaticità. Attuale, perché negli ultimi anni, soprattutto dopo l´ascesa al trono pontificio di Joseph Ratzinger, l´interventismo della Santa Sede nelle vicende politiche italiane ha assunto un´accentuazione rilevante. Drammatico, perché sempre più di rado si levano, dall´interno delle pubbliche istituzioni, delle voci se non altrettanto combattive, almeno dissonanti in modo esplicito da questo genere di prevaricazioni.
Soprattutto quando si discutono argomenti di natura etica o attinenti alla scienza la Chiesa fa irruzione tra i contendenti che si misurano - o, a volte, fingono - nell´agone politico. E non lo fa soltanto come portatrice di quella «moral suasion» che si addice a una potenza di elevata dignità spirituale e di superiore portata ecumenica, ma con il linguaggio concitato, l´energia pragmatica, il tono pugnace e l´astuzia tattica di un partecipante alla contesa. Questo patrocinio esercitato sulle vicende dell´Italia trasforma l´autorità ecclesiastica - scrive Ezio Mauro nella sua prefazione al volume di Zagrebelsky - in un qualcosa che è insieme «parte e Verità assoluta, pulpito e piazza, autorità e gruppo di pressione». Il tutto, naturalmente, molto «secolarizzato» e pochissimo solenne, al di là delle tradizioni di prudenza diplomatica che alla Santa Sede vengono di solito attribuite. Il fatto che la Chiesa stessa dia per automatica l´obbedienza dei politici cattolici alle tesi di cui la gerarchia è paladina si rivela, d´altronde, giusto: ogni sua richiesta trova chi la soddisfa nel nostro ambito parlamentare e perfino nelle file del governo, per desiderio di aderire a un conformismo che si presume imperante, o - che è un po´ lo stesso - per la sensazione che i cattolico-clericali siano in aumento, a dispetto della effettiva scristianizzazione del nostro Paese.
Va sottolineato a questo proposito il fatto che in determinate occasioni - come il referendum sulla procreazione assistita cui Zagrebelsky dedica un corposo capitolo - l´appello confessionale è stato rivolto direttamente ai partecipanti al voto, e nella forma più elementare e capziosa: quella dell´invito ad astenersi per evitare l´acquisizione del quorum. Quella volta la Chiesa ebbe facilmente partita vinta: ai «veri astensionisti», a coloro cioè che usano disertare gli appuntamenti referendari, si sommarono i «falsi astensionisti», persuasi dall´appello della Gerarchia. Qui - e non qui soltanto, i lettori potranno accorgersene - il rigore scientifico di uno studioso qual è Zagrebelsky cede a un surplus di sacrosanta passionalità, avvertendo quella campagna elettorale (anzi, più precisamente, anti-elettorale) della Chiesa, e l´obbedienza che le si prestò, come una manifestazione «di prepotenza, di imposizione, di slealtà».
La casistica del volume è ampia. I temi, i concetti e le discussioni che l´autore affronta scavalcano talvolta il caso-limite offerto dal nostro Paese. Affiora nelle pagine quella figura politico-culturale di conio relativamente nuovo che è «l´ateo clericale» o il «teologo politico», o il «radicalista cristiano», la cui attitudine a strumentalizzare la religione in funzione conservatrice lo rende un eroe del nostro tempo a prescindere dalla collocazione geografica: i Dominionists ne sono un´invadente versione statunitense, mentre i restauratori delle «radici cristiane», con relativa «identità» hanno scelto come loro atelier privilegiato l´Europa e le sue istituzioni unitarie. Zagrebelsky misura con accenti severi fino a che punto, qui da noi, la condotta interventista della Chiesa rischi di travolgere lo stesso Concordato, «corrodendone le basi di legittimità». Si domanda se negli «odierni rapporti tra Stato e Chiesa», particolarmente in Italia, si rifletta più lo spirito del Concilio Vaticano II o la dottrina di quel Cardinale Roberto Bellarmino (1542-1621), in virtù della quale si riteneva lecita l´ingerenza della Chiesa in ogni affare dello Stato tutte le volte che la Gerarchia «avesse invocato una ragione religiosa».
Su tutto questo aleggia un pericolo, che va registrato con l´accorata malinconia che in quest´opera si respira: il ritorno indietro della convivenza civile, l´impossibilità del dialogo. Il doloroso disagio, per dirlo con una citazione, di quei «cattolici fervidi» di cui scriverva Arturo Carlo Jemolo, «che conoscono la comunione quotidiana e l´adorazione notturna, che credono fermamente nei miracoli, e che invece sono dei laici». A qualcosa di molto simile allude Zagrebelsky quando esclama: «Che triste delusione per chi crede in Gesù il Cristo o, semplicemente, ritiene che il messaggio cristiano sia comunque un fermento spirituale prezioso da preservare», il vedere «la Chiesa di Cristo ridotta al tavolo d´una partita». Con la politica a fare da arbitro.