[NuovoLab] «Bertinotti ha rotto con il popolo di Genova»

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Lo strappo tra movimenti e Rifondazione

«Bertinotti ha rotto con il popolo di Genova»

Marco Ferrando: «Ha preso fischi in mezza Italia». Cremaschi: «D'ora in poi i
movimenti si rappresentano da soli. I no global ripartono»


ROMA — Il pomeriggio della morte di Carlo Giuliani, Bertinotti arringò in riva
al mare di Genova una folla immensa e furente, assecondò a parole la loro
rabbia, e seppe incanalarla il giorno dopo in un grande corteo pacifico. Ieri
pomeriggio a Roma un corteo parecchio più piccolo si è concluso con incidenti e
scontri, i primi da molti anni nella capitale, piazza Navona bloccata dai
celerini come nei giorni del '77. Nulla di drammatico: vandalismi, cariche,
fughe affannate di turisti con trolley da ore alla ricerca di un varco per
l'albergo. Ma, in un giorno così caricato di significati simbolici, anche un
tafferuglio segnala una partita difficile per Rifondazione e la sinistra
antagonista. Proprio mentre Bertinotti centra l'obiettivo storico di rompere i
Ds e aggregare l'area a sinistra del partito democratico, i suoi dirigenti si
ritrovano quasi soli in piazza del Popolo, mentre il corteo vero occupa il
centro di Roma.

La confusione è tale che quattro deputati — Sperandio, Smeriglio, Russo e Peppe
De Cristofaro —, incerti su quale piazza scegliere, tentano invano di
avvicinarsi a Palazzo Chigi con uno striscione rosso «No war, no Bush»,
respinti da carabinieri allibiti. In piazza Navona tira aria di vittoria, anche
se sono in troppi a intestarsela. Marco Ferrando il trotzkista parla dal palco a
una ventina di amici personali: «Bertinotti ha preso fischi in mezza Italia, lo
applaudono solo i ciellini e quelli di Azione Giovani!». Casarini sovrappeso.
Turigliatto si è perso: «Avete visto Cannavò?». Tra i parlamentari di
Rifondazione ci sono anche Fosco Giannini e Gianluigi Pegolo. Franca Rame
dell'Italia dei valori è in pantaloni, maglietta e scarpe bianche con bella
giacca colorata: «Voglio dimettermi da senatrice, ma sto verificando chi
subentra al mio posto. Metti sia un altro De Gregorio...». E c'è Giorgio
Cremaschi, un tempo alter ego di Bertinotti, oggi leader dell'opposizione
interna.

«Non c'è stata partita — dice Cremaschi —. Qui, un corteo enorme. Là, un gruppo
dirigente che le ha sbagliate tutte. È un segno politico che accelera la crisi
di Rifondazione: i movimenti d'ora in poi si rappresenteranno da soli. Dopo
qualche anno di silenzio, i no global ripartono. E si comprende che non erano i
movimenti a stare con Rifondazione, ma Rifondazione a stare con i movimenti. In
questi mesi, Bertinotti e i suoi sono stati paralizzati dalla paura. Paura di
rifare il '98, la rottura con Prodi, che all'evidenza è stata vissuta
all'interno molto diversamente da come è stata presentata all'esterno. Dopo
essersi scottati con l'acqua calda, hanno avuto paura anche dell'acqua fredda.
E si sono immolati. In cambio, Prodi non ha fatto una sola delle cose che i
movimenti chiedevano». Lei Cremaschi cosa farà? «Non so. Certo non un
partitino. Ma la via d'uscita non è neppure dare battaglia dentro Rifondazione.
Magari lo farò comunque. La vera questione è che oggi il partito ha rotto con il
popolo di Genova».

Al sit-in di piazza del Popolo ci sono due celerini per ogni manifestante. È il
primo sabato d'estate, giapponesi stremati supplicano i poliziotti di farli
passare, dal palco i fratelli Severini del gruppo Gang chiedono notizie di
Bertinotti: «Il compagno Fausto dov'è?». C'è però il capogruppo al Senato
Giovanni Russo Spena, giacca a righe ma senza cravatta, che per la prima volta
in vita sua fa proprie le cifre della questura: «Al corteo erano 40 mila reali.
Ora molti di loro verranno qui. Con noi ci sono Pax Christi, l'Arci, il capo
della Fiom Rinaldini, Giuliana Sgrena... Avremmo fatto volentieri una bella
manifestazione tutti insieme, ma non potevamo sfilare con chi considera Prodi
peggiore di Bush. Io stesso ho provato a convincere amici trentennali che mi
hanno risposto: "Vaffanculo, siete dei guerrafondai...". Quelli vogliono
fondare un partito sulle ceneri del governo. Che altro potevamo fare? Va bene
così».

«No Giovanni, non va bene così — interviene Oliviero Diliberto, che con gli
occhiali scuri e il sigaro pare il capo della squadra politica in borghese —.
La nostra piazza è deludente. Ma la verità è che i movimenti sono in fase
calante. In corteo ci sono le frange estreme che a sinistra sono sempre
esistite, e ora usano la pace per attaccare Prodi. Se però chiedete a un
palestinese, ai movimenti di liberazione, a un militante del Baath quali
referenti abbiano in Italia, vi risponderanno che stanno in questa piazza». «Ci
sono anche la Mecozzi della Fiom, Tosini e Scarpa della Cgil!» annuncia
trionfante Russo Spena. I fratelli Severini hanno un ultimo appello per
Bertinotti incerto se stringere o no la mano a Bush: «Fausto, digli che noi
comunisti siamo belli e loro brutti come la fame!».

Mentre di là si scontrano con la polizia, alle 9 di sera in piazza del Popolo i
rinforzi devono ancora arrivare. Dalla sua casa di Torino, Marco Revelli,
intellettuale molto ascoltato da Bertinotti e ora molto critico, vede nella
giornata di ieri «lo sbocco naturale di uno strappo apertosi a Vicenza. Allora
i capi di Rifondazione sfilarono con i pacifisti, e Prodi rispose con un no
senza se e senza ma. Il partito si è sacrificato all'alleanza di governo. I
vincoli di coalizione, e quelli imposti dalle relazioni internazionali, rendono
la sinistra critica incompatibile con la rappresentanza dei movimenti, e la
limitano alla rappresentazione mediatica. È mancato il coraggio di un grande
dibattito interno; si è invece alzato il tiro contro i dissidenti. Temo che la
nascita della nuova forza di sinistra si annunci come un'operazione di ceti
politici, senza legami con movimenti destinati a rifluire, più che nella
clandestinità, nel privato. Più che agli anni Settanta, il rischio è il ritorno
agli Ottanta».

Aldo Cazzullo
10 giugno 2007

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2007/06_Giugno/10/manifestazioni_roma.shtml