Sta girando l'idea di una iniziativa di forte impatto sulla sicurezza  
stradale.
La trovate a questo indirizzo:
http://mammiferobipede.splinder.com/post/12585427/
Riporto il testo integrale della proposta, ovviamente emendabile:
**********************************************************
La scorsa settimana un post di Alberto su Romapedala, riguardante  
l'ennesimo ciclista morto sulle strade italiane, mi ha causato una  
perdurante sensazione di rabbia impotente. Abbiamo la rete stradale  
più ipertrofica d'Europa, eppure questa rete è stata realizzata male,  
senza pensare ad altro che a far muovere automobili, motociclette e  
camion, nessun altro mezzo di trasporto è stato preso in  
considerazione, men che meno quelli lenti e fragili, bicicletta in  
testa.
Ancora meno di vent'anni fa uscire in bicicletta da Roma era una cosa  
abbastanza fattibile, le vie consolari erano meno trafficate anche  
perché l'edificazione della campagna romana, la creazione di "zone  
residenziali" (molto spesso seconde case) non era ancora iniziata ed  
il trasferimento di masse di cittadini al di fuori dell'anello del  
GRA era là da venire. Adesso, con la creazione di intere città al di  
fuori del Raccordo Anulare, con una "villettizzazione" del territorio  
ormai capillare, il traffico ha raggiunto livelli deliranti e la rete  
viaria è rimasta quella di vent'anni fa, se non, in qualche caso,  
peggiorata.
Uscire in bicicletta da Roma, oggi, è diventato uno sport estremo,  
"no-limits". Raccordi e svincoli sono fatti per veicoli che viaggiano  
tra 70 e 90km/h, non ci sono rallentamenti, non ci sono corsie di  
emergenza, non c'è nulla che possa aiutare un povero disgraziato che  
si muova a velocità più basse ad evitare di essere ripetutamente  
sfiorato, o strombazzato, o di vedersi tagliare la strada. Il  
risultato è che ormai anche i ciclisti sportivi si sono adeguati, e  
le loro uscite adottano, consapevolmente o meno, le tecniche di  
CriticalMass: si mettono su strada in gruppi di decine ed occupano  
per intero la carreggiata.
Diciamola tutta, i ciclisti sono stati estromessi dalle strade, si  
sono dovuti adattare ai sentieri di campagna, sterrati e sconnessi,  
hanno sviluppato ruote artigliate ed ammortizzatori e sono diventati  
mountain bikers. Però questo non vale per tutti, e non è neppure  
giusto che il transito sulla rete stradale, consentito dal Codice  
della Strada, debba avvenire in condizioni di perenne rischio, e lo  
stesso discorso assume ancor più valore se parliamo delle strade  
cittadine, dove l'arroganza criminale di pochi spericolati di fatto  
impedisce l'uso delle strade a donne, anziani, bambini, in plateale e  
servile omaggio ai produttori di petrolio che governano il mondo.
Possibile che non si possa fare nulla, mi sono domandato. Possibile  
che si debba subire questa condizione di "cittadini di serie B"? Che  
il primo pazzo spericolato possa mettere a repentaglio oltre che la  
propria esistenza (ben tutelata da air-bag, barre anti intrusione e  
dall'intero guscio corazzato in cui si rinchiude entrando in  
macchina) anche la nostra, senza che le persone delegate alla  
gestione della cosa pubblica minimamente se ne preoccupino  
realizzando la messa in sicurezza delle strade?
Che cosa dobbiamo fare per opporci a tutto ciò?
È stato a quel punto che mi sono reso conto che quello che si può  
fare è in realtà molto semplice: mostrarlo. Mostrare che c'è gente  
che muore per ignavia, per colpevole disinteresse, per distratta  
rimozione. Mostrare la morte e restituirla a chi la produce. C'è  
entrato di mezzo sicuramente il lavoro condotto con i laboratori  
teatrali, la presa di coscienza della forza comunicativa dei corpi,  
delle persone vere.
Ho immaginato questo: un corteo di biciclette che in silenzio,  
lentamente, accompagnate da una musica tetra e funebre si muove per  
la città. Un corteo di ciclisti con gli abiti imbrattati di sangue  
che incarnino le vittime di questa (in)civiltà della motorizzazione  
selvaggia, che passino accanto alla gente intenta allo shopping del  
sabato pomeriggio, alle vetrine sfavillanti, all'allegria forzata  
della civiltà dei consumi. Gli passino accanto dando corpo alla  
precarietà dell'esistere, al rischio che ogni ciclista corre, quando  
esce di casa, di non tornare più, ai morti a cui nessuno vuol  
pensare, ai feriti che nessuno vuole ricordare, agli invalidi.
Ho immaginato questo corteo fermarsi nelle piazze affollate di  
turisti, ed i ciclisti stendersi a terra, rappresentando la propria  
morte, mentre altri stendono loro sopra delle lenzuola bianche, dei  
sudari. Ho immaginato una voce, amplificata, raccontare il numero di  
morti dall'inizio dell'anno, e poi cominciare ad elencarli per nome,  
cognome ed età, distribuire volantini in cui si chiede, se non che la  
strage abbia termine, perlomeno che la sicurezza sulle strade diventi  
una priorità.
Ed alla fine alzarsi, e lentamente portare il proprio fardello di  
dolore e di angoscia in un'altra piazza, e un'altra ancora. Lasciare  
dietro di sé un senso di vuoto, di perdita, di tristezza. Colpire  
l'indifferenza con un pugno allo stomaco, ferire l'ignavia consumista  
ricordando a tutti la precarietà dell'esistere.
E alla fine ottenere almeno che qualcuno si muova, agisca, si attivi.
Non foss'altro che per farci smettere di rattristare gli altri della  
stessa tristezza che viviamo noi stessi, giorno dopo giorno.
****************************************************************
Ci incontreremo venerdì 15 giugno alle 21 in Piazza dell'Immacolata a  
San Lorenzo per discuterne i dettagli, tutti gli interessati a  
partecipare sono invitati.
Ciao
--
Marco Pierfranceschi
~~~~~~~~~~~~~~~~
Da quant'è che non dai un'occhiata al mio blog?
http://mammiferobipede.splinder.com
~~~~~~~~~~~~~~~~
«Come siamo con gli oggetti, così siamo - in modo più o meno visibile  
- con gli altri»