Re: [Cm-milano] altri sociali

Delete this message

Reply to this message
Autore: invel
Data:  
To: critical mass milano - crew ::: http://www.inventati.org/criticalmass/ ::: la rivoluzione non sara' motorizzata !!!
Oggetto: Re: [Cm-milano] altri sociali
eccola!
allego una letturina per i più secchioni. per me (anche se un pò
apocalittico) ci prende parecchio, il buon goffredo:

http://www.lostraniero.net/


La periferia come destino e come scelta
di Goffredo Fofi

Il destino del nostro paese:
– i "centri" preparati al passaggio dei turisti: leccati, finti,
disneylandizzati, le antiche mura accuratamente raschiate dalla
polvere del tempo, i mercatini del tipico di tradizione che offrono
made in China o in Hong-Kong. E la differenza è tra quelli dove il
turismo è scarso, di una ricca provincia dove si lavora poco e denaro
ne circola tanto – finché dura – e che è molto attenta al suo standard
di vita, alle sue comodità, e quelli dove orde di barbari, non nel
senso di stranieri ma proprio di unni, vandali e affini, arrivano come
bisonti ad ammirare i nostri capolavori, a gustare le nostre pizze, a
distruggere le nostre piazze non ancora distrutte dalla perniciosa Gae
Aulenti;
– le grandi città "normalizzate" secondo lo standard "europeo" che i
tremendi urbanisti del nostro tempo, assistiti dai tremendi architetti
del nostro tempo (e quelli "di fama internazionale" non sono
certamente i meno corrotti, anche perché sono i più ricchi e questo
influisce) e comprati dai nababbi della speculazione alleati con
sindaci di chiara fama e preferibilmente "di sinistra", provvedono a
far rientrare in un modello unico di banale e castrata eleganza.
Marsiglia Barcellona Genova Berlino Milano Praga Bratislava Cracovia
Budapest Bologna e prima o poi Napoli, ma non Roma o Firenze, dominate
dal commerciale demone del turismo anche quando è alleato con l'angelo
della chiesa;
– le "periferie" dilaganti, infinite, secondo il modello veneto e
brianzolo: un supermercato, qualche villetta, qualche capannone e via
daccapo, uniti da una rete di strade e autostrade dove si consumano
veloci sacrifici umani con l'apoteosi di incidenti che se non
ammazzano sconciano, la socialità ridotta alle tensioni spesso
criminali dei condomini e dei vicini di villetta e alle piazzole
davanti o dentro i supermercati, alle multisale e alle discoteche per
branchi in transito e per gli incontri senza storia, stonati dal
rumore e dalle droghe, dalla teleguidata frenesia del consumo. E le
macchine, cioè le automobili. Che spettacolo potremmo vedere dai
satelliti-spia dell'impero, quando il pianeta gira attorno al sole e
gli uomini si destano dai loro ottusi sogni o si spostano da un luogo
all'altro delle città! Lunghe intrecciate scie di luci in movimento,
macchine macchine macchine. Segregatrici di umani, segrete regine
dominatrici. Ma il movimento è aggirante, non è soltanto concentrico
all'alba ed eccentrico al tramonto, è ellittico e da luna-park, non ha
frecce e raggi ma si muove per serpentine mutevoli, sgraziate,
disarmoniche. Come le periferie, come le immense periferie delle città
del mondo.
Tutti lo sappiamo anche se facciamo finta di dimenticarcene, o fanno
in modo di farcene dimenticare: si va verso il disastro, un disastro
pieno e totale, e si finge di non saperlo. I privati egoismi collimano
con quelli dei mascalzoni che governano il mondo: le corporazioni, la
finanza, le multinazionali e i governi al loro servizio, i militari
che debbono provvedere alla pace facendo guerra a chi non accetta ciò
che gli viene offerto dagli imperi calanti o ascendenti, gli
intellettuali al servizio delle corporazioni e dei governi, chiamati
al lavoro ben pagato del mantenimento del consenso che è obbligo
planetario, fratello del consumo solo là dove è previsto che ricchezza
vi sia, nelle regioni che più voluttuosamente si sono votate alla
distruzione del benessere dell'umanità in nome del proprio. Dunque
anche qui, da noi. La Terra, ci viene detto, diventerà una sorta di
unica città interrotta da rare aree inabitabili – i monti
inaccessibili, i deserti, le lande adibite all'allevamento degli
animali e alle colture superintensive. La distinzione tra centri e
periferie sarà allora, già è in tanta parte, quella tra i luoghi del
turismo, lo specializzato mercato del turismo (e si sarà capito che
considero il turismo una delle cause del disatro del mondo) e i
non-luoghi della vita quotidiana delle maggioranze, ripetitivi e
ossessivi produttori di "folle solitarie" divise in isterici e in
sonnambuli. Ma questo è già il nostro destino, così già è. Eppure,
nella situazione presente, non sappiamo per quanto tempo, certamente
le periferie sono luoghi, nonostante tutto, di vita, a confronto con
le città museo-e-salotto o museo-e-mercato, con tutto l'orrore di
quelle più abbandonate o mal gestite e con tutta la noia di quelle
"ballardiane". E, a proposito, si legga Ballard, lo si studi: è
l'unico vero sociologo di questo futuro già presente, ha narrato e
narra la nostra diffusa mutazione dentro i condomini, gli abitacoli
detti automobili, le autostrade, le piazzole del traffico urbano, i
quartieri residenziali dei ricchi e dei semi-ricchi, i supermercati,
le multisale, le discoteche, gli aeroporti, i bambini che vi crescono,
la classe media che vi cova la sua ribellione. Ma, dal tempo della sua
Shanghai, da dentro la metropoli inglese egli non ha più studiato e
raccontato il londoniano "popolo dell'abisso" – che è invero "mondo
terzo", cioè l' immenso e generico pozzo di povertà da cui pochi
possono fuggire; "terzo" e il più massiccio, dopo il primo dei
miliardari, dei super-ricchi super-mascalzoni e il secondo dei loro
servi e ammiratori, dei loro funzionari e pretoriani che però, così
come sono chiamati alla crudeltà verso il mondo terzo potrebbero
rivelarsi ugualmente crudeli contro i loro idoli e padroni, se
frustrati nelle loro aspirazioni di ascesa. Il mondo contemporaneo è
stato narrato meglio che da sociologi ed economisti dagli scrittori di
fantascienza, e già da tempo. Essi hanno saputo vedere più lontano e
più a fondo, hanno saputo prepararci a questo peggio.
Dunque, le periferie. Come starci, cosa farne. Non parlo di coloro che
le sfruttano per i loro elzeviri centristi e, diciamo così, per
capirci meglio, veltronisti, ma di coloro che vi vivono o che sanno
essere quello il luogo delle ultime resistenze. Le periferie sono il
luogo di una compressa o esplosiva vitalità, che è venata certamente
di morte: se c'è vita c'è morte e viceversa, ma dal labirinto delle
periferie è forse (forse) ancora possibile non uscire ma trovare la
convinzione del "non-ci-sto", l'energia della rivolta. Nella
confusione attuale della nostra società, sono certamente attivissime
nei loro confronti le forze del "recupero" e della corruzione: se
qualcosa di buono vi si muove, si trova subito il modo di aggredirlo o
sporcarlo, ci pensano i media e le superiori autorità, il governo e
l'opposizione, e tanto meglio quel peculiare ibrido nostrano dei
gruppi e partiti "di governo e di opposizione", attuale e suprema
trasformazione del tradizionale fenomeno del trasformismo. Non si
tratta più di un dialogo con il centro, ma della ricerca di
un'autonomia e di una reazione, che va sostenuta da analisi,
confronti, teorie e soprattutto da un progetto che non può che essere
"educativo" e fatto insieme, vissuto insieme. Non per ma con. Non da
fuori ma da dentro. Per piccoli gruppi motivati, di persuasi che
crescono insieme attraverso l'esperienza, faticosissima,
dell'organizzazione "dal basso". Come sempre, è dall'alleanza tra chi
sa e vede più e meglio e chi è mantenuto dal potere nella confusione
con le mille forme di "pubblicità" (cioè propaganda) di cui esso
dispone, che può nascere il nuovo: altre proposte, altre (ultime)
speranze.

--

invel