Re: [Cm-milano] altri sociali

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BELLO :)))

pink consiglio: http://www.lostraniero.net/pagine/uno.html

io ce l'ho autografato dall'autrice... ah! ;)

Le donne, in Italia
di Goffredo Fofi
________________________________________
Silvia Ballestra, che fa parte della generazione di giovani scrittori degli
anni novanta che è ormai arrivata alle soglie dei quaranta ma che ha saputo
mantenere la vivacità, la curiosità e la capacità di sorprendersi e di
arrabbiarsi dei suoi vent’anni, ha pubblicato presso Il Saggiatore un
pamphlet sulla condizione femminile in Italia – che non è un saggio, non è
un romanzo, non è un’autobiografia, non è un viaggio, non è un dialogo con
la madre viva o morta, non è una lettera a una figlia o a un figlio, o a un
marito con cui sta oppure non sta più, e non è neanche una vertiginosa
autoanalisi psicanalitica o una filosofica o mistica riflessione
sull’Eterno. Si intitola “Contro le donne nei secoli dei secoli”, è breve
(94 pagine, 7 euro), e pur essendo spesso agghiacciante è per di più
divertente, ma nel senso che l’indignazione non toglie all’autrice il gusto
di irridere, di mostrare il grottesco di una situazione complessiva, e di
insistere su quanto la nostra italica o post-moderna accettazione della
merda non voglia dire che quella merda sia il migliore dei mondi possibili,
che ciò che è e che i più approvano sia necessariamente l’unico modo
possibile di intendere le cose.
Silvia Ballestra ha una rara capacità di allontanarsi o di buttarsi a corpo
morto sugli argomenti, di praticare la vicinanza e il distacco partendo da
osservazioni su fatti e modi di dominio pubblico, che tutti vediamo, ma di
cui pochi vogliono vedere, o sono ancora in grado di vedere, la abnormità:
“le realtà sono così grandi che si preferisce non guardarle, e i dettagli
sono ormai così ovvi, quotidiani, sottopelle, che nessuno ci fa più caso”.
Però il suo pamphlet, agile e spiritoso, necessario e maneggevole, e che lei
definisce più volte “una scenata”, non ha suscitato le reazioni che avrebbe
meritato, e si possono ipotizzare per questo molte ragioni.
La prima è ovviamente che i media non possono condividere quello che è anche
un virulento attacco a tutta la loro pratica e alla loro morale, alla loro
corruzione o, per alcuni, alla loro schizofrenia. Corresponsabili o complici
di tutto il male possibile del nostro tempo, senza autonomia di sorta
rispetto a chi li paga (in primo luogo la pubblicità), preoccupati di stare
il meglio possibile nel flusso e nell’andazzo, quando fanno i moralisti lo
fanno a vuoto, o parlano dal pulpito, da e tra “grandi”, predicando dal
pieno di posizioni di potere o di compiaciuta servitù verso ogni potere – o
i più “autonomi” e privilegiati discettando di massimi sistemi o di misteri
e complessità della psiche umana e del quotidiano, e indifferentemente di
ninfe e di oppressione, di oppressione o di rivolta, di universale o del
particolare più facilmente universalizzabile, e mai, in definitiva, cercando
di uscire dal cerchio lusingato e dorato della propria mente e altezza (dai
propri narcisismi e amor propri) per riuscire a comprendere o magari a
condividere la realtà di tutti.
La seconda è che i maschi che contano (tra i quali quelli che scrivono) non
possono apprezzare l’attacco alle prerogative che sono riusciti a mantenere,
e anzi a far diventare più evidenti e più forti, se non in quella minoranza
che è stata toccata direttamente dalla storia del femminismo e che ha saputo
reagire mettendosi in discussione e accettando – molti con un sospiro di
sollievo per la possibilità di uscire finalmente dalle tremende
ruolizzazioni della lunga epoca secolare che ha preceduto la rivoluzione
femminista – una perdita di peso e di potere, nella coppia e nella società.
Né si può parlare di una gran solidarietà dei gay con le donne, in un tempo
in cui i gay hanno finalmente trovato un pubblico riconoscimento della loro
diversità, pur con tante ambiguità da parte dei “gay che contano” (si pensi
alle infamie alla Dolce & Gabbana) e di chi, per svariati interessi anche
politici, li riconosce. (Sui modi di considerare la sessualità da parte del
sistema e della morale vigente si discute troppo poco, ed è urgente farlo.)
La terza è che le femministe oggi come oggi contano poco o pochissimo, e se
la loro rivoluzione è stata fondamentale nella seconda metà dello scorso
secolo, le “astuzie del capitale” e talvolta “gli scherzi della dialettica”
le hanno confinate in uno spazio angusto, di scarso peso sul resto del
genere e del mondo. Dice la Ballestra: “il dibattito in seno alle donne
(...) significa il più delle volte ‘dibbattito’ in seno a una ristrettissima
élite, conosco club di canasta più numerosi”. Da questo pamphlet molte
amiche dal passato o dal presente di militanza femminista si sono sentite
dunque urtate, non hanno voglia di parlarne, e se non possono disconoscerne
l’interesse, visti i tempi però non ne apprezzano i toni e soprattutto il
disconoscimento della loro rivoluzione. Come se non fosse abbastanza chiaro
che la gran parte delle cose che una rivoluzione propone vengono, in questo
nostro tempo e forse anche prima, “recuperate” agilmente dal sistema, le più
radicali risultandone così private di forza e di peso. E che dopo le
rivoluzioni ci sono le restaurazioni.
D’altra parte la Ballestra non accampa grandi pretese, parla di scenata e di
pamphlet e non di inchiesta non di teoria, e non fosse che per questa sua
dichiarata e non recitata modestia le sue considerazioni (il suo sfogo, la
sua denuncia) andrebbero accolte con molta, molta attenzione. Di fatto ella
dice una cosa molto semplice: che la condizione femminile in Italia fa di
nuovo schifo, nonostante tante conquiste, e nonostante, anche se non è lei a
dirlo, sia migliorata indubbiamente quella della parte più borghese delle
donne. Dice che la Chiesa è costantemente all’attacco. Altro che
restaurazione! a volte si ha l’impressione del delirio, dell’autodifesa
forsennata da parte di un gruppo di potere ferocemente maschilista, in nome
di una famiglia che non c’è più e di cui andrebbero semmai sacralizzate le
nuove forme, i “dico”. Dice che lo stupro è diventato uno sport nazionale.
Dice che i media la pubblicità la scuola la chiesa i gruppi politici
concordano nella scarsa considerazione della donna e contribuiscono alla sua
oppressione in modi che a volte sono persino più violenti che in passato
(per esempio, riguardo alle immagini dominanti della donna, al loro losco
uso). Dice che gli uomini, proprio per la perdita di potere sulle donne,
sono vuoi più sconcertati e assenti vuoi più maschilisti e fascisti, anche
quando sotto spoglie “di sinistra”. Dice che le “pari opportunità” non sono
affatto una soluzione, senza una convinzione di nuova dignità a sorreggerle.
Dice che il modello delle “donne in carriera” che ne consegue è, per esempio
a sinistra, di imitazione dai maschi e di concorrenza con loro e il loro
modo di intendere il potere, e che su questo terreno si può rapidamente
arrivare alle stesse conseguenze (perfino alla stessa ferocia) che ha già
proposto al mondo il dominio dei maschi. Dice che le multinazionali (e la
finanza e la scienza, va aggiunto) sovrastano oggi il discorso sulla
differenza e mirano alla (maschile) distruzione del mondo. Di cui anche le
donne possono essere di fatto complici, involontarie come la maggior parte
degli uomini.
Il pamphlet della Ballestra dovrebbe aprire a grandi discussioni sulla
condizione femminile oggi in Italia (e non solo: si veda il bel capitolo
sulle immigrate, che parte dalle opere della Ehrenreich, così poco discusse,
così poco “entrate” nel nostro senso comune), discussioni certamente più
“politiche” che specifiche al femminismo. Ma è questa la sua forza, e se a
volte “si ferma alla superficie”, esso ci provoca e aggredisce tutti, maschi
e femmine, a partire da una semplice e durissima constatazione: che le donne
se la passano male, molto più male degli uomini, che di questo si parla
poco, che ce ne indigniamo troppo poco.

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