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La prima sentenza per Genova
Lorenzo Guadagnucci
Marina Spaccini è una signora molto pacifica ma anche assai determinata. È una pediatra e a Trieste è piuttosto nota, sia per la professione, sia per l'impegno che l'ha spesso portata in Africa come medico cooperante, sia per essere figlia di un ex sindaco della città. Nel 2001 era a Genova al G8 con la Rete di Lilliput e si trovò fra i malcapitati finiti, il 20 luglio, sotto i colpi di agenti di polizia scatenati alla presunta caccia del Black bloc.
Marina fu aggredita e pestata a sangue. Tornata a casa, da brava nonviolenta, decise che occorreva battersi per ottenere giustizia. Sono passati quasi sei anni e ora possiamo dire che la sua tenacia, e quella degli avvocati Alessandra Ballerini e Marco Vano, non è stata inutile: nei giorni scorsi il tribunale di Genova ha condannato il ministero dell'Interno a risarcirle i danni materiali e morali causati dal pestaggio. L'entità del risarcimento è in fondo poca cosa - circa 5000 euro - ma il giudice è stato molto duro. Ha scritto che "non si è trattato né di un´iniziativa isolata, di un qualche autonomo eccesso da parte di qualche agente, né di un fatale inconveniente durante una legittima operazione di polizia volta e riportare l´ordine pubblico gravemente messo in pericolo". E poi ancora, con riguardo alle immagini visionate in aula: "Si vedono ammanettare persone vestite normalmente; più poliziotti colpire con i manganelli una persona a terra, inerme. La stessa Spaccini è una persona di cinquant´anni, di cui giustamente si sottolinea l´aspetto mite".
Questa sentenza, se vogliamo, è la prima certificazione giudiziaria dei sistematici abusi compiuti dalle forze di polizia nelle strade di Genova, quando la garanzie costituzionali furono accantonate in favore di una visione "cilena" [nel senso di pinochettista] dei rapporti fra democrazia e forze dell'ordine. Chi ancora pensa che abusi e violenze furono tutti casu isolati, dovuti all'intemperanza di qualche agente, dopo questa sentenza è costretto a ricredersi. È quindi una notizia importante, anche alla luce degli altri processi in corso, riguardanti alti dirigenti della polizia di Stato. Eppure nessuno fra i maggiori media l'ha riportata: la Repubblica, che pure ha una redazione genovese, ha relegato l'ottimo resconto del suo giornalista Massimo Calandri nell'edizione ligure, negando dimensione nazionale alla sentenza.
Ma dopo tutto non c'è da stupirsi: l'intera vicenda giudiziaria seguita al G8 è stata snobbata dai media e dal ceto politico. I primi sono riusciti a circoscriverne l'eco, senza arrivare alla censura esplicita, visto che le notizie in definitiva ci sono, sia pure solo a Genova e dintorni; i politici hanno furbescamente optato per un fasullo rispetto dell'autonomia della magistratura, così possono fingere di non vedere quel che accade nelle aule genovesi. E dire che il dibattimento offre abbondanti materiali per discussioni etiche e politiche. Dal caso delle molotov, elemento di prova nel processo Diaz, che spariscono inghiottite nei retrobottega della questura, a decine di testimoni che raccontano come e quanto lo stato di diritto sia stato sospeso nel luglio 2001, fino all'ex questore di Genova che a sei anni dai fatti pretenderebbe di fare una "rivelazione" indicando - ma in mezzo a mille contraddizioni e con ben poca credibilità - come responsabile del blitz alla Diaz l'unico dirigente scagionato durante l'inchiesta fra i trenta inizialmente indagati.
L'ultimo colpo di scena è la rinuncia, da parte dei pm, ad ascoltare il capo della polizia Gianni De Gennaro, inizialmente indicato fra i testimoni dell'accusa. La scelta non è stata spiegata, ma è probabilmente un misto di irritazione per la condotta ostruzionistica della polizia, e di poca voglia di offrire un'altra occasione per aggiungere nebbia al nulla che i dirigenti della polizia di stato hanno portato alla causa della giustizia dal 2001 in poi.
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