[NuovoLab] il tesoretto di Kabul

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Mani lunghe su emergency

Emanuele Giordana*

Lo chiamano già il «tesoretto di Kabul». Anzi dell'Afghanistan. Sono gli
ospedali e gli ambulatori di Emergency, attualmente chiusi ma pieni di
attrezzature e soprattutto di una storia che non ha bisogno di presentazioni.
Per dirla in numeri: tre centri chirurgici (Anabah, Kabul e Lashkargah), un
centro di maternità, 24 posti di primo soccorso, quattro cliniche (nelle
prigioni) oltre a un personale di 1024 locali. Così, oltre a una Ong indiana
interessata all'ospedale nella capitale, oltre ai Prt dell'Isaf cui non
dispiacerebbe il centro nel Panjshir, adesso si è fatto avanti anche il San
Raffaele di Milano, il grande ospedale che ha una sua Fondazione che agisce
attraverso Aispo, una Ong che ha già lavorato in diverse strutture pubbliche
dell'Afghanistan e che, come scrive sul suo sito Internet, risponde a un
preciso mandato evangelico «Andate, insegnate e guarite».
La Fondazione ha preso carta e penna e, alla fine di settimana scorsa, ha
scritto al ministero degli esteri facendosi avanti. Con cautela e senza dare
rilievo a una mossa delicata di cui Emergency non è ancora ufficialmente a
conoscenza. La richiesta è arrivata come un fulmine a del sereno - si fa per
dire -nelle stanze della viceministro Patrizia Sentinelli, che da giorni sta
cercando di capire come districarsi nella delicata matassa sempre più
aggrovigliata e che ha già visto il ministero della salute afghano dare il via
libera alle prime ispezioni delle strutture di Emergency che, come ha più volte
ribadito, uscita dal paese la Ong di Strada, andranno sotto il controllo di
Kabul, seppure attraverso altri donatori. Non è un mistero che anche la
Cooperazione italiana ci abbia fatto un pensierino, se non altro per non
abbandonare a un destino incerto ospedali che, nella percezione comune degli
afghani, sono «italiani». Ma alla Farnesina si stanno muovendo coi guanti di
velluto anche perché D'Alema è atteso a giorni a Kabul e c'è di mezzo la
spinosa questione di RahmatuUah Hanefi. «Se l'Italia prendesse in mano gli
ospedali in questo momento - ci confidava giorni fa un funzionario - l'intera
delicata vicenda subirebbe un'accelerazione che metterebbe in difficoltà
Emergency». E, soprattutto, chiariscono al ministero, nulla si può fare senza
un accordo con Emergency. Passi felpati dunque. E molta cautela: da Bruxelles,
dove è impegnata insieme ai ministri per lo sviluppo della Uè ai lavori del
Cagre - Consiglio affari generali e relazioni esterne - Sentinelli taglia
corto: «Non c'è bisogno di correre. Emergency - dice - ha compiuto la sua
scelta legandola ad alcune questioni che, ad oggi, restano aperte. Noi stiamo
lavorando per offrire una risposta a queste domande in modo che Emergency
stessa possa tornare a lavorare in Afghanistan. Solo dopo aver verificato
l'impossibilità di raggiungere questo obiettivo si potranno ricercare soluzioni
alternative che andranno comunque concordate con i responsabili di Emergency».
Insomma per ora il semaforo è rosso per la Fondazione che fa capo a Don Luigi
Verzè, uomo di Dio con un forte spirito imprenditoriale. Quanto ad Emergency,
il portavoce Vauro Senesi ci tiene a ribadire che al momento «le proposte dì
prendere in mano le strutture di Emergency non ci riguardano, per il semplice
fatto che vorremmo riprenderle in mano noi stessi».
Vauro ci tiene a ribadire che la «chiusura delle strutture non è, come
qualcuno può aver pensato, una ritorsione per l’arresto di Rahmatullah fri
liberatore di Mastrogiacomo nelle mani dei servizi segreti afghani) ma una
scelta obbligata dalle dichiarazioni mai smentite secondo cui saremmo dei
fiancheggiatori del terrorismo». Dichiarazioni che, dice Vauro, si sono spinte
sempre più in là includendo nel pacchetto lo stesso Gino Strada. «In assenza di
garanzie di sicurezza e in presenza di questo strano ultimatum del ministero
della sanità afghano per cui entro il 25 si deve decidere sulle strutture, noi
ci limitiamo a ribadire che non possiamo lavorare sotto la spada di Damocle di
nuovi arresti. Noi e il personale locale. Certo, se la cosa non dovesse
sbloccarsi auspichiamo che chi mai dovesse prendere in mano le strutture, lo
faccia rispettando le regole che hanno sempre guidato il lavoro di Emergency:
servizi gratuiti, efficienti e neutrali».
Intanto le preoccupazioni restano; la Ong indiana cui andrebbe la gestione
dell'ospedale di Kabul si è già recata a vedere i locali e lo stesso ha fatto
il personale del Prt (Provincial reconstructìon team) che controlla la zona del
Pan)shir. Se il Prt prendesse in carico l'ospedale, trattandosi di una
struttura civjle-militare, di una cosa si potrebbe essere certi. Forse
garantirebbe efficenza e servizi gratuiti. Difficilmente la neutralità della
struttura.
*Lettera22

hasta siempre


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Non potendo rafforzare la giustizia si è giustificata la forza B. Pascal
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Ugo Beiso