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Grazie a Stefania sono in grado di inviarvi intanto l'articolo di fondo di Furio Colombo, che incollo qui di seguito. Giuliani


La gelata
Furio Colombo


Mi è accaduto uno strano evento di cui intendo rendere conto ai lettori di questo giornale. Una sera (era l'8 maggio) ho potuto finalmente vedere il dvd «Che cosa è la politica» di e con (si direbbe nel mondo del cinema) Walter Veltroni.

Ecco quello che accade in «Che cosa è la politica». Veltroni si presenta da solo su un palco, enuncia il meno popolare, il meno demagogico degli argomenti su cui intrattenere una folla (eppure, testimonia il video, c'era una vera folla) e si appresta da solo a far fronte al punto cruciale del nostro futuro: ci sarà ancora politica in un mondo dove le regole dell'economia vengono enunciate come i Dieci Comandamenti (ma poi cambiano all'improvviso, spostate dai venti impetuosi del tornaconto); dove le regole sociali devono improvvisamente sottostare a «esigenze di modernità» in cui chi lavora è nessuno, e la parola «impresa» splende come il solo capolavoro dell'uomo («impresa», non ospedale, non scuola); dove il confine estremo fra la pace e la guerra viene capricciosamente spostato, con conseguenze enormi e devastanti, come in un passato che credevamo finito?

Veltroni sa che il compito è duro e che qualcuno lo deve fare. Diciamo che lo fa con un impegno testardo ma freddo. Intendo dire che non occupa mai la scena per dire «sono io la politica». Usa un sottotono da insegnante che apre spazi ma non li chiude intorno a chi si lascia persuadere ad entrare. Vuole che parlino altre voci. Lo fa con inserti filmati a cui tocca di provocare tensione, emozione e - se vorrete - adesione.

Incontrate Charlie Chaplin, febbrile e visionario, il sogno indimenticabile di Martin Luther King, l'ostinazione a resistere al fascismo di Vittorio Foa, il giovanissimo Giovanni Bachelet che parla del padre appena assassinato, Benigno Zaccagnini che con Zavoli ricorda Aldo Moro, Enrico Berlinguer mentre muore, in quel suo ultimo discorso a Padova, che riesce disperatamente a finire, Barak Obama nel primo splendido discorso da senatore degli Stati Uniti, Alcide De Gasperi, solo sulla scena del Trattato di Pace contro l'Italia, John Kennedy che chiama a raccolta il suo Paese nel giorno del suo giuramento, la voce di Bob Kennedy scandita come un gospel instancabile mentre le immagini del film «Bobby» ci mostrano il suo corpo esanime. Dicono, con furore e passione, e col prezzo che hanno pagato: la politica è questa. Oppure è un mestiere.

* * *

Ed ecco lo strano evento. A volte la fine di un dvd fa entrare di colpo la vera Tv sullo schermo.

È ciò che è accaduto a me la sera dell'8 maggio. Improvvisamente sullo schermo c'erano Bruno Vespa, Giulio Tremonti, Rocco Buttiglione, Rosy Bindi, Enrico Boselli intenti a parlare dei «Dico», ovvero di un minimo di modesti diritti da concedere alle coppie di fatto. Invano Bindi e Boselli difendevano quel poco. Forse non avevano capito (ed è il rovescio del sogno della politica) che meno chiedi e meno ti danno.

Il brusco irrompere della realtà nel riquadro della televisione italiana ti dice che tu non decidi, obbedisci. Il Governo vaticano ha una sua politica, che si sovrappone, senza neppure aprire il dibattito, sulle decisioni timide e rispettose del Governo italiano. Tutto avviene con un certo sprezzo che dice ai cittadini «Giù le mani dalla politica. A queste cose pensa un magistero più alto». Le vite delle famiglie sono affari del governo vaticano e di chi si adatta a stare al gioco. Tanto che nelle fila di tutti gli schieramenti (fanno eccezione i radicali e un pugno di laici) ogni posizione si lima, si attenua, si aggiusta, si cambia, per non farsi sorprendere a dire no al governo del Papa. Lo chiamano dialogo ma vuol dire obbedienza. Ti dicono che è una questione irrinunciabile di insegnamento cristiano. Su questo persino «Porta a Porta», col suo volto terreo di realtà difficile da accettare, dopo la camminata nel sogno, ti viene in aiuto. Presentano una scheda in cui si mette bene in chiaro, a scanso di equivoci teologici, che la proposta di legge sui Dico non prevede (non prevede) che ci sia la reversibilità della pensione fra compagni di vita, in caso di morte. Vuol dire: se muore uno (una), l'altro resti pure sul lastrico. Ben gli sta, perché, prima, non era passato in chiesa.

Da incompetente di teologia non saprei dire quale passo del Vangelo vieti la reversibilità della pensione. Da competente (in piccolo e marginalmente) della vita politica, mi rendo conto che lo scherzo se lo sono giocato proprio persone di buona volontà come i ministri Bindi e Pollastrini quando si sono persuase (o si sono lasciate persuadere) che era meglio chiedere poco. Eppure, si è visto, niente scatena di più l'ira del governo vaticano. Vede quel poco, prende atto della sua forza e la usa. Non soltanto ha costretto al «sempre meno» gli autori della legge «Dico» e il rispettoso governo locale, ma ha umiliato, in particolare, la cattolica Bindi forzandola a dichiarare di non volere «omosessuali» alla sua «Conferenza sulla famiglia».

* * *

Precauzione inutile quella di Rosy Bindi. Senza un saldo schieramento sui valori della famiglia, in cui le donne vengono finalmente rimesse al loro posto di partorienti, con la partecipazione straordinaria di ex femministe che giurano di avere finalmente trovato in ginecologia la vera vocazione della donna e dunque il vero femminismo, senza la partecipazione aperta, organizzata, pagata e ritrasmessa da tutte le reti tv disponibili e da tutti i Tg e da tutti i talk show, con la benevola approvazione di quasi tutto il governo e di quasi tutti i partiti - che si riorganizzano come consolati e ambasciate della Santa Sede - non sei nessuno.

Sono più fortunati, dalla parte di chi tenta di stare discosto almeno di un passo dalla marcia vaticana, coloro che non sono - o non dicono ogni quarto d'ora di essere - credenti. Rischiano - come i colleghi islamici che non partecipano a guerre sante - le fiamme dell'Inferno. M almeno non possono essere scomunicati per avere esercitato normali, civili, democratiche funzioni di governo.

Perché a questo siamo giunti. In un gelido viaggio del Papa in Brasile, il Capo della Chiesa cattolica ha parlato amabilmente con i giornalisti di scomunica dei politici che si permettono di fare leggi non vaticane.

Sono seguite tenui precisazioni per dire: ma no, non c'è bisogno della scomunica. I disobbedienti se ne andranno da soli. O si consegneranno alla folla vaticana precettata in piazza contro i gay, contro coloro che vogliono decidere come esistere senza il prete, contro chi ama perché è innamorato, contro chi sta insieme perché in quell'insieme ha trovato vita e conforto, contro chi ha voluto bambini e li ha amati e cresciuti senza le carte del Municipio o della parrocchia, dunque con nessuna protezione e molto rischio. Chissà quanti, fra i bravi e volonterosi boy scout che hanno lavorato a far funzionare la cosiddetta «Giornata per» si sono resi conto di avere vissuto una «giornata contro», forse la prima della vita cattolica italiana da quando Chiesa e fascismo hanno separato i percorsi.

A centinaia di migliaia (milioni, ci diranno) hanno sfilato perché non sia mai possibile vivere insieme senza il permesso del Papa.

Come si vede, il salto dal sogno di Veltroni, John Kennedy, Martin Luther King, Nelson Mandela, Bob Kennedy alla realtà italiana è stato brusco e disorientante. Lo shock viene soprattutto dallo sbalzo di temperatura. In «Che cos'è la politica» il mondo è caldo di presenze disinteressate, testimonianze coraggiose, dal filo ininterrotto della comunicazione partecipe, della chiamata di tutti perché o tutti noi siamo la politica o la politica non c'è.

Nell'inquadratura - attendibile, realistica - di «Porta a Porta» che ha fatto irruzione alla fine dello straordinario dvd dell'Auditorium della Musica, la temperatura era gelida e indifferente, animata dalle mitragliate di ghiaccio di Tremonti, dagli indovinelli teologici tipo «Turandot» di Rocco Buttiglione, uno di quei Budda che possono assistere compiaciuti (compiaciuti di se stessi) e indifferenti ai destini degli altri.

Ma gelido è anche un linguaggio di governo che continua a parlare di «tesoretto» senza provare a dire una sola parola per chiarire, spiegare, orientare. O a coinvolgerci in qualcosa di condiviso. Gelido è un Paese nel quale si annuncia che tutto finalmente va a gonfie vele (ed è bene, è importante che sia così) senza che la grandiosa affermazione tocchi o lambisca la vita di alcuno. Gelido (nonostante le buone intenzioni) è un leader che lascia cadere poche frasi alla volta per le strade di Bologna senza far caso al fatto che milioni di persone contano, per sapere, per capire, su quelle parole. Gelido è un Partito Democratico che discute di tutto (soprattutto dei propri vertici) ma non dice mai che cosa fare insieme.

Eppure non c'era niente di folle in quello strano spettacolo intitolato «Che cosa è la politica». Ricordate il milione di cittadini, gente che veniva da sola, spontaneamente, in Piazza San Giovanni, senza scomuniche, senza autobus della parrocchia, senza sconto sui treni? Ricordate «i tre milioni di padri e di figli» (così aveva intitolato l'Unità di allora) venuti al Circo Massimo di Roma per difendere il lavoro? Ricordate la folla di quest'ultimo Primo Maggio in quella stessa piazza a celebrare la festa del lavoro giovane? Non dite loro mai più una sola parola sul tesoretto. Dite dove dobbiamo andare. Dobbiamo andare, per prima cosa, fuori dal gelo, in uno spazio politico in cui ciascuno si cura degli altri, e ha di fronte a sé un progetto e una speranza per tutti. L'agenda Giavazzi non è l'unico modo per progettare il futuro. C'è molto di più. Per questo abbiamo votato. Non vorremmo che tutto fosse spazzato via dalla marea della marcia vaticana o si perdesse negli incontri di vertice sulla troika che dovrebbe guidare il futuro Partito democratico.
furiocolombo@???