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Il pride della marijuana contro la Fini-Giovanardi
La Million Marijuana March si è svolta ieri contemporaneamente in 234 città del
mondo. 15 mila persone a Roma per chiedere all'Unione di rispettare i patti:
subito una nuova legge sulle sostanze
Eleonora Martini
Roma
La Million Marijuana March ormai va da sé. Si estende nel mondo e si amplifica
ogni anno di più malgrado il silenzio assordante dei media. Evento globalizzato
per eccellenza, festeggiata alla sua nascita solo in alcune città degli Usa,
ieri, per il nono anno consecutivo, si è svolta contemporaneamente in 234 città
del mondo. Centinaia di migliaia di persone hanno rispettato questo appuntamento
con il primo sabato di maggio per manifestare l'orgoglio di essere consumatori
di cannabis non problematici. E Roma non è stata da meno: più di 15 mila
persone hanno dato vita, per la settima edizione italiana, ad una street parade
da piazza della Repubblica alla Bocca della Verità, dove il rave è andato avanti
fino a notte ai ritmi techno e raggae sparati a tutto volume da undici sound
system.
In migliaia, organizzatisi autonomamente, si sono mossi da tutta Italia per
raggiungere la capitale. Nessun treno o pullman a disposizione, nessun partito
o sindacato, nessun pezzo di società organizzata. Ragazze e ragazzi, perlopiù
giovanissimi, che non si riconoscono con l'immagine stereotipata dai media del
«drogato» ma che pure sono consapevoli della necessità estrema e urgente di
produrre corretta informazione sulle sostanze stupefacenti. «Libertà di
autolimite», c'era scritto su un cartello. Come a New York e a Gerusalemme,
come a Kiev e a Mosca, come a Toronto, Londra e Parigi, come Atene, Oslo e
Madrid, come Tokyo e Buenos Aires (77 città in Europa e più di 90 negli Usa),
hanno marciato, ballato e bevuto (più acqua che birra, sostenevano dai
camion-bar) per chiedere la fine delle persecuzioni dei consumatori, per
rivendicare il diritto all'autocoltivazione della marijuana - «contro le mafie
e il proibizionismo» - e per protestare contro la guerra cieca e ideologica
alle sostanze stupefacenti che non aiuta a prevenire né l'abuso, né la
tossicodipendenza. Ma la piattaforma mondiale lanciata dal sito statunitense
«Cures not war» rivendica anche la libertà di cura con una pianta le cui
proprietà curative sono ormai riconosciute dalla comunità scientifica
internazionale per malattie come la sclerosi multipla o il glaucoma.
A Roma però il popolo della Million marijuana march, lo stesso che diede vita
alla manifestazione del 14 aprile scorso e ancora prima a quella del 4 novembre
contro la precarietà sociale, ha chiesto ieri a gran voce la cancellazione
immediata della criminogena legge Fini-Giovanardi, ancora in vigore dopo un
anno di governo di centrosinistra. E «il superamento entro l'anno in chiave non
proibizionista della legge 309/90, come previsto nel programma dell'Unione di
cui esigiamo l'applicazione immediata», racconta Alessandro «Mefisto»
Buccolieri che di questa marcia è il coordinatore italiano. «Una piazza giovane
che pretende il cambiamento collegandosi ad un movimento vastissimo
internazionale, che chiede il conto al governo Prodi e che è doveroso
ascoltare», dice Francesco Piobbichi, responsabile delle
Politiche sociali di Rifondazione, presente ieri alla street romana.
«Teniamo presente che negli Usa, dove la marcia nasce sul filo di un'altra
organizzazione, la Norml, che già negli anni '70 chiedeva la legalizzazione
della marijuana, - spiega il sociologo Guido Blumir - ci sono circa un milione
di arresti l'anno per possesso di piccoli quantitativi di cannabis. Allora solo
il 5% degli americani era favorevole alla legalizzazione, oggi sono il 40%. Non
credo che in Italia sia molto diverso». E' giunta l'ora, quindi, che la
politica li ascolti.
Con rispetto.