Szerző: Cinzia Dátum: Címzett: Lecce Sf Tárgy: [Lecce-sf] Bertinotti in M. O.
Bertinotti in Medio Oriente
Fausto Bertinotti in Libano e Palestina ha gettato la maschera. Prima
con le glorificazioni dei battaglioni italiani nel Sud del Libano, en
passant, gli stessi che torturarono a suo tempo in Somalia ed oggi con
le dichiarazioni sul Muro.
Le dichiarazioni di Bertinotti non hanno aperto quel dibattito rilevante
di cui la sinistra avrebbe bisogno sia sul Libano che sulla Palestina.
Non pensiamo sia il caso di restare eccessivamente scioccati da quelle
dichiarazioni. Che Bertinotti sia un opportunista lo ha dimostrato molte
volte nella sua vita : dall’autunno 1980 alla Fiat fino alle
genuflessioni, torsioni del pensiero e quant’altro pur di poter essere
eletto a Presidente della Camera.
Ciò che emerge fin troppo chiaramente dalle posizioni espresse da
Bertinotti in Libano e in Palestina è che la cosiddetta politica
multilaterale di D’Alema è divenuta parte essenziale della modificazione
genetica in atto.
Il Libano: un nodo irrisolto
Fin dall’inizio della aggressione israeliana contro il Libano la
posizione della sinistra italiana, tutta, non è stata né cristallina, né
tanto meno lungimirante. Il motivo era ed è evidente: il pretesto, ossia
la cattura dei soldati israeliani in territorio libanese da parte di
Hezbollah, ha semplicemente fatto si che la sinistra italiana non
capisse cosa veramente ci fosse in gioco con quell’aggressione israeliana.
In non molti, già nel pieno svolgimento dell’aggressione più brutale che
il Libano abbia subito, posero l’accento che quell’ “episodio”, insieme
all’aggressione selvaggia contro Gaza, iniziata solo due settimane
prima, segnalava un cambiamento della strategia regionale degli Stati
Uniti: Bush, Repubblicani e Democratici, neo-cons e “illuminati”
imperialisti, all’unisono coprendo, che non è una novità, Israele. C’era
però qualcosa di diverso che non si è voluto capire. Quell’aggressione
militare puntava a raggiungere un obiettivo di fondo: dare una
possibilità agli Stati Uniti di uscire dal pantano iracheno,
coinvolgendo l’Iran colpendo uno dei suoi alleati maggiori: il partito
Hezbollah libanese. Se l’obiettivo non è stato raggiunto lo si deve solo
al fatto che Israele ha subito una delle più gravi sconfitte politiche e
militari della sua storia, dovuta essenzialmente alla degenerazione
spaventosa che ha raggiunto l’apparato civile e militare in quel Paese.
Dire questo non significa voler diminuire in alcun modo l’efficacia
della resistenza libanese. Ma certo è ben difficile poter mettere sullo
stesso piano un arsenale fatto di qualche migliaio di razzi katiuscia
(quello della resistenza libanese) con l’esercito più armato e
tecnologizzato del Medio Oriente; come è difficile mettere sullo stesso
piano oltre mille vittime per gran parte civili, la distruzione delle
infrastrutture civili ed industriali (dai ponti alle fabbriche, passando
per gli ospedali) con poco più di 100 vittime per il 90% militari!
Ricordare questi passaggi non è inutile,visto che poi l’azione politica
della sinistra italiana proprio su questi numeri elementari non è stata
in grado di mettere in piedi una mobilitazione decente, anzi tutt’altro!
Ancora nel pieno dei bombardamenti, in quei tremendi 33 giorni, la
riunione convocata a Roma il 26 luglio dal governo italiano insieme a
Condoleeza Rice, non ha visto che sparute critiche, ma non certo le
prese di posizione politiche necessarie a smascherare l’operazione di
fondo: Israele perdeva la guerra, nessun obiettivo veniva raggiunto e
quindi Stati Uniti, Onu, Europa, Italia in testa e promotrice,
organizzavano un grande e rivoltante teatrino per permettere
semplicemente di prendere tempo perché Israele potesse tentare un’ultima
carta, sempre militare, senza avere dall’esterno disturbi, come poteva
essere il riconoscimento che stava compiendo un massacro generalizzato
di civili: un numero impressionante di bambini venivano massacrati in
nome dell’ipocrisia. In Italia la sinistra era “distratta” dalla fiducia
chiesta e poi ottenuta da Prodi sull’Afghanistan, in una ricerca tanto
spasmodica quanto inutile, perché non esiste, di una exit strategy da
quel teatro di guerra scatenata e continuata dalla NATO. Chi chiedeva il
ritiro dall’Afghanistan taceva sul Libano, anzi peggio “aspettava gli
esiti della conferenza di Roma”, come se non fosse chiaro già in
anticipo quali sarebbero stati. Ancora, non si faceva nemmeno portavoce
delle richieste della resistenza libanese di alzare la propria voce
contro quel vertice umiliante che serviva solo a dare altre settimane ad
Israele per continuare il massacro. Cosa poi puntualmente avvenuta.
Fino alla risoluzione 1701 dell’ONU che in Italia ha visto un coro
indecente di consenso. I più usavano un argomento deprimente: quella
risoluzione veniva accettata da tutte le parti in causa, compreso
Hezbollah. Non era vero, e lo sapevano tutti.
In ogni caso, fosse anche stato vero, nessuno rispondeva ad una domanda
semplice: da quando per opporsi ad una missione militare si chiede
permesso a chicchessia?
Il vero problema è che quella missione Onu/Nato, scritta in modo tale da
spianare la strada ad un intervento diretto delle truppe internazionali
contro Hezbollah, non è stata riconosciuta in quanto tale. Da nessuno.
A dieci mesi dal suo dispiegamento il Libano è immerso in una gravissima
crisi politica, i cui esiti sono imprevedibili, ma una cosa è chiara è
lampante, ancora una volta: l’appoggio incondizionato accordato al
governo Siniora è un catalizzatore potente verso lo scontro interno. Uno
scontro, in cui se ci si dovesse malauguratamente arrivare i
“battaglioni di pace” non rimarrebbero estranei, proprio grazie alla
risoluzione 1701. Che ancora oggi non viene rimessa in discussione.
Vista questa situazione, in cui ad ogni piè sospinto si evoca, a
sinistra, la “differenza” tra il «caso afgano» e il «caso libanese»,
perché meravigliarsi di quanto detto da Bertinotti in Libano? Quello
stesso Bertinotti, ricordiamolo, che si è presentato, con una faccia
tosta notevole, alla parata militare del 2 giugno con la spilla della
pace…quasi a dimostrare che ha ragione chi ha detto all’indomani delle
dichiarazioni in Libano: è riuscito a convertire l’esercito alla non
violenza…è più forte del Papa!
Ma, a parte le battute, Bertinotti espressione di questa sinistra,
quella senza aggettivi (ossia presuntamente “super partes”?), non poteva
che dire quello che ha detto. Egli non è più un esponente, da tempo, di
quella politica che si voleva non-neutra, rivendicandolo, di fronte
almeno alle cose macroscopiche, oggi egli ha scelto coscientemente di
rappresentare quell’assetto politico, sociale ed infine governativo che
vede nel “rinato protagonismo” internazionale dell’Italia uno dei modi
più classici per il capitalismo di fare affari con la guerra, anche se
questo poi vuol dire fare la guerra.
Da Beirut a Ramallah
Da questo punto di vista non sono sorprendenti, per quanto siano
altrettanto gravi, le sue dichiarazioni a Ramallah.
I militanti israeliani anticolonialisti raccontano che molti israeliani
“progressisti” portati ai piedi del Muro siano rimasti a bocca aperta,
senza quelle parole “equidistanti”, “ragionevoli”, “da persone mature”,
con cui si riempivano invece la bocca a Tel Aviv. A Bertinotti quel Muro
non ha fatto neanche quell’effetto. L’impermeabilità più assoluta,
l’accettazione più sublime di una delle forme più inumane di
colonizzazione.
Dopo le dichiarazioni, tutt’altro che “equidistanti”, ma completamente
filo israeliane di Bertinotti, ci sarebbe da chiedergli: ma scusa, a tuo
avviso che significa la parola unilaterale? Sarebbe unilaterale chiedere
ad Israele di rispettare la sentenza dell’Aja, mentre è più “democratico
e multilaterale” accodarsi a Bush e Rice nel chiedere a Hamas di
riconoscere senza nulla chiedere in cambio il governo di Israele?
Chi sa dove è andato Bertinotti, è difficile credere che abbia aspettato
delle ore sotto il sole in fila la decisione di un qualsiasi soldato se
alla fine fosse passato o no. I casi in cui bambini ed anziani, malati o
meno, si sono visti negare l’ingresso in Israele da Qalqiliya o
Betlemme, o al contrario il permesso di rientrare, per giorni, a casa,
non lo riguardano. Certamente a lui non è toccato far la fila. Una
stretta di mano e via…
Questo il quadro in cui egli si è felicitato con Bush per l’ennesimo
“piano” geniale perché la sicurezza palestinese imponga un cessate il
fuoco…ai palestinesi, mentre nessuno né impone, né chiede agli
israeliani di smantellare le colonie, eliminare i check point che
impediscono la vita quotidiana ai palestinesi, di abbattere quel Muro
unilaterale che divide la gente, palestinese, dalle proprie case, dai
propri campi coltivati. Ovviamente non lo fa neanche Bertinotti, con
l’argomento più idiota del mondo: non entro negli affari interni.
Se per strada assiste ad un accoltellamento, si volta dall’altro lato
perché non sono affari suoi. Complimenti, tanta strada in così breve
tempo. La posta in gioco che non conosciamo, e neanche ci interessa
conoscere, deve essere alta.
La carità pelosa di dire che il blocco degli aiuti ai palestinesi
provoca povertà, la povertà disperazione e la disperazione violenza,
poteva a quel punto tenersela e essere coerente fino in fondo.
Quando poi “chiede ad Israele di ammettere che Hamas ha vinto le
elezioni democraticamente”, gli sfugge che Israele, ammetta o meno, deve
limitarsi a rispettare la scelta di un popolo.
Quello stesso popolo che oggi è sprofondato nelle condizioni peggiori
della sua storia e non a causa del destino cinico e baro. I responsabili
primi sono coloro, ed Israele non è l’unico anche se il primo ad averne
l’interesse, che con l’embargo, cui l’Italia con il suo governo
“multilaterale” non è estranea, hanno cercato e cercano di mettere in
difficoltà Hamas. Ma questo obiettivo che si cerca di raggiungere dal
gennaio 2006 è miseramente fallito: i palestinesi non si sono rivoltati
contro Hamas, così come i libanesi non si sono ribellati a Hezbollah.
Saranno disperati, questi popoli, ma non sono stupidi: capiscono
benissimo chi sono i responsabili delle loro condizioni e capiscono che
non sono né Hezbollah, né Hamas.
Tanto hanno fallito i loro obiettivi che negli Stati Uniti la classe
dirigente si è divisa su tutto: dall’Iraq ai rapporti con l’Iran e la
Siria, e sono stati costretti ad allentare le briglie dei loro alleati
arabi, che per canto loro hanno il terrore che l’attuale situazione
della regione porti ad una crescita esponenziale dell’appoggio popolare
all’Iran – facendo saltare per aria non pochi troni dorati. Per cui
hanno dovuto accettare, tutti Stati Uniti ed Europa, che a La Mecca si
mettesse in atto un governo palestinese di unità nazionale, che
sicuramente complica la vita ad Israele.
Questo governo di unità nazionale, in ogni caso, potrà sopravvivere solo
ed esclusivamente se ad Israele verrà imposto, e non chiesto, di attuare
le tante disposizioni internazionali che mai ha rispettato, se gli Stati
Uniti, l’Europa e l’Onu si decideranno a rispettare, anch’essi, il
popolo palestinese ed il suo voto di gennaio togliendo l’embargo che lo
sta strangolando. Non ci sono vie d’uscita alternative.
E quando torna gli diciamo qualcosa?
Per tutti questi motivi le dichiarazioni di Bertinotti sono ancora più
gravi. Ed ancora più grandi saranno le nostre responsabilità se non
faremo qualcosa di reale per fermare questa spirale di ipocrisia che in
pochi mesi può portare nuove aggressioni militari, nuove guerre. Ciò che
è alla nostra portata oggi lo era anche nel luglio 2006, abbiamo perso
un’occasione, non ripetiamo l’errore.
Non sottovalutiamo le dichiarazioni di Bertinotti e non leggiamole solo
in termini italiani.
Facciamo in modo che il nostro impegno perché il Libano non ricada nella
spirale della guerra civile, rimetta in moto il meccanismo virtuoso per
cui noi ascoltiamo ciò che i libanesi chiedono. Per cui oggi a noi si
impone l’impegno perché quella missione militare che presto sarà gestita
sotto il capitolo VII della Carta dell’ONU, ossia si trasformi in una
nuova guerra, venga ritirata. Altra cosa è chiedere che una missione
internazionale si interponga perché Israele non aggredisca più il Libano.
Ciò che può portare una pace giusta in Palestina lo sappiamo bene. Il
nostro impegno prioritario è quello di far pressione, a qualunque
livello, affinché il governo Prodi annulli l’intesa con il governo
israeliano stipulato da Berlusconi, che tolga anche unilateralmente il
blocco ai palestinesi. Questa è l’unica via d’uscita, se faremo
dell’altro allora anche noi volteremo le spalle mentre si commette un
crimine che sta colpendo milioni di persone e nessuna sorpresa di fronte
alle prossime esternazioni di Bertinotti o chi per lui potrà giustificarci.