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vivere]
Ciao cari e carissime,
vi mando un articolo dell'amico Enrico che ho scovato nella posta...
...in caso non sapeste che fare e vi annoiaste a morte in queste vacanze...
E' carino, secondo me,
Il mito della sicurezza ci impedisce di vivere
Enrico Euli
Considero la mitologia e il mito della sicurezza come ciò che più ostacola
e ostacolerà la possibilità degli esseri umani di giocare e di vivere. La
falsa promessa di uscire dalla "società del rischio" e di mettere in
sicurezza l'umanità in realtà fa si che noi ci impediremo definitivamente
di giocare e di vivere. Il giocare non è solo fantasticare, così come i
miti sono ciò che di più reale ogni essere umano ha nel costituirsi come
società, nel pensarsi come forma di vita. La metafora non ha nulla di
illusorio, noi viviamo quotidianamente dentro metafore e quindi varrebbe
la pena di approfondire il rapporto fra immaginario e realtà, perché le
due cose, in particolare nel gioco, sono strettamente integrate.
Non voglio perdere tempo spiegando quanto viviamo in contesti
sostanzialmente militarizzati, perché questo è evidente, continuiamo a
reagire a quello che sta accadendo attraverso un aumento della sicurezza,
un aumento della richiesta di sicurezza. La mossa sicuritaria è uno dei
punti su cui centro destra e centro sinistra vanno veramente a braccetto,
la costruiscono entrambi con grande facilità, e sarà la nostra tomba se
continuiamo ad assecondarla.
La messa in sicurezza del tempo. Gran parte dei conflitti che abbiamo con
i bambini e anche con altre civiltà, nasce da conflitti legati al tempo.
E' un conflitto, quello con il tempo, che è importante che il sud non
perda - il diritto alla siesta, il diritto al non lavoro, il diritto
all'ozio, diventeranno, e sono già, fattori di ricchezza per la vita delle
persone.
Il nostro tempo è totalmente divorato dal lavoro e dalla produzione, il
tempo per giocare è marginale ed è per lo più regolato da dinamiche di
consumo, quindi è importante fare entrare il tema della mobilità e del
controllo dei nostri costi in movimento - che è l'ultima fase della
cosiddetta biopolitica cioè della costruzione microfibrica del potere -
sulla nostra vita quotidiana, l'ipotesi cioè che la politica ormai si
faccia nel controllo quotidiano dei nostri comportamenti. Né ha parlato
con grande anticipo Michel Foucault. Il fatto che dopo l'11 settembre le
uniche aziende che in borsa sono salite oltre a quelle militari erano
quelle biometriche, cioè quelle che misurano e controllano i nostri
passaggi di mobilità nel mondo, ci fa capire che siamo entrati in una
dimensione in cui le telecamere, i controlli satellitari ecc.. tengono la
mobilità sotto controllo. In tre dimensioni quindi, mente-corpo, spazio e
tempo siamo arrivati ad un mito del controllo, di un controllo completo.
Sono tre elementi che costituiscono l'idea di vita sociale come vita
sociale ordinata, sicura. Il paradosso è che questa messa in sicurezza
della vita ci rende insicuri, aumenta l'insicurezza personale globale.
Questo non è solo il complotto di poche aziende, o delle "forze del male",
ma ha a che vedere con il modo in cui noi costruiamo questo mito della
sicurezza nel nostro agire, attraverso la nostra attività educativa,
attraverso l'attività di movimenti sociali condivisi, cioè quanto noi
collaboriamo alla costruzione di questo modello. Molti interventi nella
conferenza di stamattina sulla "Mobilità sostenibile per città amiche dei
bambini" purtroppo aderiscono a questo modello sicuritario, cioè partono
da una visione del bambino come essere minore da proteggere e da difendere
attraverso strumenti di controllo da parte del mondo degli adulti.
L'idea che la vita è la costruzione di ordine e di sicurezza si fonda su
una grande paura del conflitto, tanto da cercare di evitarlo sempre. Nasce
lì l'ansia di sicurezza e l'obiettivo che i conflitti debbano essere
prevenuti. La prevenzione del conflitto è un motivo molto potente che
definisce anche la nostra immagine di pace, vista come quiete, armonia,
ordine sociale. Alla base c'è una cultura secondo cui la sicurezza è
quella situazione in cui nessuno teme più nulla e tutti sono in ordine.
Con questo tipo di ideale, di mito, di armonia, un'armonia a-conflittuale
o pre-conflittuale in cui il conflitto deve essere sempre evitato andremo
a cercare di eliminare qualsiasi fattore di insicurezza dalla propria
vita.
Nell'ambito della mobilità per esempio la spinta verso sempre più
sicurezza ha dei risultati ambigui. Auto sempre più prestigiose, grandi e
potenti vanno sempre più veloci. La velocità che crea insicurezza in
questo tipo di ordine e di quiete come anche l'aumento della
concentrazione di traffico nell'ambito urbano ed extra-urbano. Immettiamo
degli elementi di insicurezza pur continuando ad avere il mito della
sicurezza e dell'ordine.
Ma come rispondiamo a questa insicurezza che noi stessi produciamo
attraverso l'aumento della velocità e della quantità di mezzi e di esseri
umani in movimento? Rispondiamo attraverso l'ordine di sicurezza, cioè
perdiamo il controllo per riacquisirlo in modo tecnico, lo perdiamo in
termini relazionali e contestuali e lo riacquisiamo attraverso tecniche di
controllo delle persone. Questa modalità è veramente reazionaria nel senso
che il disordine che si crea a livello contestuale e relazionale si cerca
di risolvere a livello individuale, creando un mostro. Allocando la
soluzione al livello individuale si toglie valore al livello a cui il
problema nasce e dovrebbe essere affrontato, quello contestuale e attuale.
In questa confusione noi restiamo paralizzati.
La modalità principale attraverso cui la mobilità ci rassicura è la
prevenzione. Cosa crea il fatto che esistono delle grandi automobili, che
esistono delle strade, che la città e i luoghi di trasporto sono
totalmente militarizzati, il fatto che devi avere una patente, che devi
avere un'assicurazione, il fatto che entri dentro apparati burocratici che
certificano il fatto che tu possa muoverti o meno?
Entri in un modo di vita dove per muoverti devi avere la patente, non puoi
muoverti senz'auto. Nelle strade il pedone o il ciclista non si possono
muovere, non solo nelle autostrade, ma neanche in tangenziale e neanche
nelle strade normali. Nelle grandi città, devono esserci le zone pedonali
e le piste ciclabili, per permettere di muoversi a piedi o in bicicletta:
questa è la soluzione tecnica a livello individuale di un problema
contestuale.
Ghettizziamo i luoghi di gioco in modo che altri possano andare in
macchina, burocratizziamo i fatti, perciò devi avere dei permessi
d'accesso di cui prima non avevano bisogno, la possibilità di partecipare
è delegata agli organi di settore. Nel giocare questo è evidente, oggi si
può giocare in palestra, nei campi sportivi, per chi lo ha, nel cortile di
casa, se non ci sono macchine parcheggiate. Altrimenti si deve litigare
con il capo condomino ed entrare nei regolamenti condominiali e discutere
con gli adulti che si incontrano ogni mese e discutono su come
cementificare il cortile.
Il secondo livello ben più pericoloso per la nostra cultura è l'idea di
protezione.
Pensate di cosa ha bisogno la strada! Ci sono i guard-rail, la
segnaletica, i passaggi pedonali, tutto ciò per proteggere l'utente. Visto
che abbiamo costruito un sistema pericolosissimo, rassicuriamo il singolo
attraverso una serie di istruzioni e di segnaletica protettiva. Tutta
questa segnaletica ci mette una paura da morire, se voi leggete i cartelli
luminosi dentro le tangenziali che ti dicono due su venti muoiono perché
erano ubriachi, quattro su venti muoiono perché dormivano, l'effetto più
che altro è una reazione di avversione e di trasgressività. Costruiamo
contesti immunizzanti e immunizzati. Solo, come sappiamo, il Novecento è
il secolo delle malattie auto immuni, cioè quando si eccede di
immunizzazione, il sistema immunitario produce malattie al suo stesso
corpo, autorivoltandosi. La sicurezza stradale, mi pare, produce malattie
da auto-immunizzazione, tanto che la socialità si perde, la mobilità si
perde, quanto più la proteggi. Se la protezione supera una certa soglia,
quella protezione ammazza la vita.
Il terzo livello è quello della penalizzazione, cioè la singola persona
che non accetta la prevenzione e la protezione, viene punita. Utilizziamo
le penalità per costringere le persone a seguire le regole che non
ritengono accettabili a livello di protezione. Non vedendole come la
soluzione, ma il problema, le trasgrediamo e la società ci punisce. Questo
tipo di reazione penalizzante determina un aumento dell'insicurezza
sociale perché è chiaro che, se la protezione aumenta l'insicurezza e il
rifiuto della protezione aumenta la penalizzazione, le persone vivranno il
concetto della mobilità come contesto terroristico. Io ho preso il
motorino perché non volevo né la targa né la patente, ora ho il motorino,
devo pagare l'assicurazione, fra poco mi costringeranno anche a prendere
la patente e girare col casco. Tutte queste cose vengono presentate come
dinamiche di protezione pura, come tutti i contesti educativi che si fanno
per il bene del soggetto.
L'ipotesi è che dovremmo aumentare il valore dei legami sociali perché
solo dentro una confiducia la sicurezza può crescere. E' inutile
continuare a pensare e a sviluppare l'idea che se aumento la sicurezza
dentro quell'aumento di sicurezza salirà la fiducia. La specie umana
funziona al contrario, dentro la fiducia cresce la sicurezza, sono i
legami sociali che fanno nascere processi di condivisione, di fiducia e di
sicurezza.