50 anni di Arci: «ecco il fiore del partigiano»
Beatrice Montini
«È questo il fiore del partigiano...»
La notte del 23 marzo del 1945, a un mese dalla Liberazione, i nazifascisti 
prelevano dal carcere genovese di Marassi 20 detenuti politici. Caricati e 
ammanettati su di un autocarro, i 20 partigiani, tutti tra i 18 e i 57 anni, 
vengono trasportati a Isoverde. Lungo il tragitto due prigionieri riescono a 
fuggire. Gli altri diciotto vengono portati a piedi sino a Cravasco dove, nelle 
vicinanze del cimitero, vengono passati per le armi. Muoiono tutti, tranne uno. 
Arrigo Franco Diodati, non ancora ventenne ma già al comando militare partigiano 
di Genova. Quel 23 marzo Diodati viene fucilato insieme agli altri compagni ma, 
miracolosamente, si salva. «Dopo la prima raffica che mi lascia illeso, la 
seconda mi colpisce al collo e cado per terra. Creduto morto dai nostri 
carnefici, ho sentito morire i miei compagni uno dopo l'altro e anche io ho 
creduto di morire - - ricorda oggi Diodati con commozione e fermezza - Quanti 
morti per l libertà, il bene più grande per l'uomo». Il partigiano Diodati era 
stato catturato dai tedeschi alla fine del '44 e, dopo 22 giorni di torture, 
rinchiuso nel carcere di Marrassi. «Sentivo che le torture mi piegavano, avevo 
paura e ho anche tentato di togliermi la vita - racconta con commozione - Ma la 
sofferenza più grande, per noi che eravamo giovani, era il fatto che, dalle 
notizie che trapelavano, capivamo che la fine della guerra era vicina . E noi 
non avremmo visto quella nuova era che stava per arrivare, quella nuova 
primavera». 
La sorte ha voluto che Diodati quella «nuova primavera» la vedesse fiorire. E a 
sessant'anni di distanza da quella giornata di marzo del '45, una bambina con i 
colori della pace, un giovane dj, un signore alla "bocciofila", un migrante, 
rappresentano nella campagna di comunicazione per il 50mo anniversario dell'Arci 
proprio i «fiori del Partigiano» sbocciati dopo la Liberazione. C'è infatti un 
filo rosso, diretto anche se forse poco noto, tra i valori della Resistenza, il 
partigiano Diodati e quella che è comunemente definita «la più grande 
associazione italiana di promozione sociale», un'associazione che oggi conta 
oltre un milione di soci e soprattutto una vera e propria ragnatela di circoli 
sparsi su tutto il territorio nazionale: ben 5.400. Il partigiano Diodati è 
infatti non solo presidente onorario dell'Arci ma uno tra i padri fondatori 
dell'"Associzione ricreativa e culturale italiana" nata ufficialmente tra il 25 
e 26 maggio del 1957, a Firenze, quando la convenzione dei sodalizi di base di 
Bologna, Novara, Pisa, Torino e Firenze ne redasse il primo statuto. 
50 anni di Arci: tra no global e bocciofile 
Per raccontare questo mezzo secolo di storia, l'Arci ha in progetto una tre 
giorni fiorentina (dal 25 al 27 maggio) fatta di dibattiti, manifestazioni, 
concerti, produzioni video ed editoriali per ripercorrere, anche attraverso 
foto, immagini e colo, la storia, i temi e la vita dell'Arci: insomma la memoria 
di un pezzo di Italia. «Mezzo secolo di storia - ha spiegato il presidente 
dell'associazione, Paolo Beni, presentando la manifestazione - e l'Arci è ancora 
giovane e frizzante. Ma è anche matura perché ha attraversato le generazioni e 
coinvolto centinaia di migliaia di cittadini in iniziative di carattere sociale. 
Le sedi dell'Arci offrono occasioni di aggregazione e ricreazione, di formazione 
e conoscenza, fanno cultura; si battono per affermare i diritti di cittadinanza, 
contro ogni forma di esclusione e discriminazione; promuovono attività di 
volontariato e di solidarietà, progetti e azioni di sostegno ai cittadini 
svantaggiati e di prevenzione del disagio; si impegnano nella cooperazione a 
fianco dei popoli del sud del mondo; sono parte attiva del movimento per la pace 
e la globalizzazione dei diritti, la democrazia e la giustizia sociale». 
La forza e il successo dell'Arci sta senz'altro in questa capacità di (per usare 
ancora le parole di Beni) di «attraversare le trasformazioni» della società 
italiana e costruire «nuovi spazi di cittadinanza»: cercare di essere insomma 
«palestra della democrazia», «scuola di cittadinanza», «luogo di diritti civili 
e di antidoto all'individualismo». 
Ma per capire meglio quello che tiene insieme le bocciofile con i no global, la 
tombola con i dibattiti sulla pace, la briscola con il consumo critico bisogna 
anche tornare al partigiano Diodati e alla sua storia. In quei 5400 "circolini" 
e Case del popolo, disseminati un po' in tutta Italia, ogni giorno almeno un 
milione di persone continuano a sperimentare e forme diverse dello stare insieme 
che uniscono l'auto-formazione culturale ad ampio raggio allo svago ricreativo 
del dopolavoro: la R e la C dell'acronimo Arci. «Con la Liberazione in Italia, 
persone di differenti fedi politiche marciano una accanto all'altra - spiega 
Arrigo Franco Diodati nel dvd Il filo rosso che racconta le origini dell'Arci 
proprio partendo dall'esperienza della Resistenza - Dopo la prima preoccupazione 
è quella di non disperdere quel patrimonio di sentimenti, di ideali, di libertà 
e solidarietà che vengono dalla lotta partigiana». 
Il valore del tempo libero che ancora non c'è
L'interrogativo è: come portare tutto questo nella società, tra le persone, tra 
i lavoratori, nelle masse?. Diodati, prima di tornare in Italia per combattere 
da partigiano, è vissuto a lungo in Francia dove il padre, da sempre 
antifascista, è stato costretto a fuggire con tutta la famiglia. Ed è qui che, 
ancora ragazzino, Diodati impara qualcosa che in Italia arriverà molti anni 
dopo: il valore del tempo libero, il diritto alle ferie per i lavoratori, 
l'importanza della cultura per le masse. Per questo nell'immediato dopoguerra 
Diodati lancerà in Italia i primi campeggi internazionali, le organizzazioni di 
escursioni e attività sportive come forma di lotta culturale e di aggregazione 
dal basso. Insomma, come spiega il ricercatore Luciano Senatori «la nascita 
dell'Arci fu la risposta dei circoli del movimento democratico di sinistra dopo 
20 anni di fascismo alla battaglia per la conquista e la qualitàdel tempo libero 
dei lavoratori intesa proprio come battaglia culturale per le masse». 
Dopo 50 anni questo cammino è ancora in corso. Per l'Arci e non solo. Se è vero 
che l'Associazione è un'esperienza unica in Europa che pervade un po' tutta la 
scocietà (in realtà soprattutto al Nord: Emilia, Toscana, Lombardia e Piemonte) 
e, come dice una ricerca statistica commissionata all'Unicab, è (dopo il WWF e 
l'Unicef) l'associazione più conosciuta dagli italiani (almeno il 69% dei 
cittadini del Belpaese sanno cos'è l'Arci), dall'altro gli italiani sono ancora 
i cittadini del Vecchio Continente che hanno in assoluto meno tempo libero per 
loro. E quindi anche meno tempo per la cultura, lo svago, la partecipazione, le 
attività di autoformazione e di integrazione sociale. Secondo un sondaggio Istat 
del 2006 gli italiani negli ultimi dieci anni hanno "guadagnato" due minuti di 
tempo libero in più al giorno, passando da 3 ore e 49 minuti a 3 ore e 51 minuti 
di spazio per sé. Basterà al «fiore del partigiano» per continuare a sbocciare? 
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