Author: massimiliano.piacentini@tin.it Date: To: forumlucca Subject: [Forumlucca] Per una sinistra alternativa
Salvatore Cannavò* e Franco Turigliatto** - da "Il Manifesto", 25 marzo
2007
Tra gli effetti provocati dalla recente crisi di governo non è
ininfluente quello che riguarda il processo di riorganizzazione in
atto
a sinistra. La crisi ha infatti avuto un effetto di accelerazione
evidente per quel che riguarda la futura nascita del Partito
democratico che difficilmente potrà trovare ostacoli nelle pur
molteplici sue contraddizioni interne ma che ha un collante prezioso
sia nella visione «liberale» che propone sia nella spinta «unitaria»
di
cui si nutre.
L'altro progetto, meno visibile ma anch'esso avviato, è
invece
quello che probabilmente assumerà il nome di «Partito della
sinistra»
in versione socialista o neo-socialdemocratica. E' un
progetto
(peraltro rilanciato dall'intervista di Franco Giordano al
Messaggero che lo vede possibile entro la primavera del 2008)) che
costituisce la risposta alla sconfitta della sinistra Ds
all'interno
del congresso e che lo stesso Bertinotti ha indicato a
Rifondazione
come soluzione della sua crisi.
La caduta di Prodi, avvenuta dopo la
manifestazione di Vicenza e per lo
scontro parlamentare voluto dallo
stesso D'Alema, ha infatti
evidenziato il fallimento dei pilastri che
hanno sorretto la strategia
del partito dal congresso di Venezia in
qua: l'idea che i rapporti
di forza del paese permettessero un governo
per la «Grande Riforma» è
stata polverizzata dal risultato elettorale
del 9 aprile; il
cambiamento rispetto al '96 dei partiti della
cosiddetta sinistra
moderata è stato agilmente smentito dall'azione del
governo e
dallo sbocco del Partito democratico; l'ipotesi della
permeabilità
del governo Prodi al conflitto sociale si è sfarinata la
sera del 17
febbraio con la risposta di Prodi alla manifestazione di
Vicenza.
Ora i vari progetti sono in fase di accelerazione perché,
ovviamente,
si teme che la crisi strisciante del governo possa
travolgerli. In
nessun caso però si tira un serio bilancio di questa
prima fase della
sinistra al governo e della sua perdita di
credibilità. Il governo ha
polverizzato rapidamente molte delle attese
che la sua vittoria aveva
generato. Già con i fischi di Mirafiori
avevamo visto un certo grado
di disillusione ma con il caso di Vicenza
e con le risposte sorde e
cieche offerte da Prodi e da D'Alema, lo
scollamento si è
manifestato più chiaramente. Il voto sulla guerra è
solo il culmine di
un processo di adattamento e di realpolitik che fa a
pugni con la
generazione delle speranze scaturite a Porto Alegre e
Genova. La
speranza del cambiamento oggi si scontra con la logica dura
dei
«rapporti di forza» che vengono presentati come un vincolo alla
politica quotidiana e come la ragione fondante del compromesso
necessario. Chi si oppone o si estranea da questa logica viene
confinato nel recinto delle «anime belle» «testimoniali» e senza
futuro. Eppure l'origine della crisi attuale è addensata proprio
nel
logoramento del rapporto tra governo e il «popolo» che lo ha
sostenuto,
logoramento che sfocia nella demoralizzazione. Il miglior
sostegno al
ritorno delle destre è dato proprio da una politica
antipopolare (si
guardi Padoa Schioppa) e quindi suicida. E la stessa
«crisi della
politica» riguarda direttamente ceti e gruppi dirigenti
incapaci di
cambiare la vita delle persone determinando così un
progressivo
scollamento tra «politica» e «società», fenomeno su cui da
un po' di
tempo si sta concentrando nelle sue lettere Valentino
Parlato.
A questa
crisi oggi non si risponde con l'ennesima riaggregazione
di ceti
politici sempre uguali e immutati (il nuovo partito della
sinistra
assomiglia incredibilmente alla mozione 2 che si opponeva
allo
scioglimento del Pci) in virtù di una sana politica del
«compromesso
sociale» magari dinamico. Questa strada non porta da
nessuna parte e
non è un caso che questa proposta chiuda
l'anomalia italiana aperta
dalla svolta della Bolognina. La chiude
direttamente sul piano dei
contenuti e del baricentro che si vuole
dare alla sinistra: interna
alla prospettiva di governo, incardinata
su una logica di mediazione.
Davvero, stavolta non è questione di nomi
(comunista o socialista) ma
di contenuti e di pratiche. E quindi, se
da un lato è proposta la
riaggregazione neo-socialdemocratica, noi
pensiamo che bisogna
rimettere in moto il processo della Sinistra
alternativa. A partire da
tre punti fermi.
Il primo è che la sinistra può definirsi alternativa
solo se lo è
all'esistente, alla guerra e al liberismo. In altre
parole, se non
vota la guerra. E nemmeno le «controriforme» delle
pensioni o le
grandi opere di devastazione ambientale; così come non si
scende a
compromessi con i ricatti delle gerarchie vaticane o non si
«tempera»
la Bossi-Fini. Insomma, la sinistra alternativa è «senza se e
senza
ma».
Il secondo elemento è che se non si riparte dalla lotte e
dai movimenti
sociali nessun progetto di ricomposizione, nessun
«cantiere» può
essere avviato seriamente.
Questi due elementi
richiedono un terzo ingrediente: l'«opposizione
sociale» al governo
Prodi resa indispensabile dalla natura dei 12
punti efficacemente
definiti da Marco Revelli «12 chiodi ben piantati
su una porta
sbarrata».
Questo è quindi il percorso che ci sembra sia utile seguire:
rilanciare
l'opposizione sociale, unire, nello spirito dei social
forum, le
lotte e i movimenti (da qui la proposta dei «Forum
dell'opposizione sociale»), ricostruire nel vivo del conflitto un
confronto in grado di far rinascere una Sinistra alternativa degna di
questo nome. Crediamo che la buona riuscita della manifestazione
contro
la guerra del 17 marzo abbia parlato di questo e di questo
andremo a
discutere il 1 aprile all'assemblea convocata dal Global
Projet.
Di
questo infine vogliamo discutere in un nuovo appuntamento, ancora
più
ampio e partecipato, che come «Associazione sinistra critica»
organizziamo a Roma il prossimo 14 aprile perché una nuova fase si è
aperta e due progetti sono in campo (e non sarebbe male se se ne
discutesse democraticamente magari in qualche congresso
straordinario).
Noi comunque nei contenitori riformisti e animati
dalla vecchia
nomenklatura della sinistra istituzionale non intendiamo
entrare.