[dePILazione] se il formato non va bene...a bocca piena 3

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著者: giulia fabini
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To: depilazione
新しいトピック: [dePILazione] sistema monetario e le monete complementari
題目: [dePILazione] se il formato non va bene...a bocca piena 3



    PASTO PIUTTOSTO SOBRIO ORGANIZZATO ALL’INTERNO DI COLLETTIVITA’Mie dolci dame Dile e Silvietta,


come mi havete chiesto vi mando le mie piccole aggiunte rosa...
e scusate per il ritardo,

Poiche non riesco a mandartele in altro formato ti incollo semplicemente tutto il documento qua sotto...

dovrebbe essere a bocca piena 3...

buona cena mercoledi,
e sparatene tante altre da aggiungere, che gioia.

eh si che vi tiro una palla di neve,
Juju






    
    
    
    
    
    
    
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UN
RI-SOTTO VI RI-SEPPELLIRA’









Ristorare: [dal latino
restaurare] rinvigorire … che da sollievo allo spirito e al
corpo, ricrearsi, rinnovare, reinventare





RISTORO: PASTO PIUTTOSTO SOBRIO
ORGANIZZATO ALL’INTERNO DI COLLETTIVITA’

















Si
parla a bocca piena






Dovete sapere che questo pranzo non
inizia quando si comincia a mangiare: già da prima pensiamo a
cosa cucinare, ci mettiamo d’accordo, compriamo gli ingredienti,
cuciniamo. Alcuni a casa altri in aula. Poi mettiamo il tutto su un
tavolo, lo stesso dove poco prima si stava studiando, o ci si
provava.

Nessuno mangia solo ciò che ha
cucinato, poiché nel momento in cui una portata viene messa
sul tavolo diventa di tutti, e in questo modo ognuno può
assaggiare qualsiasi cosa, piroettando tra una lasagna di cavolfiore
e crema, un’ orecchietta, un fritto misto e una crepe.


Chi non può cucinare
solitamente lascia un’offerta libera che serve a finanziare
l’autogestione dell’aula (dal fornello al caffè, passando
per il cineforum e le varie attività di condivisione dei
saperi). Spesso c’è chi si diverte a suonare e cantare
mentre si prepara, si cucina e finalmente si mangia, per la gioia
degli astanti, allietandone l’ attesa, la masticazione e la
digestione.

Usiamo i piatti in ceramica perché
la plastica è da buttare mentre la ceramica si può
lavare (la carta fa male e la colla è micidiale). Fra una
rima e l’altra, mentre la caffettiera sbuffa, ognuno lava il suo
piatto e lo mette ad asciugare. Poi si digerisce in compagnia.









A proposito di
politica, ci sarebbe qualcosa da mangiare?



bellissimo, lo metterei come titolo principale)





Questo ristoro non è la messa in
efficienza di un servizio di mensa e non è un contro-servizio.


Non è nemmeno un servizio.

In un servizio c’è una domanda
ed un’offerta, un fornitore ed un cliente, una merce a cui si dà
un valore monetario. C’è un mero consumo del cibo,
cieco e atomizzato, unidimensionale ed indirizzato al profitto.

Al contrario, vogliamo fare del cibo un
veicolo che ci apra molteplici possibilità (un
momento che si apra a molteplici possibilità).


E’ il tentativo di riappropriarsi
delle diverse dimensioni del ristorarsi.(?) (è
un tentativo di riappropriarsi delle dimensioni più vitali
dell’esistenza?)








INGREDIENTI:





tempo, qualità, relazioni,
produzione, saperi e sapori, rivoluzione, sensi e senso













PREPARAZIONE:




Sciogliere a
fuoco lento la dose desiderata di TEMPO…





La logica consumistica vuole
costringerci a mangiare
solidicorsaallamensatestabassasulpiattoocchioallorologio.

[immagine fila]


Ovvero: l’atto del mangiare diviene
un aspetto marginale del vivere, uno spreco di tempo, un momento da
minimizzare come fosse un costo, da incastrare al meglio fra gli
impegni dell’agenda.

Si è spinti a mangiare in fretta
perché velocizzare il reperimento e il consumo del cibo libera
tempo per le attività considerate utili. La conseguenza è
la messa in produzione del pasto, scan-di-to (scondito) all’interno
della giornata in modo funzionale ai ritmi di lavoro o di studio,
come una delle varie fasi del processo produttivo.

Ma se il cibo è parte
essenziale del nostro essere, perché ridurlo ad una mera
(tale?) banalità?





Masticare con lentezza vuol dire invece
dare un senso diverso al tempo e liberarlo.


Il piacere è
veramente tale se viene pregustato, atteso e messo in
relazione, non immediatamente consumato,
senza passato né futuro. Se viene costruito attivamente da
ognuna e ognuno, non acquistato già pronto. Non come voglia
(da soddisfare immediatamente e immediatamente
dimenticare) ma come desiderio (da coltivare, attendere(a
t t e n d e r e) e ricordare).






Il rifiuto della predeterminazione del
tempo dedicato al cibo è anche il rifiuto della sua logica
utilitaristica. (?)





Riappropriarsi
del tempo significa permettere al cibo di narrare la sua storia, i
suoi luoghi d’origine, ma anche le storie (i
racconti?) di chi ha zappato la terra,
di chi l’ha nutrito o di chi l’ha coperto (soffocato?)
di pesticidi, di chi ha sudato su quella terra e di chi su quella
terra ha incominciato a sperimentare nuove pratiche di resistenza.
Significa lasciare spazio alle mille voci silenziose che gli alimenti
portano nel nostro piatto.

(così
forse si può collegare alla parte sotto sulle relazioni…?)




…aggiungere le
RELAZIONI montate a neve facendo attenzione ai
PROCESSI DI PRODUZIONE e mescolare lentamente (
l e n t a m e n t e )…





Il cibo quindi
non è solo ciò che abbiamo
(mettiamo) in bocca: nutre le nostre relazioni oltreché
il nostro organismo, e ci narra le relazioni da cui è nato,
nel senso di rapporti di produzione e rapporto uomo-natura.(Però
forse a codesto punto 'ste tre righe comunque zeppe di verità
sono un po' una ripetizione dell'aggiunta rossa...?)

Ogni volta che mangi qualcosa mangi
anche il processo di produzione che ci sta dietro.


“Le uova prodotte dalla macchina
infelicità delle galline non possono che essere disgustose.
Così i frutti, i cereali, gli ulivi, le viti: se sono prodotti
dalla macchina di infelicità della terra non possono che
essere disgustosi. Così le macchine, i vestiti, i pensieri,
gli oli, i vini: se sono prodotti dalla macchina di infelicità
degli uomini non possono che creare disgusto.” (da Terra e Libertà-
Critical Wine).


Per questo è fondamentale
interrogarsi sulla provenienza dei prodotti che consumiamo. Da qui la
nostra attenzione ai prodotti del territorio, alla loro stagionalità,
alle realtà del mondo agricolo non basate sullo sfruttamento
intensivo del lavoratore e
della terra. Vorremmo (Cerchiamo?)
un rapporto col produttore che sia il più possibile diretto,
che non si limiti all’ “arrivederci e grazie”. Ci riconosciamo
nelle realtà bolognesi che rendono possibile questo approccio:
mercato dei produttori del Vag61 e dell’
XM24, le botteghe del commercio equo e
solidale per quanto riguarda i prodotti
postcoloniali (caffè, the, cioccolato…)?









…infine
aggiungere SAPERI E SAPORI,
facendo attenzione ad averli prima ben destrutturati…





Siamo stanchi di avere il piatto
pronto. La cucina non è solo un'
iniezione di carburante in un organismo-macchina:
è un immenso campo di sapere, è sapere tradizionale
comune che si tramanda (di bocca in bocca...)
e nello stesso tempo atto creativo in cui ognun* si mette in gioco.
Il piatto (sempre quello (lo stesso?)
per tutte le portate) diventa un laboratorio, in cui ogni
accostamento è possibile. Così come nel piatto si
mescolano (dialetticamente) i sapori, intorno ad esso s’
intersecano le esperienze e i saperi.





La “buona cucina” ha senso solo se
(la si rende esperienza quotidiana?)si
fa esperienza quotidiana, continuamente
definita e ri-definita dal sapere pratico dei soggetti (sempre
tenendo presente la natura ontologica del soffritto). L’ idea di
buona cucina che ci viene proposta, un vezzo esclusivo, una merce già
impacchettata e mistificata da un sapere sul cibo tanto
banale quanto finto, ci fa vomitare .

Occorre demistificare la nozione di
qualità del cibo legata al mercato, quella dei mille marchi
DOP IGP IGT IGminchia che servono solo ad alzare il prezzo(per
la gioia delle qualcheduno tasche? Ma forse non ci sta)(…)

Se di Qualità
si parla che sia Una.





…condire
abbondantemente il tutto con trame di RIVOLUZIONE…





L’ingrediente
fondamentale …. Non vogliamo che il momento del pranzo del giovedì,
per quanto bello e appagante, rimanga fine a se stesso. Non vogliamo
che diventi soltanto un modo per nutrire le nostre relazioni
lasciando inalterato il sistema di relazioni politico-economiche in
cui siamo immersi. E’ necessario che continuiamo ad interrogarci
costantemente sulla natura di quello che stiamo facendo, perché
da questo momento possano emergere spinte che vadano oltre, che
mettano in discussione l’ordine costituito, che spiazzino in
continuazione il nostro e l’altrui senso comune. (?????)





…e servire
caldo a chi lo desidera per la gioia dei SENSI…





……………………………………………………………………………..(
qui direi che ci starebbe un pensiero che una volta quel buon vecchio
Filoscia mi espresse. Trattasi del recuperare il Senso della vita-o
di dare, preferisco, il senso alla vita-attraverso il sensi della
vita. Non voglio rubare il pensiero al pensatore, perciò
lascerò le cose così...però mi sembra ottimo e
che cada a pennello poichè alla fine uno degli scopi anche di
questo pranzo, della lentezza, del cucinare, dell'assaporare del
gustare sia il recupero, il ricordare i sensi della vita, quelle
magnifiche scosse che possono arrivarti addosso inaspettatamente o
aspettatamente, e attraverso di loro ricordarsi che esiste, o come io
preferisco pensare, che si può e si deve Dare il Senso alla
vita...che alla vita il Senso lo trovi in ogni senso...per maggiori
dettagli rivolgersi a chi di testa...oppure mi occuperò io
stessa della stesura su delega)





















PROPOSTE





Un giorno
    potremmo chiedere a chi cucina in aula c di inventarsi/raccontare la
    storia di quello che ha cucinato


    Laboratori
    di cucina collettiva il giovedì mattina


    Potremmo
    organizzare qualche seminario sul cibo? Tipo con quelli di
    critical-wine…















“Proposta da
rielaborare”





La mia idea
partiva dal capovolgimento del punto di vista di analisi, ossia
partire dalla problematica ontologica\antropologica dell’oggetto di
studio.

Cosa voglio dire:
è giusto e legittimo parlare della logica consumistica come
sovrastruttura sociale che induce l’individuo a comportamenti di un
certo tipo ma in questo modo rischiamo di ignorare la base
dell’analisi, ossia l’individuo stesso.

Penso che
l’approccio società-individuo sia necessario ma non
sufficiente, secondo me dovremmo di conseguenza introdurre anche
l’approccio individuo-società.

Per fare ciò
introduco il concetto dei “miti razionalizzati” (usato nella
sociologia economica) esplicitato come il modus cogitandi collettivo
che si manifesta come l’insieme dei comportamenti generalizzati e
necessariamente legittimati in un determinato contesto sociale (si
potrebbe anche chiamare “coscienza collettiva” o qualcosa sul
tipo..) e a questo punto rispondiamo a questa domanda: “perchè
l’individuo si comporta come si comporta?” ed inoltre (per
avvicinarci all’oggetto della nostra analisi) “perchè
l’individuo consuma abitualmente (per pranzo) un pasto
frugale, solo, a testa bassa sul piatto, etc.?”

La risposta ce la
da la domanda stessa: “per abitudine”, dove l’abitudine è
la forma manifesta dei miti razionalizzati.

Da qui il
concetto trattato in precedenza del: se mangiare è una
necessità primaria perchè ridurla (attraverso un
deprezzamento dell’azione stessa del mangiare) ad una mera
banalità?

La risposta è
esattamente quella di prima: “per abitudine”.

Mi sembra
doveroso aggiungere che questa analisi è una semplificazione
di un discorso più ampio (accennato in fondo alla
pagina...)

Quindi, citando
un discorso trattato in un’infinità di campi culturali
differenti, affermo che la “crescita” di un individuo avviene
attraverso la capacità di rinnovarsi (culturalmente,
ideologicamente, etc.) ed attraverso il superamento della propria
“condizione” mediante l’abbattimento del proprio abitudinario.

L’abitudine
uccide il pensiero, generalizza, semplifica, genera luoghi comuni
frenando così la crescita individuale (-sociale).

Solo abbattendo
l’abitudine potremo valorizzare, innalzare e sublimare ciò
che quotidianamente diamo per scontato. (Fico!)













“discorso
più ampio”





-Teoria
dell’individuo atomizzato, utilitarista ed individualista (homo
oeconomicus)

-Teoria corretta
dal pensiero di Polanyi e poi attraverso Durkheim da Granowetter
(negazione dell’iper\ipo- socialità dell’individuo)





    

    
        
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