[RSF] #9 - "CENSURA 2007. Le 25 notizie più censurate" di Pe…

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Author: ASSAGGI - Information Guerrilla
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Subject: [RSF] #9 - "CENSURA 2007. Le 25 notizie più censurate" di Peter Phillips e Project Censored (Nuovi Mondi Media)






ASSAGGI In esclusiva per i lettori di Information
Guerrilla anteprime ed estratti dalle migliori novità della
saggistica#9 | 7 marzo 2007 | 7738
iscritti | www.informationguerrilla.org




CENSURA
2007. Le 25 notizie più censurate
di Peter Phillips e Project
CensoredNuovi
Mondi Media, 375 pp., euro 19,50
"Per trent'anni
Project Censored ha raccolto notizie importanti che i principali conglomerati
mediatici hanno ampiamente ignorato, dando spazio anche alle più piccole e
frammentarie informazioni che potessero generare verità negate.
Questa nuova
edizione - dall'11 settembre al trattamento dei detenuti Usa in Aghanistan e in
Iraq, dallo stato degli oceani mondiali ai rischi legati agli OGM, dalla morte
di Milosevic nel sistema della propaganda allo studio sulla parzialità di
Associated Press - ribadisce il carattere fondamentale del progetto: non importa
quale sia l'argomento in questione, in ognuno il tema comune rimane la messa in
discussione dell'ideologia convenzionale".Per
gentile concessione della casa editrice pubblichiamo il capitolo 11
da "CENSURA 2007".
ll gruppo di predominio
globale e i grandi mediadi Peter Phillips,
Bridget Thornton, Lew Brown e Andrew Sloan
La classe dominante negli Stati Uniti è ora guidata da
un gruppo neo-conservatore di individui che hanno il comune obiettivo di voler
affermare in maniera aggressiva il potere militare statunitense in tutto il
mondo. In questo capitolo si identificheranno i personaggi chiave che sostengono
un programma politico di dominio globale e si esaminerà il modo in cui questo
gruppo è strettamente interconnesso a e supportato dai mezzi di comunicazione in
mano alle grandi società statunitensi. Vedremo anche in che modo chi fa notizia
sia diventato affiliato alle società di pubbliche relazioni che ritoccano le
notizie a proprio uso e consumo, e come i media di proprietà dei grandi gruppi
accettino acriticamente questa nuova forma di censura americana. Verificheremo
con attenzione chi ha tratto beneficio dall'11 settembre 2001 e determineremo in
che modo Bush, Cheney e Rumsfeld, insieme a partnership in cui si intrecciano
pubblico e privato, grandi gruppi mediatici, fondazioni private, contractor
militari, élite politiche e funzionari governativi, sostengano congiuntamente un
programma politico di predominio militare globale da parte degli Stati
Uniti.
Un lungo filo fatto di ricerche e indagini sociologiche
documenta l'esistenza di una classe dominante, la quale stabilisce le linee
politiche e determina le priorità per la politica americana nazionale ed estera.
La classe che governa gli Stati Uniti è complessa e molto competitiva al suo
interno, e riesce ad auto-alimentarsi attraverso famiglie di elevata condizione
sociale che interagiscono tra loro e condividono stili di vita, affiliazioni
alla grande impresa e l'appartenenza a club sociali e scuole private d'élite.
Questa classe dominante americana perpetua se stessa in maniera autonoma,
conservando la sua influenza attraverso istituzioni che creano tendenze
politiche come la National Manufacturing Association, la National Chamber of
Commerce, il Business Council, il Business Roundtable, il Conference Board,
l'American Enterprise Institute, il Council on Foreign Relations e altri gruppi
politici incentrati sull'impresa.
C. Wright Mills, nel suo libro del 1956 L'élite del potere,
documenta in che modo la Seconda Guerra Mondiale abbia consolidato una trinità
al potere negli Stati Uniti, trinità costituita da élite aziendali, militari e
governative in una struttura centralizzata e tenuta insieme da interessi di
classe, che lavora in perfetta armonia attraverso le "sfere più elevate" fatte
di contatti e intese. Mills ha descritto come l'élite al potere sia costituita
da coloro "che decidono qualunque cosa della massima importanza venga
decisa".
LE FONDAMENTA DEL GLOBAL DOMINANCE GROUP (GDG), L'ÉLITE
A FAVORE DEL DOMINIO GLOBALE
A Leo Strauss, Albert Wohlstetter e ad altri del Committee on
Social Thought dell'Università di Chicago va attribuito il grande merito di aver
promosso il programma neo-conservatore attraverso i loro studenti Paul Wolfowitz
e Allan Bloom, e tramite uno studente di quest'ultimo, Richard Perle.
La rivista culturale canadese Adbusters così definisce il
neo-conservatorismo: "il ritenere che la democrazia, per quanto imperfetta,
possa essere difesa al meglio da un pubblico ignorante pompato a dovere su
nazionalismo e religione. Solo uno stato aggressivamente nazionalista potrebbe
fare da deterrente all'aggressività umana [.]. Un tale nazionalismo richiede una
minaccia esterna e, se tale minaccia è impossibile da trovare, allora deve
essere appositamente fabbricata".
La filosofia neo-conservatrice emerse come reazione all'era
delle rivoluzioni sociali degli anni '60. Numerosi funzionari e personaggi
legati alle presidenze di Reagan e George W. Bush senior furono fortemente
influenzati dalla filosofia neoconservatrice, tra i quali: John Ashcroft,
Charles Fairbanks, Richard Cheney, Kenneth Adelman, Elliot Abrams, William
Kristol e Douglas Feith.
All'interno dell'Amministrazione Ford si instaurò una divisione
tra i tradizionalisti della guerra fredda che, utilizzando la diplomazia e la
distensione, cercavano di minimizzare gli scontri aperti, e i neo-conservatori,
che sostenevano invece il ricorso a confronti più aspri con l'"impero del male"
sovietico. Quest'ultimo gruppo si arroccò ancora di più sulle sue posizioni
quando George H. W. Bush, padre dell'attuale Presidente, diventò direttore della
CIA. Bush permise la formazione del "Team B", guidato da Richard Pipes insieme a
Paul Wolfowitz, Lewis Libby, Paul Nitze e altri, che costituirono il Committee
on Present Ranger (Consiglio sul pericolo presente, NdT) per destare maggiore
consapevolezza riguardo alla minaccia sovietica e alla necessità continua di una
forte e aggressiva politica di difesa. I loro sforzi portarono a delle energiche
prese di posizione antisovietiche negli anni dell'Amministrazione
Reagan.
Il giornalista John Pilger ricorda la sua intervista al
neo-conservatore Richard Perle realizzata in piena era reaganiana: "Intervistai
Perle nel periodo in cui era consigliere di Reagan, e quando parlò di 'guerra
totale', lo liquidai erroneamente come pazzo. Ha usato  recentemente la
stessa espressione nel descrivere la 'guerra al terrore' dell'America. 'Nessuna
fase', disse. 'Questa è una guerra totale. Stiamo combattendo un gran numero di
nemici, ce ne sono moltissimi là fuori. Tutto questo parlare a proposito di cosa
andremo a fare prima in Afghanistan, poi faremo in Iraq [.] questa è
assolutamente la maniera sbagliata di affrontare la cosa. Se lasciamo 
semplicemente che sia la nostra visione del mondo a precederci, e la abbracciamo
interamente e non cerchiamo di mettere insieme una diplomazia intelligente, ma
dichiariamo semplicemente una guerra totale [.] i nostri figli canteranno grandi
canzoni su di noi negli anni a venire'".
L'elezione a Presidente di Bush padre nel 1988 e la nomina di
Cheney a Segretario della Difesa estesero la presenza dei neo-conservatori
all'interno del governo, e la caduta del muro di Berlino nel 1989 aprì la strada
all'iniziazione formale di una politica di dominio globale. Nel 1992, Cheney
appoggiò Lewis Libby e Paul Wolfowitz nella stesura del rapporto Defense
Planning Guidance (Guida alla pianificazione della difesa), in cui si auspicava
il dominio militare statunitense in tutto il mondo, all'insegna di un "nuovo
ordine". Nel documento si esortavano gli Stati Uniti a impedire a qualsiasi
nuovo rivale di insorgere per sfidarci. Servendosi di espressioni come "azione
unilaterale" e "presenza avanzata" militare, nel rapporto si auspicava che gli
Usa dominassero allo stesso modo amici e avversari. Si giungeva alla conclusione
che gli Stati Uniti potessero raggiungere questa posizione rendendosi
"assolutamente potenti". Questa Guida per la politica della difesa, trapelata
alla stampa, fu bersaglio di aspre critiche provenienti da varie
parti.
L'11 marzo 1992 il New York Times riferì: "Funzionari di alto
livello della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato hanno duramente criticato
una bozza di direttiva politica del Pentagono, nella quale si asserisce che la
missione dell'America nell'era post-guerra fredda sarà quella di impedire a
qualsiasi gruppo di nazioni amiche od ostili di competere con gli Stati Uniti
per ottenere lo status di superpotenza".
Un funzionario dell'Amministrazione, che sapeva quali erano
state le reazioni del personale di più alto grado della Casa Bianca e del
Dipartimento di Stato, descrisse il documento come un 'rapporto insulso' che
'non rappresentava né contribuiva a formare in alcun modo la linea politica
statunitense'". Il senatore Robert C. Byrd, democratico della West Virginia,
definì la bozza del documento del Pentagono "miope, superficiale e ingannevole".
Molte persone appartenenti alle più alte sfere della politica governativa non
erano pronte per un programma di dominio globale unilaterale. Con l'elezione di
Bill Clinton nel 1992, gran parte dei neo-conservatori fu tagliata fuori dalle
stanze del potere.
Entrambi i partiti politici collaborarono, incoraggiando il
Congresso a proteggere gli interessi Usa all'estero e i profitti della grande
impresa in patria. Per mantenere i guadagni degli appaltatori della difesa, il
Defense Science Board (Consiglio scientifico per la Difesa presso il Pentagono)
di Clinton invocò un'industria della difesa globalizzata, ottenuta attraverso
fusioni di appalti della difesa con compagnie transnazionali che sarebbero
diventate partner per garantire la prontezza militare statunitense.
In generale, l'Amministrazione Clinton preferì tenersi alla
larga da una politica di promozione del predominio globale come giustificazione
ideologica per il mantenimento delle alte spese militari. Per controbilanciare
invece la diminuzione dei profitti per gli appalti alla difesa riscontrata dopo
la caduta del muro di Berlino, l'Amministrazione Clinton promosse
aggressivamente la vendita internazionale di armi, elevando la percentuale di
esportazione mondiale dal 16% del 1988 al 63% raggiunto nel 1997.
Esterni all'Amministrazione Clinton, i neo-conservatori
continuarono a promuovere un programma politico di predominio globale. Il 4
giugno 1994, circa 2.000 gruppi élitari di livello locale e nazionale
parteciparono a una "conversazione sul lago" dei neo-conservatori organizzata
all'esclusivo ritrovo estivo del San Francisco Bohemian Club. Un professore di
Scienze politiche dell'Università di Berkeley presentò la conferenza, intitolata
Debolezza violenta. Il relatore affermò che l'aumento della violenza nella
nostra società stava indebolendo le istituzioni sociali. A contribuire a tale
violenza e "decadimento" delle nostre istituzioni, disse, c'erano la
bisessualità, la politica dell'intrattenimento, il multiculturalismo,
l'afrocentrismo e una perdita dei confini familiari. Il professore dichiarò che
per scongiurare un ulteriore "deterioramento" era necessario riconoscere che "le
élite, grazie ai propri meriti e abilità, sono importanti per la società, e
qualsiasi élite che non riesce a definire se stessa non riuscirà a sopravvivere
[.] Abbiamo bisogno di limiti e valori ben definiti e chiari! Abbiamo bisogno di
una politica estera incentrata sull'America [.] e di un presidente che comprenda
la politica estera".
Proseguì arrivando alla conclusione che non possiamo permettere
alle masse "non qualificate" di portare avanti la politica, ma sono le élite a
dover stabilire i valori che possono essere tradotti in "standard di autorità".
Il discorso fu salutato da un'entusiastica standing ovation.
Come precedente detto, anche durante l'Amministrazione Clinton i
neo-conservatori continuarono ad agire per promuovere il predominio militare
globale.
Molti di essi e dei loro alleati trovarono poi incarichi presso
istituti di consulenza conservatori e con gli appaltatori del Dipartimento della
Difesa. Continuarono a mantenere stretti contatti d'affiliazione reciproca
tramite l'Heritage Foundation, l'American Enterprise Institute, l'Hoover
Institute, il Jewish Institute for National Security Affairs, il Center for
Security Policy e numerose altre organizzazioni politiche conservatrici. Gli
esponenti delle élite politiche favorevoli a un "nuovo ordine mondiale" guidato
dagli Stati Uniti, insieme ai più intransigenti collaboratori di Reagan e Bush
ed ad altri sostenitori dell'espansionismo militare, fondarono il Project for
the New American Century (PNAC; Progetto per il nuovo secolo americano) nel
giugno del 1997. Nella loro dichiarazione d'intenti venivano così asseriti i
loro obiettivi:
"È necessario aumentare le spese per la difesa in maniera
significativa, se dobbiamo attuare le nostre responsabilità globali oggi e
modernizzare le nostre forze armate per il futuro. È necessario rafforzare i
nostri legami con gli alleati democratici e sfidare i regimi ostili ai nostri
interessi e valori. È necessario promuovere la libertà politica ed economica
all'estero. È necessario accettare la responsabilità del ruolo unico che ha
l'America nel conservare ed estendere un ordine internazionale favorevole alla
nostra sicurezza, alla nostra prosperità e ai nostri principi. Una tale politica
reaganiana che propugna forza militare e chiarezza morale potrebbe non essere di
moda oggi, ma è necessaria per gli Stati Uniti, se vogliono costruire sui
successi dello scorso secolo e assicurare la propria sicurezza e grandezza nel
secolo che verrà".
Tra i firmatari della dichiarazione vi sono: Elliot Abrams, Gary
Bauer, William J. Bennet, Jeb Bush, Richard Cheney, Eliot A. Cohen, Midge
Decter, Paula Dobriansky, Steve Forbes, Aaron Friedberg, Francis Fukuyama, Frank
Gaffney, Fred C. Ikle, Donald Kagan, Zalmay Khalilzad, I. Lewis Libby, Norman
Podhoretz, Dan Quayle, Peter W. Rodman, Stephen P. Rosen, Henry S. Rowen, Donald
Rumsfeld, Vin Weber, George Weigel e Paul Wolfowitz. Tra i venticinque fondatori
del PNAC, dodici hanno ricevuto incarichi di alto livello da George W. Bush
nella sua Amministrazione.
Fin dalla sua fondazione, il PNAC ha attirato numerosi altri
sostenitori che hanno firmato documenti di natura politica o hanno preso parte
alle attività dell'associazione.
Otto dei suoi membri interni sono legati al contractor numero
uno della difesa, il colosso Lockheed Martin, mentre sette altri sono connessi
al numero tre, Northrop Grumman. Il PNAC è una delle numerose istituzioni che
uniscono i neoconservatori del dominio globale ai grandi appaltatori militari
statunitensi.
Nel settembre 2000, il PNAC elaborò un rapporto di settantasei
pagine intitolato Ricostruire le difese dell'America: strategie, forze e risorse
per un nuovo secolo. Il documento era simile al "Defense Planning Guidance"
scritto da Lewis Libby e Paul Wolfowitz nel 1992.
La cosa non sorprende, dato che i due parteciparono alla stesura
del rapporto PNAC del 2000. Anche Steven Cambone, Doc Zarkehim, Mark Lagan e
David Epstein furono notevolmente coinvolti nel progetto. Ognuno di questi
individui sarebbe poi andato a ricoprire incarichi di alto livello
nell'Amministrazione di George W. Bush.
In Ricostruire le difese dell'America si rivendicava la
protezione della patria, l'abilità di aprire simultaneamente vari fronti di
guerra, di avere un ruolo di polizia globale e controllare spazio e ciberspazio.
Si dichiarava che gli anni '90 erano stati un decennio in cui la difesa era
stata trascurata e che gli Stati Uniti avrebbero dovuto aumentare le spese
militari, per conservare la leadership geopolitica americana in quanto unica
superpotenza mondiale. Nel rapporto si affermava che, allo scopo di preservare
una Pax Americana, potenziali rivali quali Cina, Iran, Iraq e Corea del Nord
dovevano necessariamente essere tenuti a bada. Nel documento si sottolineava
anche che "il processo di trasformazione [.] [sarebbe stato] probabilmente
lungo, in mancanza di un qualche evento catastrofico e catalizzante come una
nuova Pearl Harbor". Gli eventi dell'11 settembre 2001 furono esattamente il
tipo di catastrofe di cui gli autori di Ricostruire le difese  dell'America
avevano bisogno per accelerare lo sviluppo di un programma di dominio
globale.
Prima dell'11 settembre, i membri del Congresso e le élite più
liberali, che continuavano a mantenersi all'interno di un quadro di politica
estera di distensione, tradizionalmente sostenuta dal prestigioso istituto
Council of Foreign Relations e dal Dipartimento di Stato, contestavano le
politiche di dominio strategico globale.
L'11 settembre sconvolse così tanto le élite liberal-moderate da
spingerle a garantire immediatamente pieno sostegno al Patriot Act, all'Homeland
Security e alla legislazione per appoggiare l'azione militare in Afghanistan e,
in seguito, in Iraq. La conseguente guerra permanente al terrore ha portato a
massicce spese governative, un enorme deficit (dovuto in parte anche ai tagli
fiscali effettuati da Bush) e alla rapida progressione dei piani delle élite
neo-conservatrici per il controllo militare del mondo.
LE ORGANIZZAZIONI A SOSTEGNO DEL DOMINIO
GLOBALE
I principali gruppi che nello scorso decennio si sono fatti
promotori della dottrina del dominio globale comprendono: Project for the New
American Century (PNAC), Hoover Institute (HI), American Enterprise Institute
(AEI), Hudson Institute (HI), National Security Council (NSC), Heritage
Foundation (HF), Defense Policy Board (DPB), Committee on Present Danger (CPD),
Jewish Institute of National Security Affairs (JINSA), Manhattan Institute (MI),
Committee for the Liberation of Iraq (CLI), Center for Security Policy:
Institute for Strategic Studies (CSP), Center for Strategic and International
Studies (CSIS), National Institute for Public Policy (NIPP) e l'American Israel
Public Affairs Committee (AIPAC).
Gli elementi centrali di ciascuno di questi gruppi, in
collaborazione con i principali contractor della difesa, hanno incoraggiato e
sostenuto l'espansione militare statunitense, una potente presenza Usa nel mondo
e il contenimento degli avversari, piuttosto che una politica di distensione o
dialogo diplomatico. Ecco gli esempi principali, di un programma d'azione
neo-conservatore, citati nelle notizie riportate dai media
mainstream.
L'Associated Press riferì una dichiarazione di Condoleezza Rice
del 17 dicembre 2000: "In quanto superpotenza guida del mondo, gli Stati Uniti
hanno responsabilità speciali. Mi piace pensare a un grande treno che scorre
lungo il suo binario, e ci sono mercati e competizione per i capitali privati",
disse la Rice.
"Chiaramente, gli Stati Uniti sono, per così dire, al posto di
guida. Con questa posizione di leadership ci si assume anche la responsabilità
di mantenere la pace", affermò la Rice, suggerendo quindi che le politiche
militari dell'Amministrazione Clinton non fossero l'ideale. "Chiaramente, è
necessario riequilibrare le missioni militari americane e delle risorse militari
dell'America", disse, insistendo sul fatto di voler tenere le armi di
distruzione di massa fuori dalla portata di paesi come Iraq e Corea del
Nord.
Tom Donnelly dell'American Enterprise e del PNAC, citato nel
Washington Post del 27 novembre 2005: "La riorganizzazione del Pentagono in Asia
e il viaggio del Presidente implicano che l'Amministrazione può essere piuttosto
realistica riguardo a ciò che significa realmente l'ascesa della Cina. Possiamo
starne certi, la competizione già in corso con Pechino è chiave: l'America ha un
interesse vitale nel sostenere la sua posizione di garante della sicurezza
dell'Asia. La sua leadership ha portato pace e prosperità nella regione. Eppure
c'è molto di più in gioco. La Cina è un attore sempre più importante in Medio
Oriente e, in realtà, a livello globale. In definitiva, se la dottrina Bush non
verrà applicata con successo all'Asia orientale, e la Cina potrà esportare il
suo cattivo comportamento in Medio Oriente, la strategia di promozione della
democrazia fallirà anche lì".
Richard Perle, dell'American Enterprise Institute, del PNAC e
del Committee to Liberate Iraq, nonché ex vicesegretario alla Difesa, intervenne
alla National Public Radio il 20 giugno 2000, dichiarando: "Credo che quando gli
altri avranno elaborato tutto questo, sarà riconosciuto che l'abilità degli
Stati Uniti di difendere se stessi sia un elemento stabilizzante per la nostra
sicurezza e che, a seconda di quali siano le situazioni che ci possono
riguardare, può essere stabilizzante per altri. Per esempio, immaginate che
abbiamo - dal momento che io credo siamo tecnologicamente capaci di produrlo -
un sistema di difesa con missili balistici collocati su navi. E immaginate che
ci sia un violento incremento della tensione nel subcontinente asiatico, nella
disputa tra India e Pakistan. Immaginate che un presidente americano potesse
dire: 'Sto inviando un incrociatore Aegis con un sistema di difesa con missili
balistici, e intercetteremo il primo missile esploso da una qualunque delle
parti in causa in questo conflitto'. Sarebbe una cosa negativa per gli indiani o
per i pakistani? Ame sembra che potrebbe molto verosimilmente portare stabilità
in una situazione molto pericolosa".
Il 18 ottobre 2005 Peter Brooks dichiarò in un'intervista alla
NPR: "I leader cinesi ritengono che se la crescita economica progredirà
celermente, la Cina potrà superare 150 anni di umiliazioni inflittele dalle
potenze straniere, tornando alla sua passata gloria di Regno di mezzo, [.] e
questa crescita economica le permetterà di essere in grado di sfidare le nazioni
più potenti del mondo, compresi gli Stati Uniti".
In ognuno dei casi appena menzionati, si nota una comune
presunzione di fondo, e cioè che gli Usa siano la potenza globale dominante e
che gli avversari (Cina, Iraq e Iran) debbano necessariamente essere contenuti
attraverso un aumento delle spese militari e delle politiche statunitensi
particolarmente dure.
Collettivamente, queste quindici organizzazioni che sostengono
la dottrina del dominio globale, in collaborazione con i principali contractor
militari, stringono in una morsa di controllo l'esercito e la politica estera
Usa all'interno dell'attuale Amministrazione e rappresentano un potere nascente
nelle tradizionali élite delle massime sfere politiche degli Stati
Uniti.
CHI TRAE PROFITTO DALLE POLITICHE DI DOMINIO
GLOBALE?
La Lockheed Martin ha beneficiato in maniera significativa
dall'espansione militare post-11 settembre promossa dai fautori del dominio
globale. Il budget del Pentagono destinato all'acquisto di nuove armi è passato
dai 61 miliardi di dollari del 2001 agli oltre 80 miliardi del 2004. Le vendite
della Lockheed Martin sono aumentate di più del 30% nello stesso periodo, con
decine di miliardi di dollari sui registri contabili per futuri acquisti. Dal
2000 al 2004, il valore azionario della Lockheed aumentò del 30%.
Il giornalista del New York Times Tim Weiner scrisse nel 2004:
"Nessun contractor si trova in una posizione migliore della Lockheed Martin per
fare affari a Washington. Quasi l'80% delle sue entrate proviene da fondi del
governo statunitense.
Gran parte dei restanti profitti deriva da vendite militari,
molte delle quali finanziate con i soldi delle tasse".
Alla data di agosto 2005, gli azionisti della Lockheed Martin
avevano guadagnato il 18% dai loro titoli nei dodici mesi precedenti. La
Northrup Grumann aveva beneficiato di una crescita simile nei tre anni
precedenti, con contratti stipulati con il Dipartimento della Difesa che
passarono dai 3,2 miliardi di dollari del 2001 agli 11,1 miliardi del
2004.
La Halliburton, il cui ex CEO è l'attuale vicepresidente Richard
Cheney, ha goduto di una crescita fenomenale dal 2001 a oggi. La Halliburton ha
ottenuto contratti con la difesa per un totale di 427 milioni di dollari nel
2001; nel 2003 è riuscita ad avere 4,3 miliardi di dollari in contratti, quasi
un terzo di questi era costituito da esclusive. Cheney, non casualmente,
continua a ricevere un salario differito dalla Halliburton. Secondo i rendiconti
ufficiali, la società pagò a Cheney 205.298 dollari nel 2001, 162.392 dollari
nel 2002, 178.437 dollari nel 2003 e 194.852 dollari nel 2004; le sue 433.333
stock option della Halliburton aumentarono di valore, passando dai 241.498
dollari del 2004 agli 8 milioni di dollari del 2005.
Il Carlyle Group, fondato nel 1987, è una società privata
d'investimento globale che gestisce circa 30 miliardi di dollari in attività
finanziarie. Numerosi membri di alto livello del Global Dominance Group sono
stati coinvolti nel Carlyle Group, tra cui Frank Carlucci, George H. W. Bush,
James Baker III, William Kennard e Richard Darman. Il Carlyle Group acquistò la
United Defense nel 1997. Vendette  poi le sue azioni della compagnia dopo
l'11 settembre, guadagnando un miliardo di dollari. Il Carlyle continua a
investire in appalti per la difesa e si sta movendo nel settore della sicurezza
nazionale.
I profitti per gli appalti della difesa sono stati estremamente
elevati, tanto che secondo quanto riferito dal New York Times nel marzo del 2005
qualcosa come 20-30 miliardi di dollari sono stati depositati nei forzieri dei
principali contractor militari, in conseguenza degli stanziamenti record del
Pentagono e delle corpose spese governative in fatto di sicurezza interna. Il
New York Times riferì che la Boeing aveva a disposizione 6,5 miliardi di dollari
in contanti.
PARTNERSHIP PUBBLICO-PRIVATE: I MEDIA E IL GLOBAL
DOMINANCE GROUP
Un programma politico di dominio globale prevede anche
l'infiltrazione negli uffici dirigenziali delle grandi società di comunicazione
degli Stati Uniti.
Un'équipe di ricerca della Sonoma State University ha
recentemente terminato uno studio sui consigli d'Amministrazione delle prime
dieci società medianiche statunitensi. Il gruppo ha determinato che i principali
rappresentanti dei consigli d'Amministrazione dei dieci giganti della
comunicazione sono in tutto 118. Questi 118 individui a loro volta sono membri
dei consigli di 288 corporation nazionali e internazionali. Quattro delle
maggiori imprese mediatiche degli Stati Uniti hanno nei loro consigli
d'Amministrazione contractor legati al Global Dominance Group e al Pentagono,
tra cui:
William Kennard: New York Times, Carlyle
GroupDouglas Warner III, GE (NBC),
BechtelJohn Bryson: Disney (ABC),
BoeingAlwyn Lewis: Disney (ABC),
HalliburtonDouglas McCorkindale: Gannett, Lockheed
Martin
Considerato quanto sia strettamente interconnessa la rete della
comunicazione, si può dire che i media negli Stati Uniti rappresentino
effettivamente gli interessi dell'America della grande impresa. L'élite
mediatica, una componente chiave delle élite politiche negli Usa, deve difendere
i messaggi ideologicamente accettabili, il contenuto mediatico e informativo, ed
è responsabile delle decisioni che riguardano le risorse dei mezzi di
comunicazione. Le élite mediatiche sono soggette alle stesse pressioni dei
responsabili della politica nelle più alte sfere del potere e, pertanto,
ugualmente influenzabili da una risposta reazionaria alla nostra più recente
Pearl Harbor e alle continue minacce di terrorismo.
Di conseguenza, le grandi corporation mediatiche negli Stati
Uniti hanno mostrato una sempre maggiore dipendenza dai portavoce delle élite
neo-conservatrici come fonti affidabili di notizie. Di seguito sono elencati i
risultati comparati dei contatti avvenuti tra i media mainstream e alcuni tra i
principali istituti di consulenza nel 2000 e 2005:
AEI: American Enterprise Institute§New York Times2000: 55; 2005: 99 - aumento
dell'80%Washington Post2000: 87;
2005: 157 - aumento dell'80,4%Trascrizioni2000: 137; 2005: 148 - aumento
dell'8%
CSIS: Center for Strategic and International
StudiesNew York Times2000:
25; 2005: 61 - aumento del 44%Washington
Post2000: 54; 2005: 81 - aumento del 50%Trascrizioni2000: 46; 2005: 98 - aumento del
113%Trascrizioni rappresentate: ABC News, CBS News, CNN,
National Public Radio e NBC News.
I programmi d'informazione di MSNBC, Fox e CNN sono strettamente
collegati a varie fonti governative e d'impresa che forniscono loro
informazioni. Riuscire a mantenere per molto tempo numerosi programmi
d'informazione richiede che vengano costantemente forniti intrattenimento e
notizie stimolanti, inframmezzati da ultimissime d'attualità. È la
reclamizzazione del consumo di massa a guidare il sistema, e le fonti
preconfezionate di informazioni sono vitali all'interno di questo processo
mediatico globale. Il regime dettato dagli indici d'ascolto impone che vi sia
una collaborazione continua con fonti multiple per previsioni del tempo sempre
aggiornate, racconti di guerra, risultati sportivi, notizie d'affari e titoli
locali. Anche l'informazione di stampa, radio e televisione locale è impegnata
in questo interscambio costante con fonti informative.
Il doversi preparare a guerre e azioni anti-terrorismo senza
fine si addice perfettamente al caleidoscopio visivo delle notizie pianificate
in anticipo. Gli specialisti in pubbliche relazioni del governo e gli esperti
mediatici al servizio di interessi privati alimentano con notizie costanti i
sistemi di distribuzione dei media nazionali. Il risultato è un'emergente
relazione simbiotica tra i dispensatori di notizie e i fornitori di notizie.
Esempi di questo rapporto sono le équipe della stampa organizzate dal Pentagono,
sia in Medio Oriente sia a Washington D.C., le quali consegnano rapporti
preprogrammati sulle operazioni in Iraq a gruppi selezionati di raccoglitori di
notizie (giornalisti) affinché le distribuiscano tramite le singole
organizzazioni mediatiche di appartenenza.
I reporter embedded, che operano direttamente con le unità
dell'esercito sul campo, devono mantenere dei rapporti di lavoro collaborativi
con i comandanti delle unità per poter rimanere al seguito delle truppe. Un
lavoro giornalistico svolto in collaborazione con le truppe è vitale per poter
continuare ad avere accesso alle fonti informative del governo. Inoltre, schiere
di revisori delle notizie nei quartier generali dei grandi organi d'informazione
riscrivono, addolciscono o bloccano notizie dal campo che potrebbero mettere a
rischio la natura simbiotica della gestione dell'informazione
globale.
IL DOMINIO GLOBALE, L'IRAN E I MEDIA
L'Iran, in quanto parte dell'"asse del male", è da lungo tempo
un bersaglio del Global Dominance Group. I grandi mezzi di  comunicazione
hanno aumentato in maniera significativa la copertura informativa al riguardo,
evidenziando il pericolo rappresentato da un eventuale Iran nuclearizzato. Le
notizie che collegavano l'Iran a una minaccia atomica, apparse nei quotidiani e
nelle riviste mainstream del Nord America, sono aumentate in maniera consistente
negli ultimi sei anni, passando dai 251 servizi nel 2000-2001 agli 890 nel
2005-2006.
Seymour Hersh sul New Yorker ha descritto in dettaglio quale sia
la disponibilità dell'attuale Amministrazione a lanciare un attacco atomico
preventivo contro l'Iran. Una guerra contro l'Iran rappresenterebbe un rapido
sviluppo del programma di dominio militare del Global Dominance Group e potrebbe
portare gli Stati Uniti a un'aperta chiarificazione atomica con Russia e Cina.
Inoltre, Michael Klare ha spiegato su The Nation come l'Amministrazione stia
spingendo per un'azione militare contro l'Iran e ha citato le parole del
Presidente Bush: "Quest'idea che gli Stati Uniti si stiano preparando ad
attaccare l'Iran è semplicemente ridicola", ha dichiarato Bush in Belgio il 22
febbraio. Ha quindi aggiunto: "Detto questo, tutte le possibilità sono da
valutare".
Il fatto è che una politica di aggressione del genere "colpire
per primi uno stato sovrano" ha radici di vecchia data nel terreno della
politica estera statunitense. I piani noti come "Global Strike" (Attacco
globale), svelati dalla Air Force all'inizio del 2001 da John Jumper e dal suo
staff, comprendono dettagli relativi a "imminenti" minacce provenienti da
nazioni bersaglio, come Iran, Russia, Cina e Corea del Nord. Secondo
globalsecurity.org, la Global Strike Task Force è destinata a essere la "forza
di abbattimento [delle nazioni] per il nuovo secolo".
Abbattere significa lanciare caccia "stealth" F-22 per
distruggere qualsiasi infrastruttura anti-aerea, rapidamente seguiti da
bombardieri "stealth" B-2 in partenza dagli hangar di Diego Garcia e dalla base
della Royal Air Force di Fairford, in Gran Bretagna. Quei bombardieri e caccia
possono attaccare 380 obiettivi in cinquantadue sortite. Per capire quale sia la
loro capacità distruttiva, basti pensare che nelle prime ventiquattr'ore
dell'operazione "Desert Storm" vennero colpiti solo 203 obiettivi con 1.223
sortite d'attacco di forze miste. La Global Strike rappresenta una forza
d'attacco trentasei volte più grande dell'intera forza congiunta impiegata
nell'invasione della Desert Storm; una forza armata nucleare costantemente
all'erta e pronta a venire scatenata contro qualsiasi punto nel mondo con un
preavviso di pochi istanti, ma rivolta principalmente contro i paesi costituenti
l'asse del male.
I grandi mezzi di comunicazione Usa non hanno presentato alcuna
vera discussione riguardo alle implicazioni a lungo termine di una politica di
dominio globale e di un attacco all'Iran. È stato un segreto noto a tutti, fin
dai primi giorni di questa Amministrazione, il fatto che il Global Dominance
Group intenda usare pienamente la capacità militare degli Stati Uniti per
attaccare un insieme specifico di stati sovrani, con o senza provocazione. In
realtà, i media si sono resi complici delle operazioni di controllo
dell'opinione pubblica, ignorando la brama di dominio globale del Global
Dominance Group.
LE PUBBLICHE RELAZIONI, I MEDIA E IL DOMINIO
GLOBALE
L'industria delle pubbliche relazioni ha sperimentato una
crescita fenomenale a partire dal 2001, dopo anni di tenace consolidamento. Sono
tre le mega-corporation del settore quotate in borsa: in ordine di grandezza,
Omnicom, WPP e Interpublic Group. Insieme, queste società hanno alle loro
dipendenze 163.932 persone, distribuite in più di 170 paesi. Non solo queste
mostruose compagnie controllano una cospicua quantità di ricchezza, ma
possiedono una rete di connessioni in potenti istituzioni internazionali con
legami diretti a governi, multinazionali ed enti politici legati al Global
Dominance Group.
La Omnicom mantiene una fitta rete di società controllate,
affiliate e agenzie semi-indipendenti quali BBDO Worldwide, DDB Worldwide e
TBWAWorldwide, GSD&M, Merkely Partners e Zimmerman Partners, insieme a più
di 160 società tramite la divisione Diversified Agency Services, comprese
Fleishman-Hillard, Integer e Rapp Collins. Anche la WPP, un conglomerato con
sede in Gran Bretagna, vanta una lista impressionante di società consociate
quali Young & Rubicam, Burson-Marsteller, Ogilvy & Mather Worldwide,
Hill & Knowlton, insieme a numerose altre imprese di pubbliche relazioni,
pubblicità e gestione delle crisi.
Prima che lo spettacolo della propaganda della prima guerra del
Golfo avesse luogo, per gentile concessione di Hill & Knowlton, la società
contribuì a creare un clima di sdegno nazionale contro l'Iraq riferendo di
orribili eventi presumibilmente causati dai soldati iracheni in Kuwait. Un
giovane donna di nome Nayirah dichiarò in una deposizione resa di fronte al
Congresso, e davanti a un'audience nazionale, di aver visto "soldati iracheni
arrivare in ospedale [in Kuwait] armati di fucili ed entrare nella stanza in cui
erano tenuti in incubatrice quindici bambini.
Tirarono fuori i bambini dalle incubatrici e li lasciarono sul
pavimento freddo a morire". Ciò che al pubblico non venne però detto era che
Nayirah era la figlia dello sceicco Saud Nasir al-Sabah, ambasciatore kuwaitiano
negli Stati Uniti. Al pubblico non venne neanche detto che la sua esibizione era
stata coordinata dalla Casa Bianca e inscenata dall'impresa statunitense di
pubbliche relazioni Hill & Knowlton, per conto del governo del
Kuwait.
Le grandi società di pubbliche relazioni sono strettamente
interconnesse ai mezzi di comunicazione di proprietà dei grandi gruppi. Quattro
esponenti del gruppo WWP sono anche membri del Council on Foreign Relations; un
membro del consiglio d'Amministrazione della Omnicom ha un incarico alla Time
Warner, uno dei più grandi conglomerati mediatici degli Stati Uniti, mentre un
altro è un membro permanente del consiglio della PBS.
Malgrado il rapido consolidamento e l'enormità delle più grandi
società quotate in borsa, parecchie compagnie indipendenti hanno potuto
approfittare di eccezionale crescita e successo. Alcune imprese che meritano
attenzione sono 5W Public Relations, Lincoln Group e Rendon Group. Queste
imprese hanno conosciuto un periodo di sviluppo esplosivo dopo l'11
settembre.
O'Dwyers ha nominato la 5W "la società di pubbliche relazioni di
più rapida crescita del 2005". La compagnia, fondata nel 2002, ha registrato un
aumento dell'85% delle sue entrate nette dal 2004 al 2005. Tra i clienti della
5W figurano numerose organizzazioni sioniste ed enti ufficiali: il governo di
Israele, il sindaco di Gerusalemme, il partito israeliano Likud, il sindaco di
Tel Aviv, il Ministero israeliano del Turismo, la Zionist Organization of
America, l'American Jewish Congress e l'Heritage Affinity Services (in assoluto
la prima carta di credito Visa Platinum che offre premi fedeltà con cui
sostenere Israele).
La società di pubbliche relazioni Rendon Group è una delle
compagnie ingaggiate per la gestione della comunicazione relativa alle guerre
preventive americane.
Negli anni '80, il Rendon Group contribuì a formare sentimenti
condivisi dagli americani riguardo all'estromissione del Presidente panamense
Manuel Noriega. Forgiò il sostegno internazionale alla prima guerra del Golfo, e
negli anni '90 creò l'Iraqi National Congress, dall'immagine al lancio sul
mercato, fino all'accurata selezione di Ahmed Chalabi. Il Rendon Group creò
l'immaginario che ha formato il sostegno a una guerra permanente al terrore, con
l'eroico salvataggio di Jessica Lynch e i drammatici racconti relativi alle armi
di distruzione di massa.
Il Lincoln Group deve il suo successo direttamente alla guerra
in Iraq. Sul suo sito web, la società dichiara: "Il Lincoln Group è stato
costituito nel 2003. Nel 2004, dopo che il governo statunitense ha iniziato a
richiedere aiuto per le campagne di comunicazione e divulgazione, è stata creata
una società consociata di servizi professionali per il governo con il nome di
Iraqex LLC, ma abbiamo in seguito adottato il nome della società madre, dato che
quell'impresa consociata ha iniziato a svolgere la sua attività di pubblicità e
marketing nella regione mediorientale".
Un esempio del suo lavoro è stato l'incarico affidato a soldati
e sub-appaltatori, pagati perché scrivessero articoli che sembrassero opera di
giornalisti freelance.
Il Lincoln Group si occupa anche di campagne che coinvolgono
operazioni psicologiche (PSYOP) in Iraq e Afghanistan. L'abilità che ha questa
impresa di ottenere cospicui contratti governativi, come quello da 100 milioni
di dollari che le è stato garantito nel giugno 2005, risiede nell'elenco di
connessioni provate e di vecchia data con i contractor del governo,
dell'esercito e della difesa. In cima alla loro lista di collaboratori
importanti c'è Vincent Breglio, esperto di sondaggi che ha collaborato con le
amministrazioni Reagan e Bush senior, seguito dal membro del PNAC Devon Cross.
Di seguito c'è Douglas H. Dearth, che ricopre l'incarico di titolare di cattedra
presso il Joint Military Intelligence Training Center e ha lavorato presso la
Defense Intelligence Agency. Altri consulenti sono William Zartman della SAIS e
il colonnello in pensione Charles Dennison Lane.
Il settore delle pubbliche relazioni continua nel suo rapido
consolidamento di potere e influenza, dovuto in parte ai contratti legati alle
guerre in Iraq e Afghanistan e ai controversi rapporti tra Iran, Russia, Cina,
America Latina e Stati Uniti, oltre che a questioni interne come l'assistenza
sanitaria pubblica, l'immigrazione e la previdenza sociale.
I contratti per le pubbliche relazioni durante gli anni di Bush,
se paragonati al periodo dell'Amministrazione Clinton, sono aumentati passando
da milioni a miliardi di dollari. Nel 2000, l'ultimo anno fiscale effettivo
dell'Amministrazione Clinton, il governo federale spese 38,6 milioni di dollari
distribuiti in sessantaquattro contratti con le maggiori agenzie di pubbliche
relazioni. Nel 2001, il primo anno dell'Amministrazione Bush, il governo
federale spese 36,6 milioni di dollari per sessantasette contratti con le
principali agenzie di pubbliche relazioni. Nel 2002, il primo anno fiscale
pienamente pianificato dall'Amministrazione Bush, le spese federali per le
pubbliche relazioni passarono a 64,7 milioni di dollari distribuiti in
sessantasette contratti.
Dopo essersi reso conto che l'attuale Amministrazione pagava
determinati personaggi per rappresentare la politica nella campagna a favore
della legge "No Child Left Behind", il Deputato Henry Waxman richiese un
rapporto del GAO sull'uso di finanziamenti pubblici per operazioni mediatiche.
L'inchiesta dettagliata, documentata nel rapporto, concluse che, dal 2003 al
2004 e per metà del 2005, l'Amministrazione aveva speso 1,6 miliardi di dollari
per 343 contratti con società di pubbliche relazioni, agenzie pubblicitarie,
organizzazioni mediatiche e singoli personaggi del mondo della comunicazione. Il
più spendaccione risultò essere il Dipartimento della Difesa, con 1,1 miliardo
di dollari in contratti.
L'industria delle pubbliche relazioni detiene un potere
significativo. La facilità con cui il popolo americano ha accettato l'invasione
dell'Iraq è il risultato di uno sforzo concertato che ha visto coinvolti il
governo, i contractor della difesa, le società di pubbliche relazioni e i grandi
mezzi di comunicazione. Queste istituzioni sono le istigatrici e le principali
beneficiarie di una guerra al terrore permanente.
L'importanza di questi legami risiede nel fatto che potenti
settori del Global Dominance Group possiedono il denaro e le risorse necessari
per trasmettere ripetutamente la propria propaganda al popolo americano, finché
questi messaggi non diventeranno verità lapalissiane e opinioni
prevalenti.
IL DOMINIO GLOBALE E I GRANDI CONGLOMERATI DEI
MEDIA
All'inizio del 2006, il Global Dominance Group ha stabilito in
maniera netta e precisa le sue priorità all'interno dei circoli politici di più
alto livello e presso il governo statunitense. Lavora fianco a fianco dei
contractor della difesa promovendo il dispiego delle forze Usa in più di 700
basi in tutto il mondo e ha forti legami, di vario tipo, con i colossi della
comunicazione negli Stati Uniti.
L'Amministrazione Bush sta ingannando l'opinione pubblica
americana, ricorrendo a sotterfugi e disinformazione sul terrorismo mondiale,
per spaventarci e spingerci ad appoggiare uno stato di polizia globale. Con una
campagna di pubbliche relazioni da un miliardo di dollari, settecento basi
militari e un budget più grande di quello del resto del mondo messo insieme,
l'esercito Usa è diventato la nuova forza suprema che reprime il "terrorismo"
ovunque.
Il discorso fondamentale tenuto dal vicepresidente Dick Cheney
alla conferenza politica dell'American Israel Public Affairs Committee (AIPAC)
il 7 marzo 2006 è un esempio efficace del pensiero neo-conservatore di dominio
globale che pervade l'attuale Amministrazione. Ecco le sue esatte parole:
"Israele, gli Stati Uniti e tutte le nazioni civilizzate vinceranno la guerra al
terrore. Per prevalere in questa lotta, dobbiamo comprendere la natura del
nemico [.] come l'America ha potuto sperimentare l'11 settembre, il nemico
terrorista è brutale e spietato.
Questo nemico non indossa uniforme, non ha alcun riguardo per le
regole della guerra e non è frenato da nessun parametro di decenza o moralità.
[.] I terroristi vogliono porre fine a qualsiasi influenza americana e
occidentale in Medio Oriente. Il loro obiettivo in quella regione è conquistare
il controllo di un paese, in modo che abbiano una base da cui lanciare gli
attacchi e dichiarare guerra ai governi che non soddisfano le loro richieste [.]
per istituire in definitiva un impero totalitario comprendente una vasta area
che va dalla Spagna al Nord Africa, attraverso il Medio Oriente e l'Asia
meridionale, fino ad arrivare all'Indonesia".
Cheney sostiene che i terroristi cattivi in tutto il mondo
stiano complottando per la rovina delle nazioni "civilizzate". Per riuscire a
fermarli, dobbiamo controllare militarmente tutte le regioni che ci minacciano
in una guerra globale permanente.
L'impero militare di Cheney combacia perfettamente con il
programma di dominazione militare assoluta del mondo del Global Dominance Group.
Per Cheney e altri neo-conservatori fautori del dominio globale, l'etichetta di
"terrorista" è così ampia che può essere applicata a qualsiasi individuo, gruppo
o stato che resista alle occupazioni militari statunitensi, alle minacce Usa o
agli interessi delle grandi imprese americane in qualunque luogo del
mondo.
Nel dicembre 2002, il giornalista olandese Willem Oltmans,
intervenendo all'incontro di lancio della Campagna internazionale contro
l'aggressione Usa all'Iraq tenutosi al Cairo, descrisse i suoi anni da
adolescente durante la seconda guerra mondiale, quando partecipò al movimento di
resistenza in Olanda. "I nazisti ci chiamavano terroristi", esclamò. "Ora,
mentre gli Stati Uniti invadono e occupano altri paesi, voi fate la stessa
cosa", aggiunse.
Mantenere una forza militare Usa in tutto il mondo arricchisce i
contractor della difesa e infiamma la resistenza. Non c'è nessuna minaccia
terroristica mondiale, se non quella fabbricata ad arte dai grandi colossi
mediatici e creata quando dichiariamo guerra ad altri popoli. Contestare il
programma di dominio globale dei neo-conservatori non è che una parte del lavoro
necessario per ricostruire la democrazia negli Stati Uniti. Altrettanto
necessaria è una riforma dei mezzi di comunicazione a partire dalle fondamenta,
finanziando un gran numero di operazioni mediatiche indipendenti per sfidare la
propaganda dei grandi colossi della comunicazione. È anche necessaria
l'approvazione di leggi che rendano illegale la creazione di notizie false da
parte delle società di pubbliche relazioni.
Occuparsi di povertà nel mondo, malattie e questioni ambientali
contribuirà enormemente a impedire singoli atti di terrorismo all'interno degli
Stati Uniti, più di qualsiasi azione militare che possiamo mettere insieme. È
tempo di mettere in dubbio il programma di dominio globale dei neo-conservatori
e schierarsi in difesa dei diritti umani e dei tradizionali valori americani di
democrazia che parte dal basso, giusto processo, trasparenza governativa e
libertà individuali, per noi e per il resto del mondo.
LA LOBBY ISRAELIANA E IL GLOBAL DOMINANCE
GROUP
di Andrew Sloan
"Esiste una profonda amicizia tra Israele e gli Stati Uniti -
tra i nostri popoli e i nostri paesi. La base di questa amicizia sono i valori
condivisi, un impegno verso gli ideali democratici, la libertà, la pace e gli
interessi comuni, compresa la spinta verso la stabilità nella regione e la
cessazione del terrorismo e della violenza." - Ariel Sharon
"Parleremo in difesa dei nostri principi e ci schiereremo al
fianco dei nostri amici nel mondo. E uno dei nostri amici più importanti è lo
Stato di Israele." - George W. Bush
Il rapporto di Israele con gli Stati Uniti è stato descritto in
molti modi: la pedina degli Usa, una risorsa strategica per gli interessi
statunitensi, un cliente degli Stati Uniti, lo "sbirro di quartiere" in
pattuglia per conto degli Usa in Medio Oriente, un tirapiedi imperialista, una
barriera alla penetrazione sovietica in Medio Oriente durante la guerra fredda,
il protetto degli Stati Uniti, un rapporto simbiotico con gli Usa, il cane che
ascolta il padrone, il padrone che ascolta il cane oppure, come lo definisce il
sito della United States Agency for the International Development (USAID;
Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale, NdT), una "stretta relazione
bilaterale". Chiaramente, gli Stati Uniti e Israele hanno legami unici rispetto
a qualsiasi altra alleanza tra due nazioni. Determinare se Israele sia una
pedina o un protetto degli Usa è una questione che riguarda l'autonomia e
l'autorità negli affari esteri e interni dello stato di Israele.
Ciò che è stato veramente peculiare in questo rapporto è
l'incrollabile appoggio che gli Usa hanno dimostrato nei confronti di Israele,
sia dal punto di vista economico sia militaristico. Alcuni sostengono che tale
appoggio vada persino contro gli interessi personali degli Stati Uniti in Medio
Oriente e oltre. Altri mettono sullo stesso piano il programma espansionistico
di Israele e le priorità di dominio globale dei neo-conservatori americani,
considerandoli essenzialmente come parti di uno stesso tutto. Questo dibattito
sui rispettivi tornaconti nazionali (per quanto possano essere davvero evidenti
o visibili le priorità dell'Amministrazione) è stato sollecitato dalla recente e
improvvisa comparsa di una domanda ancora più omnicomprensiva: chi è
responsabile dell'eccesso di generosità degli Stati Uniti nei confronti di
Israele?
Nel loro progetto di ricerca dal titolo La Lobby di Israele e la
politica estera statunitense, John Mearsheimer dell'Università di Chicago e
Stephen Walt della Kennedy School of Government di Harvard asseriscono che la
Lobby di Israele (sì, intendono proprio "Lobby" con la L maiuscola) funga da
prestanome nell'azione di accaparramento del magnifico appoggio degli Stati
Uniti. Copiose sono state le  recensioni celebrative, che hanno esaltato il
duo di autori per il coraggio dimostrato nel dire le cose come stanno. Quale
miglior modo di esporre tali assiomi se non quello di utilizzare singoli
individui provenienti da prestigiose istituzioni? Alcuni, tuttavia, mettono in
dubbio il fatto che la Lobby meriti tanto credito per aver fornito appoggio allo
stato di Israele, sostenendo che soltanto Washington sia responsabile per le sue
scelte di ripartizione dei fondi USAID.
Secondo questa obiezione, sostenuta apertamente da Noam Chomsky,
si ritiene che una potente lobby esista realmente, ma che accordarle una tale
influenza equivalga a lasciare il governo degli Stati Uniti "inviolato nel suo
alto pinnacolo di nobiltà".1 A dispetto delle critiche o dei consensi sollevati
dal loro studio, dobbiamo tutti concordare sul fatto che Mearsheimer e Walt
hanno acceso un dibattito di gran lunga necessario sull'influenza della Lobby
israeliana.
LA LOBBY
Come è stato spiegato da Mearsheimer e Walt, la Lobby israeliana
è stata efficace nel modellare la politica estera statunitense in direzione
filo-israeliana. "Noi usiamo 'la Lobby' come nome in codice per indicare una
libera coalizione di individui e organizzazioni". Specificano che "ciò non è
inteso a suggerire che 'la Lobby' sia un movimento unificato con una leadership
centrale, o che gli individui al suo interno non siano in disaccordo su alcune
questioni". La Lobby, anche se viene ritratta come un'entità apparentemente
concreta, è un insieme piuttosto astratto di sentimenti e atteggiamenti
americani nei confronti di Israele, provenienti dalle più piccole sinagoghe e
chiese, ma anche da fondate istituzioni lobbistiche come l'American Israel
Public Affairs Committee (AIPAC) e la Conference of Presidents of Major Jewish
Organizations, entrambe gestite da "intransigenti che in genere appoggiano le
politiche espansionistiche del partito Likud".2
Per meglio illustrare gli scopi di questa sezione, mi
concentrerò su istituti di esperti e singoli che sono maggiormente
identificabili e influenti, anche solo per individuare con esattezza le entità
all'interno del vago concetto identificato come "Lobby" da Mearsheimer e
Walt.
L'American Israel Public Affairs Committee ha, da solo, un
budget annuale di 40 milioni di dollari. Jeffrey Birnbaum del Washington Post
scrive: "Nel sondaggio della rivista Fortune sugli insider di Washington, si è
coerentemente classificato tra i primi cinque gruppi d'interesse più influenti
(accanto ad altre lobby meglio conosciute, come l'AARP e la National Rifle
Association). Una recente inchiesta del National Journal ha collocato l'AIPAC
alla posizione n.2 tra i legislatori democratici e alla n.4 tra i
repubblicani".3 La CNN riferisce che, nel 2000, l'AIPAC "spese più di un milione
di dollari per azioni di pressione sul governo. Diresse anche molti dei comitati
di azione politica filo-israeliana, che quell'anno fruttarono 6,5 milioni di
dollari in contributi elettorali: due terzi ai democratici e un terzo ai
repubblicani".4
Mearsheimer e Walt sostengono che non vi sia confronto con la
Lobby di Israele. Nessun altro gruppo di questo tipo possiede tali legami e una
tale influenza.  Altri critici affermano che noi ingigantiamo il potere
della lobby perché trascuriamo i benefici che Israele e gli Stati Uniti
condividono l'uno con l'altro, al di là di qualsiasi influenza politica. Oltre
all'AIPAC, tra le altre lobby filo-israeliane figurano il Jewish Institute of
National Security Affairs (JINSA), la Conference of Presidents of Major Jewish
Organizations, il Committee for Accuracy in Middle East Affairs (CAMERA), la
Zionist Organization of America e il Washington Institute for Near East Policy
(WINEP).
Affermare che queste organizzazioni agiscano isolatamente
rispetto alle altre associazioni ebraiche sarebbe una grave mancanza.
Mearsheimer e Walt spiegano che i maggiori istituti di consulenza
statunitensi,in cui non vi è alcuna affiliazione religiosa, condividono
sentimenti comuni. "Negli ultimi venticinque anni, [le lobby] hanno costituito
una presenza dominante presso l'American Enterprise Institute, il Brookings
Institute, il Center for Security Policy, il Foreign Policy Research Institute,
l'Heritage Foundation, l'Hudson Institute, il Project for New American Century
(PNAC) e l'Institute for Foreign Policy Analysis". Scrivono: "Questi istituti di
consulenza impiegano pochi (se non nessuno) critici della politica Usa di
appoggio a Israele".
Una lettera inviata dal PNAC al Presidente Bush nel 2002 a
proposito di Israele, Arafat e guerra al terrorismo dimostra piuttosto
chiaramente la sua ideologia neoconservatrice e favorevole all'espansionismo
israeliano: "Nessuno dovrebbe mettere in dubbio il fatto che gli Stati Uniti e
Israele abbiano un nemico in comune. Siamo entrambi bersaglio di ciò che lei ha
correttamente definito un 'asse del male'. Israele è preso di mira in parte
perché è nostro amico e, in parte, perché è un'isola di principi liberali e
democratici - i principi americani - in un mare di tirannia, intolleranza e
odio. [.] Signor Presidente, la politica degli Stati Uniti non può essere più
quella di sollecitare, e ancor meno di fare pressioni su Israele perché prosegua
i negoziati con Arafat, non più di quanto noi saremmo disposti a venire spinti a
negoziare con Osama Bin Laden o il Mullah Omar. [.] La lotta di Israele contro
il terrorismo è la nostra lotta. La vittoria di Israele è una parte importante
della nostra vittoria. Per motivi morali e strategici, dobbiamo stare al fianco
di Israele nella sua lotta contro il
terrorismo".5
La lettera è firmata da personaggi neo-conservatori quali Bruce
Jackson, Richard Perle e James Woolsey, tra gli altri. In questo documento non
solo si dice al Presidente come gestire gli affari interni di Israele, ma si
allineano gli affari esteri dello stato ebraico (così come li vedono gli autori)
ai nostri. Le minacce di Israele sono le minacce degli Stati Uniti, e
viceversa.
La Lobby di Israele ha una significativa presenza nei grandi
gruppi mediatici. Haim Saban è presidente e amministratore delegato di Fox
Family Worldwide, Inc. In un'intervista al New York Times del 2002, afferma: "Io
sono un tipo da 'dedizione a un'unica causa', e la mia causa è Israele". Il
signor Saban ha elargito milioni di dollari per la campagna elettorale dei
democratici, ha fatto la corte a John Kerry, ha dato decine di milioni di
dollari in favore di una divisione del Medio Oriente del Brookings Institute e
trascorre le vacanze con Bill Clinton. Non si può dire se possieda un'influenza
diretta sulle politiche tra Israele e Stati Uniti.
Eppure, Bill Clinton gli attribuisce grande merito per la sua
dedizione verso Israele, il sostegno alla sua fondazione e l'impegno per la
riconciliazione in Medio Oriente. Forse vuole vedere comunque la pace tra
Israele e Palestina, ma nell'articolo si nominano le sue conversazioni di ore e
ore con Ariel Sharon e le visite informali; non si fa menzione di alcun rapporto
tra Saban e Arafat.6
Esempi come quelli di Saban sono decisivi per comprendere in che
modo lavori la Lobby. Questo personaggio è un individuo potente che casualmente
possiede anche una delle massime società di comunicazione degli Stati Uniti.
Sotto questo aspetto, la Lobby è più sistemica che specifica: può agire
attraverso canali espliciti, come una lettera aperta da parte del PNAC a un
presidente, ma di solito risulta più efficace attraverso i canali degli
interessi privati, del nepotismo e delle donazioni elettorali. Dal momento che
gli strumenti di dialogo più ampiamente accessibili vengono dalle corporation,
si può facilmente intuire quale sia l'effetto valanga della Lobby, a partire dal
livello dirigenziale giù fino alla televisione domestica.
Non intendiamo affatto insinuare che la Lobby ebraica possieda
interamente i mezzi di comunicazione, ma in realtà non è necessario essere ebreo
per avere preconcetti filo-israeliani, così come si può essere ebrei
profondamente religiosi e rinnegare le politiche dello stato di
Israele.
Non è chiaro quanto la Lobby di Israele sia responsabile della
linea di politica estera Usa nei confronti dello stato israeliano.
Ciononostante, ci sono innegabili correlazioni che meritano una certa
attenzione. Mearsheimer e Walt sottolineano che, dal 1982, gli Stati Uniti hanno
apposto il veto a trentadue risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che
risultavano critiche nei confronti di Israele, più della somma totale di tutti
gli altri veti apposti dagli altri membri del Consiglio di Sicurezza. Gli Usa
hanno ostacolato in maniera particolare i tentativi degli stati arabi di portare
l'arsenale nucleare di Israele all'attenzione dell'Agenzia Internazionale per
l'Energia Atomica (AIEA/IAEA), che si adopera per il disarmo nucleare e altre
misure di non proliferazione.7
L'Amministrazione Bush-Cheney ha alle sue dipendenze molti
esponenti della Lobby, compresi molti personaggi filo-israeliani come Elliot
Abrams, John Bolton, Douglas Feith, I. Lewis Libby, Richard Perle, Paul
Wolfowitz e David Wurmser. Nel 2004, il New York Times riferì che subito dopo
l'11 settembre, Feith e Wolfowitz esortarono vivamente a lanciare attacchi
contro l'Iraq e poi l'Iran, scelta politica che l'AIPAC caldeggiava.8
Il recente scandalo AIPAC dimostra chiaramente quale sia il
grado di infiltrazione della Lobby nelle alte sfere del governo. Lawrence A.
Franklin, un analista veterano del Pentagono, ha ammesso di essersi servito
della sua posizione presso il Dipartimento della Difesa per rivelare
illegalmente informazioni segretate ai dipendenti dell'AIPAC Steven J. Rosen e
Keith Weissman, informazioni che sono state poi inoltrate in Israele. Franklin è
stato condannato a un periodo di detenzione, mentre Rosen, ex direttore degli
affari di politica estera all'AIPAC, e Weissman, ex analista esperto di Iran di
alto livello, sono in attesa di giudizio.9
La Lobby di Israele è stata efficace nel formare i media e nel
soffocare qualsiasi discussione pubblica critica nei confronti di Israele e
delle politiche di dominio globale in Medio Oriente, limitandosi semplicemente a
tacciare di antisemitismo qualsiasi forma di dissenso. È questo voler mettere
sullo stesso piano la politica estera di Israele con la sua identità di stato e
di popolo storicamente perseguitato che frena i critici, i quali si limitano ad
aggirare guardinghi le questioni centrali. L'analista mediatico Edward Herman,
nel suo studio "La lobby filo-israeliana", ritiene che una fondamentale
manifestazione del potere di questo gruppo di pressione sia "la sua abilità a
reprimere qualsiasi discussione pubblica e qualsiasi denuncia degli abusi di
Israele (per esempio la tortura, gli aiuti agli stati terroristi, le sue azioni
terroristiche oltre confine in Libano, l'accumulo illegale di un arsenale
atomico)".10
L'ex Public Editor del New York Times Daniel Okrent pubblicò un
articolo nell'aprile 2005, in cui descriveva come un giornale si debba muovere
sul filo del rasoio, come un equilibrista, quando si tratta di riferire del
conflitto israelo-palestinese.
Gli accesi sostenitori di ogni fazione sono pronti a criticare
ogni questione che abbia a che fare con Israele o la Palestina. Nella sua
appendice, Okrent scrive: "Nel corso della mia ricerca, i rappresentanti di If
Americans Knew ["Se gli americani sapessero", un'organizzazione che contesta la
parzialità dei mezzi d'informazione nei confronti di Israele, NdT] manifestarono
la propria convinzione che, a meno che il giornale non destinasse alla copertura
informativa del conflitto un uguale numero di reporter musulmani ed ebrei, i
giornalisti ebrei non dovessero occuparsi della cosa. Io trovo tutto questo
profondamente offensivo, ma non tanto ripugnante quanto una calunnia che è
comparsa nella mia casella di posta elettronica con deplorevole frequenza, e
cioè l'accusa che il Times sia antisemita. Anche se si stabilisse che i
giornalisti e i direttori del Times favoriscono la causa palestinese (qualcosa
che io non sono neppure lontanamente preparato a fare), questa è una
falsificazione sconvolgente. Se fare una cronaca che è favorevole nei confronti
dei palestinesi, o non favorevole verso gli israeliani, significa antisemitismo,
che cos'è il vero antisemitismo? Che parola si deve riservare alla
discriminazione cosciente, o all'odio palese, o agli atti di deliberata violenza
scatenata da motivazioni etniche?".11
Alison Weir e i ricercatori di If Americans Knew hanno condotto
uno studio sulla copertura informativa delle morti di palestinesi e israeliani
da parte dell'Associated Press. La ricerca, condotta per tutto l'anno 2004, ha
rilevato che l'AP ha riportato il 131% dei casi di morte violenta in cui erano
coinvolti cittadini israeliani, mentre ha dato notizia solo del 66% degli
episodi riguardanti i palestinesi.
Osservando in particolare i casi in cui le vittime erano
bambini, i ricercatori hanno scoperto che la percentuale era del 113% per le
notizie relative a bambini israeliani e di un misero 15% per i piccoli
palestinesi.12
Il settimanale indipendente ebraico Jewish Press, edito negli
Usa, pubblicò un articolo in seguito a una conferenza tenuta da Alison Weir alla
Sonoma State University, patrocinata da Project Censored. Nell'articolo si
sosteneva che la Weir plaudesse a un massacro di ebrei in fila fuori da un
locale notturno, e che Project Censored stesse spingendo i suoi lettori a
sostenere l'International Solidarity Movement, "un'organizzazione tristemente
nota per il suo appoggio dato ai gruppi terroristici palestinesi". La ricerca di
Alison non venne neppure menzionata, mentre lei e Project venivano liquidati
come nemici degli ebrei.13
Noam Chomsky è stato uno dei principali critici del lavoro di
Mearsheimer e Walt "La Lobby di Israele". Esita nell'attribuire a una qualsiasi
lobby una tale onnipotenza e, così facendo, finisce per sottovalutare le spinte
imperialistiche che provengono da Washington. Non incolpa Israele di condotta
deplorevole verso i palestinesi, ma mette sotto esame gli Usa per aver in primo
luogo finanziato e sostenuto tale maltrattamento.
"A mio parere, la lobby israeliana ottiene i suoi input
soprattutto perché si dà il caso che sia schierata con potenti settori del
potere interno statunitense", sostiene Chomsky.14
In realtà, gli Usa e molti stati arabi si servono di Israele
come elemento di disputa nella questione dei rapporti tra paesi arabi e tra
Stati Uniti e Medio Oriente in generale. Non c'è dubbio che l'Amministrazione
attuale e quelle precedenti abbiano usato Israele per perpetuare il programma di
dominio globale e definire uno scenario che vede "noi contro loro". In un
discorso tenuto all'AIPAC, Cheney ha illustrato la lotta globale tra "bene e
male", che  richiamava alla mente la retorica della guerra fredda e
affermava chiaramente l'importanza della relazione Usa-Israele: "La libertà e la
sicurezza di Israele sono di vitale interesse per gli Stati Uniti d'America. [.]
Non c''è alcun dubbio sul fatto che l'impegno dell'America nei confronti di
Israele sia solido, durevole e incrollabile. [.] Israele, gli Stati Uniti e
tutte le nazioni civilizzate vinceranno la guerra al terrore. [.] I terroristi
vogliono porre fine a ogni influenza americana e occidentale in Medio Oriente
[.] per istituire in definitiva un impero totalitario comprendente una vasta
area dalla Spagna oltre il Nord Africa, attraverso il Medio Oriente e l'Asia
meridionale, fino ad arrivare all'Indonesia".15
È importante dare spazio a entrambi i lati della medaglia. Nel
governo degli Stati Uniti esiste già un programma di dominio globale, che è
allineato al programma espansionistico dello stato di Israele. Sorge quindi la
domanda: perché deve esistere una lobby quando c'è già una relazione così forte?
Israele è una risorsa geopolitica per gli Usa, sia per via della guerra al
terrore, che per la sua ubicazione in una regione ricca di petrolio. Dal momento
che Israele deve fronteggiare l'aperta ostilità dei suoi vicini, gli interessi
di politica estera dei due paesi risultano allineati. Ma questo non significa
che tutti gli interessi esteri si allineino, ed ecco perché l'influenza della
Lobby favorisce Israele eliminando le contraddizioni statunitensi. La Lobby ha
efficacemente soffocato il dibattito e ha permesso a una potente minoranza di
mettere in atto brutali scelte politiche che non vengono assolutamente
contestate. A questo punto della nostra storia geopolitica, i mezzi di
comunicazione statunitensi devono fornire una copertura accurata, giusta ed
equilibrata dei rapporti che intercorrono tra Israele, Palestina e Stati
Uniti.
Note
1. Noam Chomsky, "The Israel Lobby?", Z Magazine, 28 marzo
2006.2. John Mearsheimer e Stephen Walt, "The Israel
Lobby", London Review of Books, 23 marzo 2006.3. Jeffrey
H. Birnbaum, "Pro-Israel Lobbying Group Holds Meeting Amid Worries", Washington
Post, 19 maggio 2005.4. "Republicans
Launch National Convention in New York City", "Lou Dobbs Tonight" su CNN, 31
agosto 2004.5. Project for the New American Century,
lettera al Presidente George W. Bush, 3 aprile 2002, http://www.newamericancentury.org/Bushletter-040302.htm.6. Andrew Ross Sorkin, "Schlepping to
Moguldomo", New York Times, 5 settembre 2004.7. John
Mearsheimer e Stephen Walt, op. cit.8. James Risen e
David Johnston, "Spy Case Renews Debate Over Pro-Israel Lobby's Ties to
Conservatives at Pentagon", New York Times, 6 settembre 2004.9. Jerry Seper, "Dismiss AIPAC charges, duo asks; Case is called
unprecedented", Washington Times, 16 febbraio 2006.10.
Edward Herman, "The pro-Israel lobby", Z Magazine, luglio 1994.11. Daniel Okrent, "The Hottest Button: How The Times Covers Israel and
Palestine", New York Times, 24 aprile 2005.12. Alison
Weir, "Deadly Distortion", http://www.ifamericansknew.org/media/ap-report.html.13. Edward Olshaker, "Hate Uncensored", Jewish
Press, 15 febbraio 2006, http://www.jewishpress.com/page.do/18254/Hate_Uncensored.html.14. Discorso di Chomsky presso la University of
California , "The New World Order", 16 marzo 1991.15.
Trascrizione del discorso del vicepresidente Richard Cheney alla Conferenza
Politica 2006 dell'American Israel Public Affairs Committee. Washington D.C.
Convention Center, Washington© 2007 Nuovi Mondi
Media





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