[RSF] #10 - "The dark side of Google" aka "Luci e ombre di G…

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Autore: Information Guerrilla Newsletter
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Oggetto: [RSF] #10 - "The dark side of Google" aka "Luci e ombre di Google" di Ippolita (copyleft / Feltrinelli)






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Guerrilla anteprime ed estratti dalle migliori novità della
saggistica#10 | 14 marzo 2007 | 7751
iscritti | www.informationguerrilla.org




THE DARK SIDE OF GOOGLE aka LUCI E OMBRE DI
GOOGLE
di IppolitaCopyleft 2007,
Creative Commons 2.0 by-nc-sa. Dal 20 aprile anche in libreria edito
da Feltrinelli
 
Download opera completa: Formato PDF
(645Kb)
Introduzione
Google è il motore di ricerca più noto e utilizzato dell'intera Internet,
tanto da essersi affermato negli ultimi anni come il principale punto di accesso
alla Rete. I navigatori si sono adattati progressivamente alla sua interfaccia
sobria e rassicurante, alle inserzioni pubblicitarie defilate e onnipresenti;
hanno adottato i suoi comodi servizi e l'abitudine al suo utilizzo si è
trasformata in comportamento: "Se non lo sai, chiedilo a Google". Si ricorre a
Google anche quando si potrebbe ricordare il post-it appiccicato al frigorifero,
consultare l'agenda, guardare le Pagine Gialle, o sfogliare la collezione di
Garzantine che s'impolvera sugli scaffali, insieme alle altre pesanti
enciclopedie cartacee, troppo faticose e difficili da consultare.Google ha
saputo sfruttare magistralmente il nostro bisogno di semplicità. Google aspira
ad essere il motore di ricerca perfetto, in grado di capire esattamente le
richieste degli utenti e restituire, in un batter d'occhio, proprio ciò che
desiderano. Le candide interfacce, ormai altamente personalizzabili direttamente
sul Web e tuttavia implacabilmente riconoscibili per il loro stile minimale,
sono la via di fuga quotidiana dalla claustrofobia delle scrivanie digitali di
un numero impressionante di utenti, in costante aumento. Sono una boccata
d'aria, sono finestre privilegiate spalancate sull'affascinante mondo della
Rete. Quante persone usano Google come pagina iniziale del proprio browser?
Eppure dietro una tale semplicità e facilità d'uso si cela un colosso, un
sistema incredibilmente complesso e pervasivo per la gestione delle conoscenze
del mare magnum della Rete. Google offre decine di servizi gratuiti, per
soddisfare ogni desiderio di ricerca e comunicazione: e-mail, chat, newsgroup,
sistemi di indicizzazione dei file sul proprio computer, archivi di immagini,
video, libri e molto altro ancora. Perché? Cosa ci guadagna? Criticare Google
attraverso una disamina della sua storia e la decostruzione degli oggetti
matematici che lo compongono è un'occasione per disvelare una precisa strategia
di dominio culturale. Questa indagine offre l'opportunità di fornire un metodo
di studio più generale utile alla scoperta dei retroscena di molti fra gli
applicativi che ci siamo abituati ad utilizzare.Il volume si apre con una
breve panoramica sulla storia dei motori di ricerca, passando quindi in rassegna
i momenti più significativi dell'ascesa di Google. Sopravvissuto senza danni
allo scoppio della bolla della new economy, Google ha intrecciato solidi
rapporti con diverse multinazionali dell'Information Techonology. La continua
espansione delle sue attività in ogni settore delle comunicazioni digitali sta
diffondendo uno stile inconfondibile e modellando un intero universo culturale,
quello del Web."Don't be evil" (non essere cattivo) è il motto di Sergey
Brin e Larry Page, i due fondatori di Google. Gli ex-studenti di Stanford,
grazie ad un'oculata gestione della propria immagine, hanno creato un "Gigante
Buono", impaziente di archiviare le nostre "intenzioni di ricerca" nei suoi
sterminati database. L'alter-ego digitale di milioni di utenti sembra essere in
buone mani, affidato al datacenter principale di Mountain View, California, noto
come Googleplex. Qui, come negli altri centri di archiviazione dati di Google -
che stanno spuntando come funghi in tutto il mondo - si mettono a punto vere e
proprie armi per combattere la guerra per il controllo delle Reti. In primo
luogo, si diffonde la pratica del capitalismo morbido dell'abbondanza: si tratta
di una strategia di controllo biopolitico in senso stretto, che propina ambienti
di lavoro confortevoli, pacche sulle spalle e gratificazioni ai dipendenti. I
lavoratori, soddisfatti e lusingati, sono contenti di farsi sfruttare e
diventano i maggiori sostenitori dell'azienda, fieri di propagandare un'immagine
vincente e "buona". Gli obiettivi e i metodi di Google sono buoni per tutti;
infatti, la filosofia aziendale, basata sull'eccellenza di stampo accademico,
l'impegno per l'innovazione e la ricerca, si trova esposta in dieci rapide
verità sul sito stesso del motore di ricerca. Questi dieci comandamenti
costituiscono una sorta di buona novella dell'era informatica, il
Google-pensiero, propagato con l'aiuto di veri e propri "evangelizzatori"
(evangelist), ovvero personalità di spicco del mondo informatico. Ultima arma,
ma non meno importante, è la cooptazione delle metodologie di sviluppo
cooperativo tipiche dell'Open Source e l'uso di software liberi, non protetti da
copyright o brevetti, come base per i propri prodotti. In questo modo Google
abbatte i costi per l'implementazione dei propri servizi, si assicura l'appoggio
di tecnici, smanettoni e hacker di tutti i tipi e si spaccia per il sostenitore
della causa della libera circolazione dei saperi, poiché l'uso del motore di
ricerca sembra offrire l'accesso gratuito alla Rete nel modo migliore.Ma il
sogno di Brin e Page di "Google contenitore di tutta Internet", coltivato fin
dai tempi dell'università, è solo un'idea demagogica, utile ad affermare un
culto quasi positivistico dell'oggettività scientifica: nel caos della Rete solo
una tecnica superiore può farsi garante della trasparenza dei processi, della
correttezza delle risposte, addirittura della democrazia.Infatti Google
dichiara di essere uno strumento "democratico", basato sul presunto carattere
"democratico" del Web. Il suo algoritmo di indicizzazione della Rete,
PageRank(TM), si occupa di copiare i dati digitali nei datacenter, sfruttando i
collegamenti associati a ogni singola pagina per determinarne il valore. In
pratica, Google interpreta un collegamento dalla pagina A alla pagina B come un
voto espresso dalla prima in merito alla seconda. Ma non si limita a calcolare
il numero di voti, o collegamenti, assegnati a una pagina. Google esamina la
pagina che ha assegnato il voto: i voti espressi da pagine "importanti" hanno
più rilevanza e quindi contribuiscono a rendere "di maggiore valore" anche le
pagine collegate. Il PageRank assegna ai siti Web importanti e di alta qualità
un voto più elevato, utilizzando filtri e criteri non pubblici, di cui Google
tiene conto ogni volta che esegue una ricerca. La "democrazia" di Google ordina
perciò la Rete in base al numero di voti ricevuti da ogni pagina, e
dell'importanza di questi voti: una democrazia filtrata dalla tecnologia.Vi
sono alcuni segreti attorno al colosso di Mountain View, molti dei quali, come
vedrete, sono segreti di Pulcinella. L'alone di leggenda che circonda la
tecnologia googoliana è dettato in gran parte dall'assenza di un'istruzione di
base, di rudimenti pratici per affrontare culturalmente l'onda lunga della
rivoluzione tecnologica. Per esempio, la straordinaria rapidità dei risultati di
ricerca è frutto di un'accurata selezione niente affatto trasparente. Infatti,
come potrebbero milioni di utenti fogliare contemporaneamente in ogni istante
l'intera base dati di Google se non ci fossero opportuni filtri per restringere
l'ambito della ricerca, ad esempio limitandolo ai dati nella loro lingua
d'origine? E se esistono filtri creati per garantire una migliore navigazione
linguistica, non è lecito supporre che ne esistano molti altri, studiati per
indirizzare anche le scelte dei navigatori? Il prodigio di Google è in realtà
una tecnologia opaca e secretata dal copyright e accordi di non divulgazione dei
suoi ritrovati. La ricerca non è trasparente né democratica come viene
spacciato: non potrebbe esserlo sia per motivi tecnici, sia per motivi
economici.Il campo bianco di Google in cui si inseriscono le parole chiave
per le ricerche è una porta stretta, un filtro niente affatto trasparente, che
controlla e indirizza l'accesso alle informazioni. In quanto mediatore
informazionale, un semplice motore di ricerca si fa strumento per la gestione
del sapere e si trova quindi in grado di esercitare un potere enorme, diventando
un'autorità assoluta in un mondo chiuso. Il modello culturale di Google è dunque
espressione diretta di un dominio tecnocratico.Con questo volume Ippolita
intende sottolineare il problema, o meglio l'urgenza sociale di 
alfabetizzazione e orientamento critico del grande pubblico attorno al tema
della gestione delle conoscenze (knowledges management). Internet offre agli
utenti straordinarie opportunità di auto-formazione, tanto da surclassare
persino la formazione universitaria, in particolare in ambiti come la
comunicazione e l'ingegneria informatica. Il movimento del Software Libero, come
Ippolita ha mostrato nei suoi precedenti lavori, è l'esempio più lampante della
necessità di autoformazione continua e della possibilità di autogestione degli
strumenti digitali.Ma esiste un rovescio di questa medaglia, doppiamente
negativo: da una parte, lo svilimento della formazione umanistica, che ha nella
Rete pochi e male organizzati ambiti di riferimento; dall'altra, il sostanziale
collasso cognitivo dell'utente medio. Disorientati dalla ridondanza dei dati
disponibili sulla Rete, ci si affida ai punti di riferimento di maggiore
visibilità -di cui Google è solo l'esempio più eclatante- senza domandarsi cosa
avvenga dietro le quinte; si inseriscono i propri dati con leggerezza,
conquistati dal mero utilizzo di servizi decisamente efficaci e, com'è ancora
uso in buona parte della Rete, assolutamente gratuiti.
Ippolita cerca di segnalare il vuoto, tutto italiano, nella divulgazione
scientifica dei fenomeni tecnologici da cui la società intera è investita. La
manualistica tecnica abbonda, la sociologia parla con disinvoltura di Società in
Rete, la politica si spinge sino ad immaginare una futuribile Open Society,
nella quale le Reti saranno il sostrato tecnologico della democrazia
globale.Ma quanti navigatori assidui sanno cosa sia un algoritmo? Ben pochi,
eppure moltissimi si affidano al responso di PageRank, un algoritmo appunto, che
ordina senza sosta i risultati delle loro interrogazioni e indirizza la loro
esperienza in Rete. Occorre il coraggio di riportare al centro la divulgazione
scientifica, senza chiudersi nella torre d'avorio del sapere accademico. Bisogna
parlare di macroeconomie senza essere economisti, di infomediazione senza essere
esperti di comunicazione, di autoformazione senza essere educatori, di
autogestione degli strumenti digitali senza essere politicanti. Bisogna
provocare dibattiti insistendo su concetti di base come "algoritmo", "dati
sensibili", "privacy", "verità scientifica", "reti di comunicazione", troppo
spesso discussi da Authority e Garanti che non possono garantire assolutamente
nulla.L'abitudine alla delega provoca un disinteresse generalizzato per i
grandi mutamenti in corso nel nostro mondo tecnologico, che avvengono in sordina
o coperti dal fumo mediatico, senza essere stati minimamente assimilati dal
grande pubblico.L'atteggiamento più comune oscilla fra l'incantata
meraviglia e la frustrazione nei confronti dei continui, incomprensibili
"miracoli della tecnologia"; si giunge spesso all'adorazione mistica, come se il
digitale ricoprisse il mondo di un'aura esoterica, penetrabile solo da pochi
iniziati, coniugata alla frustrazione per la propria incapacità di officiare
adeguatamente il culto del nuovo progresso.Il gruppo di ricerca Ippolita si
riunisce proprio attorno alla convinzione che attraverso lo scambio e il dialogo
tra competenze e linguaggi diversi si possa trasformare la cosiddetta
Rivoluzione Digitale in una materia utile per comprendere la contemporaneità, le
sue anomalie e probabilmente anche il tempo a venire. La ricerca scientifica, la
tradizione umanistica, le passioni politiche, il metodo femminista sono
altrettanti linguaggi da usare in questa esplorazione.L'attività di Ippolita
rivela che "mettere in comune" non basta, perché il livello di riflessione sulle
tecnologie è ancora limitato e la cassetta degli attrezzi degli utenti ancora
troppo rozza. È necessario assumere un'attitudine critica e curiosa, sviluppare
competenze a livello soprattutto individuale, capire in quali modi si può
interagire nei mondi digitali, mettere a punto strumenti adeguati ai propri
obiettivi. La sfida è quella di moltiplicare gli spazi e le occasioni di
autonomia senza cedere a facili entusiasmi, senza soccombere alla paranoia del
controllo. Just for fun. La pratica comunitaria non è una ricetta capace di
trasformare per incanto ogni novità tecnologica in un bene collettivo, non è
sufficiente a scongiurare il dominio tecnocratico in nome di una grande
democrazia elettronica. Si tratta di una visione fideistica del progresso,
dimentica del valore delle scelte individuali. La sinergia fra i soggetti sulle
reti, mondi vivi e in perenne mutazione, non è una banale somma delle parti in
gioco, richiede passione, fiducia, creatività e una continua rinegoziazione di
strumenti, metodi e obiettivi.Vincolare gli elementi più strettamente
tecnici alle loro ricadute sociali è sicuramente il primo e arduo passaggio da
compiere. Per questa ragione, il testo che avete tra le mani è integralmente
scaricabile sotto una licenza copyleft.http://ippolita.net/IndiceI. La storia di un successo /
Storie di motori· Motori e ricerche· La nascita di Google: in
principio fu il garage, anzi, l'università· Google.com: pubblicità diretta
all'interno delle pagine· Il self-service pubblicitario: sopravvivere alla
bolla della new-economy· Stile, morfologia e moltiplicazione dei
servizi· Google, il gigante buono, va in borsa· Google, Inc.: il
monopolio della ricercaII. BeGoogle· La fuga di cervelli
verso Google: la guerra per il controllo del web· Code lunghe nelle reti:
dentro l'economia della ricerca, Google vs. Microsoft· La guerra degli
standard· Arma1: Googleplex, il capitalismo morbido· Arma2: perfezionare
la strategia dell'accumulo· Arma3: L'immagine è tutto, ma un po' di
filosofia non guasta· Arma4: Google e l'Open SourceIII. Google
Open Source: teoria e pratiche· Open non è Free· Gli hackers di
Stanford· L'era dell'Open Source economy: concorrenza e bontà d'animo·
Sedurre gli hackers: autonomia, soldi facili, strumenti gratuiti· Ambienti
ibridi fra università e aziendaIV. Algoritmi che
passione!· Algoritmi e vita reale· La Strategia
dell'oggettività· Spider, basi di dati e ricerca· Dalla brand-identity
all'interfaccia partecipativa· PageRank, o l'autorità assoluta di un mondo
chiuso· PageRank, o la moneta della scienzaV. In aggiunta altre
maliziose funzionalità· I filtri sugli algoritmi: banche dati
preconfezionate e controllo degli utenti· I Cookie di Google, biscotti che
lasciano il segno· Onanismo tecnologico: crea, ricerca e consuma i tuoi
contenuti· Browser come ambiente di sviluppo· Privacy, paranoie e
poteriVI. Qualità quantità relazione· L'emergenza
dell'informazione· Quantità e qualità· Il mito della ricerca
istantanea· Dietro il velo del mito· Modelli di ricercaVII.
Tecnocrazia· Tecnocrazia: gli esperti della scienza· Miracoli della
tecnologia: dalle opinioni soggettive alla verità oggettiva· Pubblico e
privato· Vie di fuga: p2p, media indipendenti, crittografia, blog,
foafAPPENDICI:I. La fine del mondo in un biscottoII.
Interzone: influenze e domini nei mondi
digitaliLICENZA






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