-------- Messaggio Originale --------
Oggetto:     [glt NV] I: Afghanistan
Data:     Mon, 5 Mar 2007 23:15:43 +0100
Da:     Riccardo Troisi <riccardotroisi@???>
A:     <glt-nonviolenza@???>
*Da:* francesco.martone
“Catch 22”, “Comma 22”, si dice in slang statunitense per una situazione 
nella quale una via d’uscita è preclusa dall’altra. Così si trova ora il 
governo italiano di fronte al drammatico, ma certamente prevedibile, 
aggravarsi della situazione sul campo in Afghanistan. A nulla valgono le 
“veline” rassicuranti inviate dai TG o dai principali organi di stampa 
riguardo alla relativa tranquillità nella quale vivrebbe il contingente 
italiano ad Herat, lanciate dopo l’attentato di ieri l’altro, e dopo le 
rivelazioni relative ai dati in mano ai servizi segreti spagnoli. Che la 
situazione sia in progressivo deterioramento era da prevedere, visto che 
con Kandahar, Herat è considerata area di importanza strategica per il 
controllo della “Ring Road” che porta a Kabul, obiettivo chiave per la 
campagna di primavera dei Taliban. Anche la possibile decisione, 
anticipata oggi da El Pais, del Premier Spagnolo Zapatero di irrobustire 
il contingente spagnolo dopo l’attentato che è costato la vita ad una 
soldatessa spagnola, a bordo di un’autoambulanza parte di un convoglio 
ISAF italiano, dimostra che i timori sono tutt’altro che infondati, e 
che quei campanelli d’allarme dei servizi spagnoli non sono così 
facilmente accantonabili. Eppure più volte in Parlamento il governo è 
stato caldamente esortato a spiegare come stessero veramente le cose 
senza perdersi in parole di circostanza, a dire cosa stessero a fare 
reparti d’assalto in operazioni dal nome roboante quale “Wyconda 
Pincer”, o impegnate in altre missioni che poco hanno a che vedere con 
la ricostruzione o la pace. Con il passare del tempo risulta evidente 
che la strategia italiana di “tenersi fuori” dal conflitto, dalla guerra 
guerreggiata, resistendo giustamente agli appelli della NATO a spostarsi 
a Sud, dove infuria la battaglia, o a rivedere le regole d’ingaggio per 
unirsi alla controffensiva ISAF, alla lunga non reggerà. Se gli Italiani 
non vanno a sud saranno i Talebani ad andare a combattere dove sono gli 
Italiani. Fin qui nulla di così scandaloso. E’ la guerra, e chi sceglie 
di esserci ci sta fino in fondo. Il problema semmai è un altro, ovvero 
quello di assumersi la responsabilità politica di tenere dei soldati in 
uno scenario di guerra, pensando che ciò possa servire a costruire la 
pace. E’ qui il Catch22: se l’Italia si ritira unilateralmente perde 
voce in capitolo negli ambiti multilaterali competenti a ridiscutere la 
missione in Afghanistan (su questo va dato atto che il governo si sta 
attrezzando alla bisogna, avendo ottenuto per l’Italia l’incarico di 
relatore sulla missione UNAMA – quella civile, ed ISAF – quella NATO, al 
Consiglio di Sicurezza). Se però rimane in ISAF, i nostri soldati 
verranno visti come fiancheggiatori dell’opzione militare totale, quella 
che la NATO oggi ha deciso di giocare. Con ISAF sotto comando USA, con 
l’aumento dei danni “collaterali”; le morti di civili, i ritardi 
inaccettabili nella ricostruzione, anche i militari italiani, quelli con 
il “ramoscello d’ulivo nel mitragliatore”, saranno obiettivi di 
combattimento. Ed allora quale credibilità avrà lo sforzo lodevole da 
parte italiana di lavorare ad una soluzione diplomatica e politica del 
conflitto mentre i cannoni tuonano? E quanto si allontanerà 
ulteriormente l’ipotesi di una conferenza internazionale di pace, se le 
condizioni sul terreno vedranno un progressivo peggioramento? Da 
quest’impasse l’Italia può uscire solo lavorando speditamente per 
riconvertire la missione internazionale, riducendo all’osso il ruolo 
della NATO, chiedendo all’ONU di mettere insieme un contingente 
internazionale di polizia che possa garantire la sicurezza dei civili 
afgani, rilanciando gli impegni per la ricostruzione, e per un processo 
di verità e giustizia sulle violazioni dei diritti umani compiute prima 
e dopo la caduta del regime talebano. Se questo si vuol fare o si crede 
di dover fare, allora non si potrà farlo se non portando la 
contraddizione all’interno della NATO, dell’ONU e dell’Unione Europea. 
Tenendo a mente un ultimo dettaglio non di poco conto però: che nessuna 
grande strategia diplomatica di costruzione della pace per quanto da 
sostenere, ed auspicare, dovrà o potrà costare il prezzo di una sola 
vita umana persa per mantenere in piedi quella speranza.
*Il decreto missioni giunto in aula alla Camera*
ROMA - Interventi di sviluppo e cooperazione 'dal basso', tre conferenze 
internazionali, fondi per militari e forze di polizia: sono questi i 
principali contenuti del decreto legge che stanzia 1.040,550 milioni di 
euro (di cui 125, poco più del 10%, per interventi umanitari e di 
servizio alle comunità locali) per prorogare nel 2007 la partecipazione 
dell'Italia a missioni militari all'estero tra cui quelle in Afghanistan 
ed in Libano. Il testo, su cui oggi è iniziata nell'Aula della Camera la 
discussione generale, ha subito interventi decisivi durante l'esame in 
commissione: interventi che hanno di fatto recepito molte delle 
richieste avanzate dalla sinistra radicale per esaltare l'aspetto 
umanitario rispetto a quello tattico-militare delle missioni all'estero.
L'obiettivo della maggioranza è di 'blindare' al Senato il testo (scade 
ai primi di aprile) licenziato dalla Camera, chiudendo ogni trattativa a 
Montecitorio per scongiurare il rischio di una seconda lettura. Ecco le 
principali novità introdotte:
FONDI PER LA COOPERAZIONE: 40 milioni di euro all'Afghanistan (a fronte 
dei 310 milioni per spese militari), 5,5 per il Sudan e 30 per il Libano 
vengono stanziati per il miglioramento della condizioni di vita della 
popolazione di quei Paesi. Lo stanziamento per l'Afghanistan, 
inizialmente pari a quello del Libano, è stato aumentato di 10 milioni 
in commissione.
LA COOPERAZIONE 'DAL BASSO' E LE ONG: In commissione è stato previsto 
che la Farnesina possa affidare incarichi temporanei di consulenza o 
specifiche attività "anche ad enti ed organismi specializzati", e 
stipulare contratti con personale esterno alla pubblica amministrazione. 
Tali incarichi e contratti "sono affidati a enti o organismi e stipulati 
con persone aventi nazionalità dei Paesi in cui si svolgono gli 
interventi di cui al presente articolo, ovvero di nazionalità italiana o 
di altri Paesi a condizione che il ministero degli Esteri abbia escluso 
che localmente esistono le professionalità richieste.
LE CONFERENZE INTERNAZIONALI: Sono tre gli appuntamenti internazionali 
annunciati dal ministro degli Esteri Massimo D'Alema che sono finanziati 
dal decreto. Si tratta in particolare: della Conferenza internazionale 
di pace per l'Afghanistan (500mila euro), della Conferenza per le pari 
opportunità a difesa dei diritti umani delle donne e dei bambini dei 
Paesi dove sono dispiegati i nostri militari (50mila euro), e la 
conferenza sulla Giustizia in Afghanistan (127.800 euro).
IRAQ, MILITARI LASCIANO MA RESTA COOPERAZIONE: Anche se le truppe 
italiane sono state ritirate dall'Iraq, in quel Paese continua la nostra 
cooperazione. Il decreto stanzia 30 milioni di euro "per la prosecuzione 
della missione umanitari a di stabilizzazione e di ricostruzione 
dell'Iraq". La missione mira al sostegno dello sviluppo socio-sanitario 
in favore delle fasce più deboli della popolazione, della formazione nei 
settori della pubblica amministrazione, delle infrastrutture, della 
informatizzazione, della gestione dei servizi pubblici, al sostegno 
dello sviluppo socio-economico, dei mezzi di comunicazione e delle 
attività didattico-formative nel settore della pubblica istruzione. 
Anche in questo caso, andranno usate risorse umane e materiali locali. 
Su tutte queste attività, e questa è un'innovazione, il ministro degli 
Esteri riferisce ogni anno in commissione.
I MILITARI: Per i soldati schierati in Libano si stanziano 386,68 
milioni; 310,08 per l'Afghanistan; 143,85 per i Balcani, 30,56 milioni 
per la Bosnia; 8017 per Active Endeavour (contrasto al terrorismo); 1,49 
per gli osservatori internazionali a Hebron; 1,4 per l'assistenza alle 
frontiere al valico di Rafah; 656mila euro per il personale militare in 
Darfur; 411,8 alla missione di polizia dell'Ue in Congo; 217,5 alla 
missione peacekeeping dell'Onu a Cipro; 3 milioni di euro per 
l'assistenza alle forze armate albanesi. A tutto questo si sommano i 
fondi per gli appartenenti alle forze dell'ordine, per le quali, fra 
l'altro, ci sono 200mila euro per dei corsi di introduzione alla cultura 
e alla lingua araba.
I DIPLOMATICI: Alla Farnesina sono destinati 208mila euro per l'invio di 
personale non diplomatico all'ambasciata italiana a Baghdad, 200 mila 
euro (arrivando a 400mila) per le spese dell'Unità di crisi e 232mila 
euro per i funzionarti che partecipano alle missioni internazionali.