Autore: megu Data: To: Mailing list del Forum sociale di Genova Vecchi argomenti: [NuovoLab] dirittinrete.org updates Oggetto: [NuovoLab] Da Genova a Bologna,No CPT!
SABATO 3 MARZO "Manifestazione nazionale:"CHIUDERE I CPT! SE NON ORA QUANDO?"
PULLMAN DA GENOVA PARTENZA ORE 10
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C.S.O.A. ZAPATA
Associazione YA BASTA Genova
C.S.O.A. TERRA DI NESSUNO
Comunita' San Benedetto al porto
Abolire la Legge Bossi Fini cominciando dalla chiusura dei Centri di Permanenza
Temporanea
Le lotte contro i CPT sono state dal 1998 ad oggi al centro delle istanze dei
movimenti. Molti avevano sperato che già nei primi mesi del suo mandato il
nuovo Governo mostrasse una chiara inversione di tendenza sulle politiche
migratorie, ma purtroppo le anticipazioni ormai ufficiali sulle proposte di
riforma della legge Bossi Fini ribadiscono che i CPT non solo non verranno
aboliti, ma saranno confermati, ulteriormente finanziati e diversificati per
ogni tipologia di migrante, compresi i richiedenti asilo. Più volte esponenti
del Governo hanno ribadito che “i centri di permanenza temporanea per
migranti sono indispensabili”. Le recenti indicazioni di “svuotamento”
dei CPT contenute nel rapporto finale della Commissione De Mistura sono del
tutto inconsistenti e contraddittorie finché la detenzione amministrativa
resta una misura applicabile ad alcune categorie di migranti, come ad esempio
tutti coloro che poco gradiscono l’idea del rimpatrio volontario!
Non solo abbiamo davanti a noi un futuro in cui i CPT saranno mantenuti, estesi
e migliorati in Italia, ma dobbiamo anche considerare che prosegue a grandi
passi il processo della loro esternalizzazione verso i Paesi di transito dei
migranti dal momento che nel nord Africa e nell’Europa dell’Est costano
ancora meno ed è ancora più difficile sapere cosa succede al loro interno.
Questa è la ragione per cui il Governo attuale non ha messo in discussione gli
accordi firmati da Berlusconi con la Libia o la cooperazione per la quale
l’Italia partecipa con Spagna, Senegal e Malta alla sorveglianza militare
delle coste dell’Africa occidentale e settentrionale nel progetto Frontex e
nel progetto Giasone.
Dalla loro istituzione ad oggi la funzione dei CPT si è gradualmente
trasformata, passando da luogo di espulsione a strumento di gestione della
migrazione; sono quindi perfettamente interni ai processi di accumulazione e,
al contrario di quello che alcune forze politiche governative pensano,
funzionano talmente bene da divenire paradigmatici per lo sfruttamento del
lavoro migrante. La riforma Ferrero-Amato a cui sta lavorando il Governo non
intende sciogliere quel rapporto schiavistico che connette obbligo al lavoro e
diritto al soggiorno e che è la leva sulla quale si regge il processo di
sfruttamento, ma al contrario lo rafforza con nuovi meccanismi, garantendo
così una continuità assoluta con il quadro stabilito dalla Bossi Fini.
In questo contesto ritornano quanto mai attuali le istanze dei movimenti contro
la precarietà e per la libertà di circolazione: di fronte alle proposte di
potenziare i sistemi di controllo e di sottomissione della forza lavoro
migrante da parte del mercato economico attraverso le quote flussi triennali,
lo sponsor o le liste di collocamento presso le ambasciate italiane, resta
imprescindibile ribadire il diritto al soggiorno per tutti i migranti slegato
dal rapporto di lavoro, che si dovrebbe tradurre in un sistema di
regolarizzazione permanente di tutti i migranti presenti sul territorio,
nell’accesso libero al mercato del lavoro da parte dei migranti in modo che
questi siano a tutti gli effetti equiparati ai lavoratori nativi e
nell’apertura delle frontiere, in primis di quelle europee.
Dalla mobilitazione contro il CPT di Trieste nel 1998, che ha reso possibile la
chiusura di quel primo CPT italiano, i cicli di resistenza contro le frontiere
continuano anche ora, tanto nei nostri territori, quanto ovunque nel mondo. Da
anni la battaglia per la chiusura di tutti i centri di internamento per
migranti si colloca sempre più in uno scenario europeo, articolandosi tra
mobilitazioni ed iniziative - sempre più spesso coordinate tra loro - che in
ogni paese dell’Unione Europea continuano a porre l’urgenza della fine
delle politiche di detenzione e di deportazione dei migranti.
Nei periodi più recenti, infatti, molti dei dispositivi emblematici
dell’asservimento della forza lavoro migrante al capitale sono stati target
di vere e proprie campagne europee, ricordiamo tra le tante la campagna
Deportation Class contro il business di decine e decine di compagnie di volo
che garantiscono i viaggi dell’umiliazione con cui i migranti senza permesso
di soggiorno vengono espulsi dall’Europa, così come le ripetute iniziative
di sabotaggio di centri di detenzione, ad esempio l’assalto al CPT di Bari
Palese che ha agito il diritto di fuga per una quindicina di migranti nel
luglio 2004 in Puglia, o l’invasione e lo smontaggio del costruendo CPT di
Barcellona lo scorso giugno o ancora l’assedio al CPT sloveno di Postumia
(Postojna) lo scorso luglio, momenti che hanno visto la partecipazione di
attivisti provenienti da diversi paesi europei nonché una reazione fortemente
repressiva, sia in termini militari che giudiziari.
A partire dalla lotta per la chiusura dei CPT, le reti di movimento europee
hanno inoltre sviluppato una critica condivisa alla crescente precarietà nel
lavoro, individuando un terreno comune per le battaglie dei lavoratori nativi e
dei lavoratori migranti, nelle quali le richieste di una regolarizzazione
permanente per ogni migrante senza permesso di soggiorno e quella di una
cittadinanza europea di residenza sono rivendicate insieme al diritto al
reddito e ad un salario universale di cittadinanza.
Oggi queste lotte si sono estese, basta osservare quanto siamo stati capaci di
fare nel corso della Terza giornata di lotta globale del 7 ottobre scorso che
ha raccordato decine di realtà europee - dall’Italia alla Russia, dalla
Polonia alla Spagna - e, per la prima volta, di diversi paesi dell’Africa,
che in queste settimane stanno continuando le mobilitazioni contro i centri di
detenzione e le deportazioni verso i deserti finanziate dall’Unione Europea.
Negli USA lo straordinario movimento dei lavoratori e delle lavoratrici latinos
sta scuotendo il paese ventre della guerra globale con le richieste di una
cittadinanza non vincolata allo sfruttamento. Il Subcomandante Marcos, dal muro
di confine di Tijuana, ha messo le lotte dei migranti all’ordine del giorno
dell’Altra Campagna zapatista. In Italia, infine, non si fermano le decine di
iniziative pubbliche di resistenza della Bossi – Fini e di denuncia del
legame
perverso e strettissimo tra quadro normativo, CPT e sfruttamento feudale del
lavoro migrante.
A Bologna il taglio dei budget per le politiche sociali deciso dalla Giunta
Cofferati ha determinato la messa in esercizio di una campagna di deportazione
degli immigrati irregolari.
Via il problema, via il costo del problema.
Contestualmente, il CPT di via Mattei è diventata un’utile leva per il
controllo del lavoro migrante e per l’abbassamento salariale. Il migrante
clandestino è esterno alla contrattazione collettiva ed è oggetto della
precarietà più feroce. A Bologna, non solo nei campi di pomodoro di Foggia,
è normale per un migrante non essere pagato dietro il ricatto della
deportazione in via Mattei. C’è un’oggettiva sinergia tra sfruttamento del
lavoro e gestione del CPT: le retate di Polizia e Carabinieri sono tra loro
orchestrate e pianificate affinché mensilmente specifiche parti della
composizione del lavoro ne siano oggetto.
Anche a Bologna i movimenti combattono il carcere etnico di via Mattei dal
1998: lo hanno invaso, denunciato, letteralmente smontato, hanno sostenuto ed
appoggiato le tante fughe di migranti, hanno attaccato la catena logistica
della deportazione sabotandone il business, invadendo l’aeroporto,
sanzionando le aziende che ne gestiscono l’esercizio ed il catering,
invadendo il Tribunale dei Giudici di Pace che convalidano il trattenimento in
queste carceri etniche.
A tutti coloro che non hanno smesso di lottare e resistere alla vergogna
rappresentata da queste carceri etniche vogliamo proporre di costruire insieme
una grande manifestazione nazionale a Bologna il 3 marzo contro lo sfruttamento
della precarietà migrante, per un’Europa diversa, sociale e solidale, nella
quale ogni donna o uomo abbia diritto ad esistere con dignità
indipendentemente dal Paese di origine.
Una giornata che imponga all’agenda del Governo la chiusura immediata di
queste carceri, lager della nostra epoca.