[NuovoLab] 250° ora in silenzio per la pace

Delete this message

Reply to this message
Autor: norma
Data:  
Para: forumgenova, aderentiretecontrog8
Assunto: [NuovoLab] 250° ora in silenzio per la pace
Rete controg8
per la globalizzazione dei diritti

Mercoledì 28 febbraio dalle 18 alle 19 sui gradini del palazzo ducale di Genova, un'ora in silenzio per la pace.

Incollo di seguito il comunicato che verrà distribuito.

CECILIA STRADA: AFGHANISTAN, UN PAESE DISTRUTTO
[Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo il seguente articolo del 21
febbraio 2007.
Cecilia Strada, figlia di Gino Strada, impegnata in Emergency, e'
giornalista e documentarista]

La guerra
Nel 2006 il conflitto in Afghanistan ha ucciso piu' di seimila persone.
Dall'inizio del 2007, invece, si sono gia' contati piu' di 500 morti.
Considerando che nei mesi invernali le attivita' militari sono ridotte a
causa della neve che blocca gran parte del paese, e che nei primi due mesi
del 2006 si erano contate poco piu' di 200 vittime, quest'anno sembra
annunciarsi particolarmente sanguinoso. Negli ultimi mesi l'epicentro della
guerra e' a sud, in particolare nelle province di Kandahar e Uruzgan, e in
quella di Helmand, dove i talebani hanno conquistato due distretti in
quindici giorni. Ma il conflitto e' ormai esteso anche alle province
orientali, a ridosso del confine pachistano, e si sta allargando a ovest,
nella zona sotto il comando militare italiano. Continuano gli attentati
suicidi contro le truppe della coalizione, che coinvolgono anche la
popolazione civile, e i talebani hanno annunciato di essere pronti a
sferrare l'offensiva di primavera con almeno diecimila combattenti.
Continuano anche i bombardamenti dell'aviazione Nato nel sud. Ogni raid
aereo provoca decine di morti: tutti talebani, secondo il comando della
Nato, quasi sempre civili secondo gli abitanti delle zone colpite. I civili
muoiono anche colpiti dalle pallottole delle truppe straniere e
dell'esercito afgano, che aprono il fuoco contro chiunque si avvicini troppo
ai loro convogli. A ogni episodio, le scuse ufficiali della Nato non bastano
a placare la rabbia della popolazione, sempre piu' insofferente rispetto
alla presenza straniera.
*
Democrazia e governo centrale
L'Afghanistan sulla carta e' una democrazia parlamentare, ma di fatto
continua ad essere amministrato a livello locale da forme di governo
tribali. Fuori dalla capitale il potere del governo centrale cede il passo a
quello dei leader religiosi (mullah e maulawi) e alle assemblee degli
anziani (shura) che nei singoli villaggi dirimono controversie, amministrano
la giustizia, gestiscono le risorse. Il presidente Hamid Karzai,
ironicamente ribattezzato dagli afgani "il sindaco di Kabul", e' considerato
dalla maggior parte della popolazione una marionetta nelle mani delle
potenze straniere. Nel parlamento afgano siedono perlopiu' signori della
guerra, che grazie alle elezioni del 2005 hanno potuto confermare a livello
istituzionale il potere che gia' detenevano grazie al loro peso militare. I
pochi deputati non compromessi si lamentano di avere le mani legate dalla
maggioranza, che impedisce vere riforme in senso democratico per mantenere
intatto il proprio potere. Il 20 febbraio 2007, tra le proteste di questa
minoranza, la camera alta del Parlamento ha approvato una legge, gia'
passata alla camera bassa, che "in nome della riconciliazione nazionale"
garantisce l'amnistia a tutti coloro che hanno preso parte al conflitto che
ha insanguinato il paese negli ultimi 25 anni: i criminali di guerra possono
tirare un sospiro di sollievo, certi che non potranno piu' essere
perseguiti.
*
Economia
Con un Pil procapite di 800 dollari (poco piu' di 600 euro) l'anno,
l'Afghanistan continua a essere uno dei paesi piu' poveri al mondo. L'80%
degli afgani e' occupato nell'agricoltura, di questi il 12% ha come unica
fonte di sussistenza la coltivazione di papavero da oppio. La meta' della
popolazione vive sotto la soglia di poverta'. La precaria situazione
economica e' uno dei fattori decisivi nel reclutamento di combattenti da
parte della guerriglia contro le truppe straniere: una recente ricerca nelle
province meridionali di Helmand e Kandahar ha rivelato che, mentre lo
stipendio di un afgano impiegato nell'esercito o nella polizia arriva a
circa 30 euro al mese, chi combatte per i talebani viene pagato con somme
che vanno dai 150 ai 450 euro al mese.
*
I diritti umani
Per la maggior parte degli afgani, i diritti umani esistono solo sulla
carta. La condizione delle donne non ha subito quei drastici miglioramenti
che la comunita' internazionale si aspettava, e nella gran parte del paese
la situazione e' cambiata ben poco rispetto all'epoca talebana. Fawzia
Koofi, vicepresidente della camera bassa del parlamento afgano, ha
recentemente sottolineato che "secondo i dati Unifem, il 65% delle
cinquantamila vedove di Kabul pensa al suicidio come unica via di uscita. La
maggioranza delle donne afgane e' vittima di violenza e vive in media circa
vent'anni in meno rispetto alle donne negli altri paesi del mondo". I
matrimoni forzati sono all'ordine del giorno, cosi' come la violenza
domestica. Al di fuori delle grandi citta', alle donne e' raramente concesso
lavorare fuori casa. Il diritto all'istruzione continua ad essere ampiamente
negato alle bambine, specialmente nel sud del paese. Il diritto alla salute
soffre della mancanza di infrastrutture sanitarie qualificate nella maggior
parte del paese e, ad eccezione di qualche ospedale gestito dalle
organizzazioni non governative, le strutture sanitarie esistenti sono a
pagamento.
*
La lotta alla droga
Il programma anti-narcotraffico si e' finora dimostrato un fallimento,
costato diverse decine di milioni di dollari. Nel 2006, secondo un rapporto
delle Nazioni Unite, la produzione di oppio e' aumentata del 59% rispetto
all'anno precedente, e l'Afghanistan ormai detiene il monopolio pressoche'
totale della produzione di eroina nel mondo. Le campagne di eradicazione
delle colture, intraprese del governo afgano nelle province meridionali,
stanno scatenando gli scontri fra l'esercito afgano e i contadini che
cercano di difendere i loro campi.