[Incontrotempo] Liberazione di spazi pubblici_costruzione di…

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Autor: biondino
Data:  
A: incontrotempo
Assumpte: [Incontrotempo] Liberazione di spazi pubblici_costruzione di percorsi conflittuali

postiamo questo contributo che vuole essere uno dei tanti (ci
auguriamo!) che tiene aperto un dibattito che da tempo anima i nostri
spazi, fisici e non solo, e le nostre tensioni politiche e
progettuali, affinche' vi sia in questa citta' un confronto aperto e
trasparente.
un abbraccio a tutt* color* che si sono ripresi con "forza" e con
"gioia", uno spazio appena sgomberato... ;)
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Liberazione di spazi pubblici_costruzione di percorsi conflittuali
[Per la costruzione di un dibattito]

Roma è una metropoli che come tale riproduce ed amplifica i sistemi
produttivi, di controllo e di sfruttamento.
Siamo consapevoli che nella metropoli Roma i territori, non solo
fisici, si intrecciano e si inseguono ponendoci quotidianamente, di
fronte a scelte, e spesso, diversità e contraddizioni molto profonde.
E' in questo ambito metropolitano che viviamo, luogo della
contraddizione e del conflitto.
Siamo profondamente consapevoli delle difficoltà che incontriamo nella
generalizzazione dei conflitti, a partire proprio da questa capacità
che ha la metropoli di renderci partecipi alla produzione di ricchezza e
contemporaneamente esclusi sul piano dei bisogni. Oggi più che mai
Roma, a partire dalla sua governance manageriale che somiglia sempre
più alla gestione di una impresa immateriale, è capace di sussumere e
rendere compatibile anche le forme più radicali, almeno sul piano
culturale, nella complessità produttiva. Roma, ricca di eventi,
candidata ad essere città dei creativi, si regge in verità su migliaia
di precari, tenuti
costantemente in tensione e quindi costantemente attenti ad innovare,
a proporsi, a scontrarsi tra loro, per poter emergere e conquistare
qualche spicciolo di reddito. Roma che diventa modello di governo, di
concertazione, di compatibilità e che riesce, o meglio
vorrebbe, utilizzare anche le crisi sociali come momento produttivo,
quando sull'immagine o quando come forma di campanello di allarme
sociale su cui costruire eventualmente operazioni facciata.
E per questo sappiamo che è necessario utilizzare diversi strumenti e
pratiche, cangianti e mutevoli, senza nessuna particolare
cristallizzazione ideologica. L'obiettivo dichiarato però non può che
essere quello di costruire, dentro le contraddizioni sociali e non
fuori, un nuovo rapporto di forza, nuove soggettività in grado di
esprimere un piano dell'autonomia forte nei percorsi e una massa
critica attiva ed "irregolare" in
grado di moltiplicare i percorsi di rottura, per rendere ingovernabile
e incompatibile la produzione di senso del conflitto. Sovvertire
questo presente carico di contraddizioni oggettive, dove la
frammentazione sociale e la solitudine, anche politica, sono
conseguenze dirette della precarizzazione soggettiva come sistema di
dominio, che ha spezzato quelle forme di lotta mutuali, solidali,
cospirative e sovversive che in questa
città, a partire dalle esperienze metropolitane, dei quartieri
popolari e periferici, hanno conosciuto. In questa città c'è bisogno
di nuove stagioni, di rotture forti ed esperienze costituenti, c'è
bisogno di sottrarsi dalle grinfie della compatibilità e della
pacificazione e di rilanciare percorsi possibili di lotta sui cui
investire anche per la
crescita di soggettività politica e di protagonismo sociale. Se i
punti di forza che hanno permesso ad un pezzo di città di riprendersi
uno spazio sociale, sono interni alla sedimentazione e ad una
aggregazione sociale di riferimento, altrettanto è vero che non
possiamo arrischiarci in trasposizioni unilaterali di tale dispositivo
nel "politico della governance", determinando cosi
passaggi confusi, sotto il profilo dell'autonomia dei movimenti e
ancor di più per l'automomia dei soggetti sociali, cosi come alcuni
percorsi di incursione nelle istituzioni testimoniano.
Esperienze che oltre ad aver portato consenso e voti alla governance
veltroniana, rischiano di appiattare il piano politico e sociale di un
movimento molto più ricco, dentro un quadro di compatibilità e di
appiattimento dell'attuale modello bipolare. Se il piano di
riferimento è la costruzione di un rapporto di forza a noi favorevole,
è necessario, cosi come fatto con la riappropriazione dovuta di uno
spazio appena sgomberato, riappropriarci della capacità di intervento
in grado di non produrre solo alcune incursioni nel sociale, ma di
costruire strumenti costituenti di autorganizzazione
senza la paura di sentirci riflesso di un passato che forse conosciamo
anche poco.
Se è vero che ricominciare non vuol dire tornare indietro, noi
vorremmo ricominicare su questo: su un idea di movimento autonomo in
grado, anche nelle differenze, di sentirsi luogo comune, che possa
rideterminare un "noi" non solo nelle occasioni speciali o di
emergenza, ma dentro un fare comune, anche diverso, ma che abbia la
stessa tensione. Il modello veltroniano non è avulso dai modelli con
cui si governano le
metropoli, spazio urbano e immateriale della produzione e spazio del
conflitto: la nostra fabbrica diffusa. Proprio per questo inseriamo lo
sgomebro ad esc, non come una svista dell'amministrazione o come
semplice conflitto interno ai poteri forti della città. Lo inseriamo
dentro un quadro più complessivo, lo colleghiamo alle telecamere che
si stanno impiantando in lungo e in largo in questa città, alle
politiche abitative (latitanti) e agli sgomebri che ci siamo dovuti
difendere in questi anni (20) di centrosinistra delle case che
occupiamo, delle politiche sul lavoro e
del modello di organizzazione del lavoro in una metropoli che vive, anzi si
arricchisce, grazie ai precari, a quell'operaio sociale continuamente
in produzione, lavoro o non lavoro.
Proprio su questo livello, che ci dice di una sussunzione permanente,
di una capacità di rendere produttivo anche il rifiuto, perché
elemento vivo nella metropoli, che riteniamo indispensabile la
costruzione di rapporti di forza in grado di sviluppare mutualità, in
grado di essere costituenti, in grado di determinare un piano di
autorganizzazione nuovo, nei rapporti sociali cosi come nella
produzione di alterità sociale e materiale. Non siamo compatibili,
siamo conflittuali, la nostra autonomia deve essere chiaro segno di
distanza, nel pensare, nel fare, nel costruire, nell'agire, nel
relazionarsi. In una società omologante, in grado di appiattire anche
il grado di distinzione come plusvalore e innovazione produttiva, è
necessario ricostruire un rapporto di forza autonomo, in grado di
rendere il senso del rifiuto un primo tratto distintivo di
riapprpriazione, perché la negazione torni ad essere momento di
proposizione.
Crediamo che molte sfaccettature che esprimiamo con le nostre diverse
esperienze di autogestione che negli ultimi due decenni sono maturate
in questa città, siano una ricchezza tutta da conservare e
preservare, anzi in molti casiriteniamo che queste vadano valorizzate
anche su un piano storico in grado di rimettere al centro alcuni nodi
che ritessano i fili non tanto della memoria ma dell'opportunità.
Non si tratta di fare la hit parade per il primato dell'autonomia e
neanche tracciare linee di demarcazione tra chi è dentro o chi è fuori
dalle "vere pratiche", poiché sarebbe nettamente scorretto e poco
rispettoso delle soggettività diverse, ancora meno questo và fatto in
questa fase, che indica a ragione, la crisi di rappresentanza
politica. Alla quale potremmo richiamarci connettendo le altre crisi:
di intervento sociale, di militanza, di idee.
Abbiamo scelto di occupare uno spazio ed autogestirlo e proviamo
quotidianamente a farlo divenire spazio di lotta e amplificatore di
battaglie, vittorie o sconfitte che siano.
Per questo vogliamo contribuire, anche se in forma parziale, al
dibattito lanciato. Scegliamo di partecipare perchè lo riteniamo
importante, serio e perchè al suo interno vorremmo trovare non: "le"
risposte ma "delle" indicazioni utili per rilanciare piani comuni. La
cosa che
più ci interessa è la costruzione di un movimento, cosi diverso al suo
interno, che esprima una ricchezza incalcolabile per il capitale, ma
fondamentale per la trasformazione dell'esistente. Quando pensiamo a
ciò, pensiamo che ognuno di noi possa parlare a nome di tutti.anche di
quelli che
non conosciamo, perché ci sentiamo corpo unico, soggetti protagonisti
della trasformazione. L'adesione a questo dibattito è quindi privo di
schematismi, perchè siamo convinti che è necessario avviare un lavoro
nuovo, un "work in progress" collettivo, che ricerchi le strade su
cui muovere i nostri passi. Siamo convinti che le vie da trovare,
necessarie, utilizzino una declinazione plurale, non chiudano le
possibilità di sperimentazione e non pongono assoluti. Ci auspichiamo
un metodo di discussione che rispetti questi presupposti in
modo che le "fughe" non diventino in avanti per alcuni per poi
scoprirsi decisamente indietro per tutti. I passi che percorreremo ci
porteranno a scegliere direzioni comuni o decisamente altro. Sarà
bello ed interessante vederlo, ma è sicuramente necessario farlo.

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