[Forumlucca] [Fwd: [decrescita] ROCADE]

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Autore: Elena Bertoli
Data:  
To: forumlucca
Oggetto: [Forumlucca] [Fwd: [decrescita] ROCADE]


-------- Messaggio Originale --------
Oggetto:     [decrescita] ROCADE
Data:     Wed, 31 Jan 2007 20:13:10 +0100
Da:     magius <gmagius@???>
A:     decrescita <decrescita@???>




Per chi non conoscesse ROCADE, la Rete per il Dopo-Sviluppo, citata da
"Jhonny" nel suo messaggio, questo è il loro manifesto tratto dal sito

www.apres-developpement.org

Manifesto per una Rete sul Dopo-Sviluppo

La corrente di pensiero che si riferisce al dopo-sviluppo ha
conservato fino ad oggi un carattere quasi confidenziale. Nel corso di
una storia gia' lunga ha prodotto, ciononostante, una letteratura non
disprezzabile che si trova rappresentata in numerosi campi di ricerca
e d'azione nel mondo 1.
Nata negli anni 60, il decennio dello sviluppo, da una riflessione
critica sui presupposti dell'economia e sui fallimenti politici dello
sviluppo, questa corrente riunisce ricercatori, attori sociali del
Nord come del Sud portatori di analisi e d'esperienze innovatrici sul
piano economico, sociale e culturale. Nel corso degli anni si sono
intrecciati dei legami spesso informali tra le differenti componenti,
esperienze e rif 2.
lessioni che si sono alimentate reciprocamente. La rete sul
post-sviluppo s'inscrive cosi' nel movimento INCA(D), International
Network for Cultural Alternatives (to Developpement), o RIAC(S), Rete
Internazionale per Alternative Culturali (allo Sviluppo) e si
riconosce pienamente nella dichiarazione del 4 maggio 1992 (vedere
annesso). Intende proseguire e ampliare cosi' il lavoro cominciato.
La rete mette al centro della sua analisi la messa in causa radicale
della nozione di sviluppo, che, a dispetto dell'evoluzioni formali
conosciute, resta il punto di rottura decisivo in seno al movimento di
critica del capitalismo e della globalizzazione. Da un lato ci sono
quelli che militano per un problematico "altro" sviluppo (o una non
meno problematica "altra" globalizzazione) ; Dall'altro lato quelli
che, come noi, vogliono uscire dallo sviluppo e dall'economismo. A
partire da questa critica, quest'ultima corrente procede ad una vera e
propria "decostruzione" del pensiero economico. Sono pertanto
rimettendo in causa le nozioni di crescita,3
poverta', bisogni, aiuti, ecc.
Le associazioni e le persone aderenti alla rete si riconoscono in
quest'impresa. Dopo il fallimento del socialismo reale ed il
vergognoso scivolamento della social-democrazia verso il
social-liberismo, noi pensiamo che analisi di questo tipo possano
contribuire ad un rinnovamento del pensiero di una reale societa'
alternativa alla societa' di mercato ed a costruirla. Rimettere
radicalmente in questione il concetto di sviluppo è fare della
sovversione cognitiva, e cio' è preliminare al sovvertimento politico,
sociale e culturale e ne costituisce la condizione .
Il momento ci sembra favorevole per uscire dalla semi-clandestinita'
dove siamo stati relegati fino ad oggi. Il grande successo del
colloquio della linea di orizzonte "disfare lo sviluppo-rifare il
mondo" che si è tenuto presso l'UNESCO dal 28 febbraio al 3 marzo 2002
rinforza le nostre convinzioni e le nostre speranze.
Cancellare l'immaginario sviluppista e liberare le menti
Di fronte alla globalizzazione, che non è altro che il trionfo
planetario del mercato globale, bisogna concepire e volere una
societa' nella quale i valori economici cessinoo di essere centrali (o
unici), dove l'economia è rimessa al suo posto come semplice mezzo
della vita umana e non come fine ultimo. Bisogna rinunciare a questa
folle corsa verso l'aumento dei consumi. Cio' è necessario non solo
per evitare la distruzione definitiva dell'ambiente terrestre, ma
anche soprattutto per uscire dalla miseria psichica e morale
dell'umanita' contemporanea. Si tratta di una vera decolonizzazione
del nostro immaginario e di una diseconomizzazione delle menti
necessarie per cambiare realmente il mondo prima che il cambiamento
del mondo ci condanni al dolore. Bisogna cominciare a vedere le cose
diversamente affinche' possano diventare altre, per individuare
soluzioni veramente originali e innovatrici. Si tratta di mettere al
centro della nostra vita altri significati che l'espansione della
produzione e del consumo.
La parola díordine della rete è dunque "resistenza e dissidenza".
Resistenza e dissidenza con la testa ma anche con i piedi. Resistenza
e dissidenza come attitudine mentale al rifiuto, come igiene di vita.
Resistenza e dissidenza come attitudine concreta per tutte le forme
d'auto-organizzazione alternativa. Cio' significa anche il rifiuto
della complicita' e della collaborazione con questa impresa dissennata
e distruttiva che costituisce l'ideologia dello sviluppo.
Illusioni e degrado dello sviluppo
La globalizzazione attuale ci mostra quello che lo sviluppo è stato e
che non abbiamo mai voluto vedere. E' lo stadio ultimo dello sviluppo
realmente esistente e nello stesso tempo la negazione della sua
concezione mitica. Se lo sviluppo, effettivamente, non è stato altro
che il seguito della colonizzazione attraverso altri mezzi, la nuova
globalizzazione, a sua volta, non è altro che il seguito dello
sviluppo con altri mezzi. Conviene dunque distinguere lo sviluppo come
mito dallo sviluppo come realta' storica.
Si puo' definire lo sviluppo reale come una impresa che mira a
trasformare in merci le relazioni degli uomini tra loro e con la
natura. Si tratta di sfruttare, di valorizzare, di trarre profitto
dalle risorse naturali e umane. Progetto aggressivo verso la natura e
verso i popoli, è come la colonizzazione che la precede e la
globalizzazione che la segue, un' opera a volte economica e militare
di dominio e di conquista. E' lo sviluppo reale, quello che domina il
pianeta da tre secoli, che causa i problemi sociali e ambientali
attuali: esclusione, sovrapopolazione, poverta', inquinamenti diversi,
ecc.
Quanto al concetto mitico di sviluppo, questo è nascosto in un
dilemma: da una parte, esso si palesa come tutto e il suo contrario;
l'insieme delle esperienze storiche e culturali dell'umanita', dalla
Cina degli Han all'impero degli Inca. In questo caso non designa nulla
in particolare, non ha alcun significato utile per promuovere una
politica, è meglio sbarazzarsene. Dall'altra parte, se esso ha un
contenuto proprio, questo contenuto mostra allora necessariamente cio'
che possiede in comune con l'avventura occidentale del decollo
dell'economia (take-off) fin dal momento in cui prende avvio dalla
rivoluzione industriale in Inghilterra negli anni 1750-1800. In questo
caso, quale che sia l'aggettivo che gli si accolla, il contenuto
implicito o esplicito dello sviluppo è la crescita economica,
l'accumulo del capitale con tutti gli effetti positivi e negativi che
gli si riconosce. Dunque, questo nocciolo duro che tutti gli sviluppi
hanno in comune con questa esperienza, è legato a dei rapporti sociali
ben particolari che sono quelli del modo di produzione capitalista.
Gli antagonismi di "classe" sono ampiamente occultati dalla pregnanza
dei "valori" comuni ampiamente condivisi che sono il progresso,
l'universalita', il dominio della natura, la razionalita'
quantificante. Questi valori sui quali si basano lo sviluppo, e
particolarmente il progresso, non corrispondono affatto a delle
aspirazioni universali profonde. Sono legate alla storia
dell'Occidente e raccolgono poca eco nelle altre societa'. Al di fuori
dei miti che lo fondano, l'idea di sviluppo è totalmente sprovvista di
senso e le pratiche che gli sono legate sono rigorosamente impossibili
perchè impensabili e proibite. Attualmente, questi valori occidentali
sono precisamente quelli che bisogna mettere in discussione per
trovare una soluzione ai problemi del mondo contemporaneo e evitare le
catastrofi verso le quali l'economia mondiale ci trascina. Il
post-sviluppo è al contempo post-capitalismo e post-modernismo.
I nuovi aspetti dello sviluppo
Per tentare di coniugare magicamente gli effetti negativi dell'impresa
progressista, siamo entrati "nell'era dello sviluppo a particella".
Abbiamo visto degli sviluppi autocentrati, endogeni, partecipativi,
comunitari, integrati, autentici, autonomi e popolari, senza parlare
dello sviluppo locale, del micro-sviluppo, dell'endo-sviluppo, e anche
dell'etno-sviluppo! Aggiungendo un aggettivo al concetto di sviluppo,
non si tratta veramente di rimettere in discussione l'accumulazione
capitalista, tutt'al piu' immaginiamo di aggiungere un risvolto
sociale o un elemento ecologico alla crescita economica come si è
potuto recentemente aggiungere una dimensione culturale. Questo lavoro
di ridefinizione dello sviluppo porta, in effetti, sempre piu' o meno
sulla cultura, la natura e la giustizia sociale. In tutto cio' si
tratta di guarire un male che colpirebbe lo sviluppo in modo
accidentale e non congeniale. Abbiamo nello stesso tempo creato per
l'occasione un mostro scaccia chiodo: il mal-sviluppo. Questo mostro
non è che una chimera aberrante. Il male non puo' raggiungere lo
sviluppo per la buona ragione che lo sviluppo immaginario è per
definizione l'incarnazione stessa del bene. Il buon sviluppo è un
pleonasma perchè sviluppo significa buona crescita, perchè la crescita
è un bene che nessuna forza del male puo' intaccare.
E' l'eccesso stesso delle prove del carattere benefico che meglio
rivela la frode dello sviluppo.
Lo sviluppo sociale, lo sviluppo umano, lo sviluppo locale e lo
sviluppo sostenibile non sono altro che gli ultimi nati di un lungo
seguito di innovazioni concettuali tendenti a far entrare una parte
del sogno nella dura realta' della crescita economica. Se lo sviluppo
sopravvive ancora lo deve alle critiche! Inaugurando l'era dello
sviluppo "a particella" (umano, sociale ecc.), gli umanisti
canalizzano le aspirazioni delle vittime dello progresso puro e duro
del Nord e del Sud strumentalizzandoli. Lo sviluppo sostenibile è la
piu' bella riuscita in quest'arte del ringiovanimento dei vecchi
tempi. Illustra perfettamente il procedimento di eufemizzazione con
l'aggettivo. Lo sviluppo durevole, sostenibile o sopportabile
(sustainable), messo alla ribalta alla conferenza di Rio del giugno
1992, è un tale "fai da te" concettuale; che tende a cambiare le
parole a scapito del cambiare delle cose, si tratta di una
mostruosita' verbale per sua antinomia mistificatrice. Ma nello stesso
tempo attraverso il successo universale, testimonia il dominio
dell'ideologia sviluppista. Oramai, la questione del progresso non
riguarda soltanto i paesi del sud, ma anche quelli del nord.
Se la retorica pura del progresso con la pratica legata
dell'espertocrazia volontarista non è piu' una ricetta valida, il
complesso delle credenze escatologiche di una prosperita' materiale
possibile per tutti, e rispettosa dell'ambiente che si puo' definire
come "il progressismo", resta intatto. Il "progressismo" manifesta la
logica economica in tutto il suo rigore. Non cí è posto in questo
"paradigma" per il rispetto della natura reclamato dagli ecologisti nè
per il rispetto dell'uomo reclamato dagli umanisti. Lo sviluppo
realmente esistente appare allora nella sua essenza, e lo sviluppo
alternativo come un miraggio.
Oltre lo sviluppo
Parlare di dopo-sviluppo non è soltanto lasciar correre
l'immaginazione su quello che potrebbe accadere in caso di implosione
del sistema, fare della fanta-politica o esaminare un problema
accademico. E' parlare della situazione di quelli che attualmente al
nord ed al sud sono gli esclusi o sono in procinto di diventarlo, per
tutti quelli dunque, per cui il progresso e lo sviluppo sono
un'ingiuria e un'ingiustizia e che sono indubbiamente i piu' numerosi
sulla faccia della terra, il post-sviluppo si delinea tra noi e si
annuncia nella diversita'.
Il dopo-sviluppo, in effetti, è necessariamente plurale. Si tratta
della ricerca delle modalita' di rigo'glio collettiva nelle quali non
sarebbero privilegiati un benessere materiale distruttore
dell'ambiente e dei legami sociali. L'obiettivo della buona strada si
declina nei molteplici aspetti secondo i contesti. In altre parole, si
tratta di ricostruire delle nuove culture. Questo obiettivo puo'
essere chiamato l'humran (rigo'glio) come in Ibn Kaldûn,
swadeshi-sarvodaya (miglioramento delle condizioni sociali di tutti)
come in Gandhi, o bamtaare ( stare bene assieme) come dicono i
Toucouleurs, o in tutti i modi possibili l'importante è di designare
la rottura con l'impresa di distruzione che si perpetua sotto il nome
di sviluppo oppure oggi diciamo di globalizzazione. Per gli esclusi,
per i naufraghi dello sviluppo, non si tratta che di una sorta di
sintesi tra la tradizione perduta e la modernita' inaccessibile.
Queste creazioni originali di cui possiamo trovare un po' qui e un po'
la' degli inizi di realizzazione aprono la speranza di un
post-sviluppo. Bisogna di volta in volta pensare e agire globalmente e
localmente. Non è altro che nella mutua fecondazione dei due approcci
che si puo' tentare di sormontare l'ostacolo della mancanza di
prospettive immediate. Il post-sviluppo e la costruzione di una
societa' alternativa non si declinano necessariamente nello stesso
modo al nord e al sud. Proporre la decrescita conviviale come uno
degli obiettivi globali urgenti e identificabile attualmente e mettere
in opera delle alternative concrete localmente sono complementari.
Decrescere e abbellire
La decrescita dovrebbe essere organizzata non soltanto per preservare
l'ambiente ma anche per ripristinare il minimo di giustizia sociale
senza la quale il pianeta è condannato all'esplosione. Sopravvivenza
sociale e sopravvivenza biologica sembrano cosi' strettamente legate.
I limiti del "capitale" (patrimonio) natura non propongono soltanto un
problema di equita' intergenerazionale nel condividere le
disponibilita', ma anche un problema di equita' tra gli esseri viventi
dell'umanita'.
La decrescita non significa un immobilismo conservatore. La gran parte
dei saperi considerava che la felicita' si realizzasse nel soddisfare
un numero ragionevolmente limitato di bisogni. L'evoluzione e la
crescita lenta delle societa' antiche si integravano in una
riproduzione allargata ben temperata, sempre adattata alle costrizioni
naturali.
Preparare la decrescita significa, in altre parole rinunciare
all'immaginario economico vale a dire alla credenza che piu' è uguale
a meglio. Il bene e la felicita' possono compiersi con costi minori.
Riscoprire la vera ricchezza nel fiorire delle relazioni sociali
conviviali in un mondo sano puo' realizzarsi con serenita' nella
frugalita', la sobrieta' una certa austerita' nel consumo materiale.
La parola d'ordine decrescita ha soprattutto come fine il segnare con
fermezza l'abbandono dell'obiettivo insensato della crescita per la
crescita, il cui motore è la ricerca esasperata del profitto da parte
dei detentori di capitale.
Evidentemente, non si prefigge un rovesciamento caricaturale che
consisterebbe nel raccomandare la decrescita per la decrescita.
In particolare la decrescita non va intesa come crescita negativa Si
sa che persino il rallentamento della crescita getta le nostre
societa' nel caos a causa della disoccupazione e del taglio dei
programmi sociali, culturali e ambientali, dai quali dipende un
livello minimo di qualità della vita. Immaginiamo quale catastrofe
produrrebbe la crescita negativa, expression antinomique et absurde
qui traduit bien la domination de l'imaginaire de la croissance4
. ! Come non c'è niente di peggio che una società
laborista/occupazionista senza lavoro/occupazione (Arendt), cosi come
non c'è niente di peggiore che una societa di crescita senza crescita
! La decrescita non è del resto immaginabile se non in una società di
"decrescita". Una tale societa' suppone un'organizzazione totalmente
diversa, dove sia valorizzato l'ozio al posto del lavoro, e dove i
rapporti sociali siano più importanti della produzione e del consumo
di prodotti usa-e-getta, inutili e spesso nocivi. Una riduzione
drastica del tempo di lavoro per assicurare a tutti un posto di lavoro
ne è la condizione di partenza.
Ispirandosi alla carta "consumi e stili di vita" proposta dal forum
delle ong a Rio de Janeiro nel 1992, si puo' riasssumere il
significato della decrescita nel programma delle 6 R : rivalutare,
ricostruire, redistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Sono sei
obiettivi interdipendenti, che insieme innescano il circuito virtuoso
della decrescita serena, conviviale e sostenibile5
. Rivalutare vuol dire rivedere i valori nei quali crediamo e sui
quali orgazziamo la nostra vita, cambiando quelli che vanno cambiati.
Ristrutturare vuol dire adattare l'apparato produttive e i rapporti
sociali in funzione del cambiamento dei valori. Ridistribuire si
riferisce alla redistribuzione della ricchezza e dell'accesso alle
risorse o patrimonio naturale. Ridurre vuol dire diminuire l'impatto
sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare. In fine,
Riutilizzare le apparecchiature e i beni d'uso, anziché gettarli in
discarica e riciclare gli scarti indecomponibili derivanti dalle
nostre attività. Tutto questo non è necessariamente anti-progressista
o anti scientifico. Si potrebbe definire anche crescita altra, in
vista del bene comune, se l'expressione non fosse gia' troppo abusata.
Non rinneghiamo la nostra appartenenza all'occidente il cui il sogno
progressista tuttavia ci perseguita. Aspiriamo ad un miglioramento
della qualita' della vita e non ad una crescita illimitata del PIL.
Reclamiamo il progresso della bellezza delle citta' e dei paesaggi, il
progresso della purezza delle falde freatiche che ci forniscono
l'acqua potabile, della trasparenza dei corsi d'acqua e della salute
degli oceani. Esigiamo un miglioramento dell'aria che respiriamo, del
sapore degli alimenti che mangiamo. C'è ancora molta strada da fare
per lottare contro l'invasione del rumore, per ampliare gli spazi
verdi, per preservare la fauna e la flora selvatica, per salvare il
patrimonio naturale e culturale dell'umanita', senza parlare dei
progressi da fare per la democrazia. La realizzazione di questo
programma è parte integrante dell'ideologia del progresso e presuppone
il ricorso a delle tecniche sofisticate di cui alcune sono ancora da
ideare. Sarebbe ingiusto tacciarci come tecnofobi e come
anti-progressisti sotto il solo pretesto che noi reclamiamo un
"diritto di inventario" sul progresso e la tecnica. Questa
rivendicazione è un minimo per l'esercizio della cittadinanza.
Semplicemente, per il Nord, la diminuzione della pressione eccessiva
del modo di funzionamento occidentale sulla biosfera è un'esigenza di
buon senso e nello stesso tempo una condizione di giustizia sociale e
ecologica.
Per quanto riguarda i paesi del Sud, frustati dalle conseguenze
negative della crescita del Nord, non si tratta tanto di decrescere (o
di crescere, d'altra parte), quanto di riannodare il filo rotto dalla
colonizzazione, l'imperialismo e il neo-imperialismo, militare,
politico, economico e culturale, per riappropriarsi della loro storia
e della loro identita'. Questo è un preliminare per dare ai loro
problemi le soluzioni appropriate. Puo' essere sensato ridurre la
produzione di certe culture destinate all'esportazione (caffé, cacao,
arachidi, cotone, ecc.) come invece puo' avverarsi la necessita' di
aumentare la produzione delle colture per uso alimentare. Si puo'
pensare anche a rinunciare all'agricoltura produttivista come al Nord
per ricostituire i suoli e le qualita' nutrizionali, ma anche, senza
dubbio, fare delle riforme agrarie, riabilitare l'artigianato che si è
rifugiato nell'informale, ecc. Spetta ai nostri amici del Sud
precisare quale direzione puo' prendere per loro la costruzione del
post-sviluppo.
In nessun caso, la rimessa in causa dello sviluppo non puo' nè deve
apparire come un'impresa paternalista e universalista che la
assimilerebbe a una nuova forma di colonizzazione (ecologista,
umanitaria ...). Il rischio piu' forte è che i colonizzati abbiano
interiorizzato i valori del colonizzatore. L'immaginario economico, e
particolarmente l'immaginario sviluppista, è ancora piu' pregnante al
Sud che al Nord. Le vittime dello sviluppo hanno la tendenza a non
vedere altro rimedio alle loro disgrazie che in un aggravarsi del
male. Pensano che l'economia è il solo mezzo per risolvere la poverta'
quando è la stessa che la genera. Il sviluppo e l'economia sono il
problema e non la soluzione; continuare a pretendere e volere il
contrario fa parte del problema.
Una decrescita accettata e ben meditata non impone alcuna limitazione
nel dispendio di sentimenti e nella produzione di una vita festosa,
(ossia, dionisiaca).
Sopravvivere localmente
Si tratta di essere attenti al reperimento di innovazioni alternative:
aziende cooperative in autogestione, comunita' neo-rurali, Lets e
Sels, banche del tempo, auto organizzazione degli esclusi al Sud.
Queste esperienze che noi intendiamo sostenere o promuovere non ci
interessano tanto per se stesse, quanto come forme di resistenza e di
dissidenza al processo di aumento in potenza dell'omnimercificazione
(omnimarchandisation) del mondo. Senza cercare di proporre un modello
unico, noi ci sforziamo di mirare in teoria e in pratica una coerenza
globale dell'insieme di queste iniziative.
Il pericolo della gran parte delle iniziative alternative è, in
effetti, di relegarsi in una nicchia al posto di lavorare alla
costruzione e al rafforzamento di un insieme piu' vasto. L'impresa
alternativa vive o sopravvive in un ambiente che è e deve essere
diverso dal mercato globale. E' questo ambiente latore di dissidenza
che bisogna definire, proteggere, conservare, rinforzare, sviluppare
attraverso la resistenza. Piuttosto che battersi disperatamente per
conservare il proprio angolo nel seno del mercato mondiale, bisogna
militare per allargare e approfondire una vera societa' autonoma ai
margini dell'economia dominante.
Il mercato mondiale con la sua concorrenza accanita e spesso sleale
non è l'universo dove si muove o dove deve muoversi l'organizzazione
alternativa. Deve cercare un vera democrazia associativa per sfociare
in una societa' autonoma. Una catena di complicita' deve legare le
parti. Come nell'informale africano, nutrire la rete dei "collegati" è
la base della riuscita. L'allargamento e l'approfondimento del tessuto
di base è il segreto della riuscita e deve essere il primo pensiero
delle sue iniziative. E' questa coerenza che rappresenta una vera
alternativa al sistema.
Al Nord, si pensa prima ai progetti volontari e volontaristici di
costruzione di mondi differenti. Alcuni individui, rifiutando
totalmente o parzialmente il mondo dove vivono, tentano di mettere in
atto un'altra cosa, di vivere diversamente: di lavorare o di produrre
diversamente in seno a imprese differenti, di riappropriarsi della
moneta anche per servirsene per un uso differente, secondo una logica
diversa da quella dell'accumulazione illimitata e dell'esclusione
massiccia dei perdenti.
Al Sud, dove l'economia mondiale, con l'aiuto delle istituzioni di
Bretton Woods, ha escluso dalle campagne milioni e milioni di persone,
ha distrutto il loro modo di vita ancestrale, soppresso i loro mezzi
di sussistenza, per gettarli e agglomerarli nelle bidon-villes e nelle
periferie del Terzo-mondo, l'alternativa è spesso una condizione di
sopravvivenza. I "naufraghi dello sviluppo", respinti al mittente,
condannati nella logica dominante a scomparire, non hanno altra scelta
per galleggiare che di organizzarsi secondo un'altra logica. Devono
inventare, e certi almeno inventano effettivamente, un altro sistema,
un'altra vita.
Questa seconda forma dell'altra societa' non è totalmente separata
dalla prima, e cio' per due ragioni. Innanzitutto, perchè
l'auto-organizzazione spontanea degli esclusi del Sud non è - non è
mai - totalmente spontanea. Ci sono anche delle aspirazioni, dei
progetti, dei modelli, ossia delle utopie che informano piu' o meno
questi bricolage della sopravvivenza informale. Poi, perchè,
simmetricamente, gli alternativi del Nord non sempre hanno
possibilita' di scegliere. Sono assai spesso degli esclusi, dei
respinti al mittente, dei disoccupati o candidati potenziali alla
disoccupazione, o semplicemente degli esclusi per disgusto ... Ci sono
delle passerelle tra le due forme che possono e devono fecondarsi
reciprocamente. Questa coerenza díinsieme realizza un certo modo,
certi aspetti che François Partant attribuiva alla sua "centrale" :
"Dare a dei disoccupati, a dei contadini rovinati e a tutti coloro che
lo desiderano, la possibilita' di vivere del loro lavoro, producendo,
al di fuori dellíeconomia di mercato e nelle condizioni che
determinano da loro stessi, quello di cui loro stimano di aver
bisogno" (La Ligne d'horizon, La découverte, Paris 1988, p. 206).
Rinforzare la costruzione di questi altri mondi possibili passa per la
presa di coscienza del significato storico di queste iniziative.
Numerose sono già state le riconquiste da parte delle forze
sviluppiste delle imprese alternative isolate e sarebbe pericoloso
sottostimare le capacita' di recupero del sistema. Per contrastare la
manipolazione e il lavaggio del cervello permanente a cui siamo
sottomessi, la costituzione di una vasta rete sembra essenziale per
condurre la battaglia del buon senso.