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From: "lantan" <lantan@???>
To: "spaziolibero" <spaziolibero@???>
Sent: Sunday, January 28, 2007 11:44 PM
Subject: [Spaziolibero] Politica e crimine: Unione SVEGLIATI!!
@Spaziolibero@
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Chissa' quando il governo dell'Unione si decidera' a fare 'sta benedetta
riforma delle telecomunicazioni ponendo cosi' fine al predominio di Mediaset
e del sui padrone, il fascista di Arcore.
L'Unione ha vinto le elezioni... ma il Fratello 1816 comanda ancora! E
soprattutto, lui e i suoi sgherri si permettono di minacciare rivolte e
colpi di stato nell'indifferenza generale. Mentre a Deaglio gli hanno fatto
vedere i sorci verdi solo per aver espresso dei dubbi sulle elezioni in modo
documentato.
inoltro da unita.it del 28.1.07
Politica e crimine
Furio Colombo
Cittadini attenzione. Il giorno 24 gennaio, il coordinatore nazionale di
Forza Italia Sandro Bondi ha lanciato al Paese il seguente messaggio: «Prodi
e gli altri non devono scherzare col fuoco. Esiste un limite oltre il quale
un equilibrio democratico si può rompere. E al punto di rottura siamo quasi
arrivati. Allora sono guai per tutti. Perché con Forza Italia al 32 per
cento, come dicono tutti i sondaggi anche quelli commissionati dal
centrosinistra sarebbe pericoloso tirare troppo la corda. Potrebbe provocare
reazioni nel Paese, sommovimenti. Tutto ciò può determinare reazioni molto
gravi della gente». (La Stampa, 24 gennaio 2007)
Siamo di fronte a un ultimatum: o rinunciate a governare o ci saranno
rivolte nel Paese. Considerato il ruolo politico dell'autore di queste
parole, è naturale immaginarsi una reazione giornalistica immediata, una
serie di quelle tormentose interviste che seguono di solito una frase
pronunciata dentro l'Unione sui Pacs, sul testamento biologico, sulla
pretesa dei gay di non essere esclusi dalle unioni legittime. Invece (e
forse persino Bondi si sarà meravigliato) silenzio.
Per capire ciò che sto dicendo immaginate per un momento che una frase così
arrischiata («ci saranno rivolte») fosse stata pronunciata da un Diliberto o
da un Giordano. Si sarebbero scatenati giornali e istituzioni. Si sarebbe
parlato francamente del ritorno del pericolo comunista. Bondi invece
brandisce i sondaggi contro le elezioni, e «vede» - certo da un punto di
vista privilegiato, dato l'enorme potere economico a cui è vicino -
sommovimenti e rivolte di tipo libanese.
Eppure alle parole di Bondi è seguito un cauto silenzio dei media, e un
composto aplomb delle istituzioni che, a quanto pare, non si sono sentite
turbate dall'annuncio (certamente autorizzato dal leader-padrone di Forza
Italia) di sommosse descritte come inevitabili («se questi non se ne
vanno...») e implicitamente approvate («esiste un limite»). «Questo decreto
sulle nuove regole che vogliono imporre alle mie televisioni è un piano
criminale verso il capo della opposizione e verso le sue proprietà private.
Sono sicuro tuttavia che il governo non troverà complici per realizzazione
questo progetto criminale. Vincendo le prossime elezioni amministrative
dimostreremo i brogli elettorali che ci sono stati».
C'è anche un riferimento interessante per chi scrive nella dichiarazione di
guerra qui trascritta: «Ho visto Ballarò. Dobbiamo fare anche noi a Mediaset
un programma simile. Dobbiamo rispondere agli attacchi». (La Repubblica, 25
gennaio). Naturalmente avete riconosciuto la voce. È Silvio Berlusconi, il
quale considera un attacco personale imporre regole di mercato alle sue
televisioni. È una protesta comprensibile, se si tiene conto che lui è
l'unico
grande proprietario di televisioni private in Italia. Ed è l'unico politico
al mondo che ha governato sostenuto da un partito formato dalle sue
televisioni. Ma lui, senza pudore, annuncia che se si toccano gli interessi
delle televisioni private di Silvio Berlusconi si attacca in modo grave e
inaudito il capo della opposizione Silvio Berlusconi. Chiunque direbbe:
risolviamo il problema con una buona legge sul conflitto di interessi.
Berlusconi invece definisce «criminale» ogni intervento sulle sue proprietà.
Lo costringerebbe a uscire dalla doppia illegalità: servire se stesso
servendosi del Paese. Come vedete sono tre frasi esemplari, illogiche,
prepotenti, minacciose. C'è l'orgogliosa identificazione del proprietario
con il politico. Chi tocca l'uno tocca l'altro.
Questo spiega in che senso una testata è «omicida», (come i suoi dipendenti
hanno detto de l'Unità, quando denunciava il conflitto di interessi di
Berlusconi). Tra politica, proprietà e protezione di se stesso lui non vede
alcuna differenza. Attacca e morde con una dichiarazione di guerra alle
istituzioni a costo di autodenunciarsi come titolare del conflitto di
interessi che ha passato anni a negare e altri anni a «risolvere» con la
risibile legge Frattini che non prevede, per il pericoloso fenomeno alcuna
sanzione.
Nel citato programma Rai Ballarò tutto lo schieramento berlusconiano negava
che «lui» prendesse parte agli affari dell'azienda durante i Consigli dei
ministri. «Ogni volta "lui" usciva. Ha affermato testualmente la ex ministro
Prestigiacomo: «Do la mia parola d'onore che mai si è occupato dei suoi
interessi». Simpatico, canagliesco e brutale, nella classica tradizione post
romantica, il suo capo, benché così fedelmente assistito (fino all'impegno
del proprio onore) la smentisce. Infatti dice: «Ho visto Ballarò e bisogna
fare anche noi una trasmissione così a Mediaset. Dobbiamo rispondere a
questi attacchi». In questo modo smentisce anche il suo rappresentante
Confalonieri (che un po' compare come vice ministro, un po' come presidente
Mediaset) che si era affannato a ripetere: «Le nostre tv al servizio di
"lui" in politica? Mai, garantisco, mai!».
Ma lo spavaldo padrone non bada all'onore dei suoi e preannuncia una nuova
battaglia di televisioni nella sua guerra infinita che tormenta l'Italia
ormai da dieci anni. Durante questi dieci anni di doppio governo (affari e
politica) Berlusconi ha raddoppiato la sua ricchezza.Eppure, forse per
prudenza, nessuno accetta di considerarlo un pericolo. Anzi ti dicono, anche
da sinistra, «non esageriamo, è un politico come gli altri». C'è una
piccolissima differenza: Berlusconi è la quattordicesima ricchezza più
grande del mondo, e due o tre capricci a quanto pare, se li può togliere
quando crede. Però non si capisce perché, spargere intorno a lui il sussurro
che più lo agevola: ma quale emergenza? Ma quale pericolo per la democrazia?
E continuano a nascere proposte di cose da fare insieme. Prima o dopo le
rivolte di popolo annunciate da Bondi?
* * *
«Si riapre la catena di processi della Sme», titolano alcuni giornali più
coraggiosi. Si riferiscono alla sentenza della Corte Costituzionale che ha
dichiarato incostituzionale la «legge Pecorella». Con essa il presidente
della commissione Giustizia della scorsa legislatura (e avvocato personale
di Berlusconi in tutte le legislature), aveva confezionato la liberazione di
Berlusconi dai giudici di Milano. Il pm non poteva più proporre appello
contro un imputato assolto. Ora che questa normale competenza è stata
restituita alla pubblica accusa, alcuni processi contro Berlusconi (a parte
i nuovi) potranno continuare in secondo grado.
Qual è la risposta dell'ex Primo ministro noto nel mondo per aver aperto il
semestre europeo italiano dando del «kapò» all'eurodeputato tedesco Schultz
che aveva osato accennare alla cacciata di persone libere dalla Rai e al
conflitto di interessi? Eccola, da statista: «Questa sentenza dimostra che
tutte le istituzioni sono in mano alla sinistra». Come vedete il senso del
ridicolo è scomparso da tempo. Quel che disorienta è che sia scomparso dal
giornalismo. Non un accenno, da nessuna parte, alla portata eversiva del
commento a questa sentenza, specialmente se collegata alle parole di Sandro
Bondi, che annunciano una imminente rivolta di popolo. Eppure tutto ciò in
fondo è poco se confrontato a quello che è accaduto e sta accadendo con la
vicenda Mitrokhin. Provate a immaginare la mobilitazione che si sarebbe
scatenata se - per puro e sfortunato caso - fosse stato presente, nello
stesso albergo e nella stessa stanza, uno sbadato passante in qualche modo
legato all'Unione, mentre stavano avvelenando al polonio l'ex spia sovietica
Litvinenko. È certo che ogni giorno, in ogni talk show, con ricostruzioni e
modellini, quell'atroce delitto sarebbe sugli schermi pubblici e privati di
tutte le reti italiane.
Invece mentre assassinavano Litvinenko era presente chissà come, chissà come
mai, il prof. Scaramella. Che non è professore ma, di professione, spia
personale della Commissione Mitrokhin, cioè spia retribuita dalla Repubblica
italiana. Missione: svelare che Romano Prodi era stato «uomo del Kgb»,
ovvero preparare, in caso di perdita delle elezioni, una buona ragione per
la rivolta di piazza di Bondi e la rivincita di Berlusconi sulle leggi
criminali contro le sue aziende e le sentenze criminali contro la sua
persona. Scaramella,a nome e per conto della commissione Mitrokhin e del
Senato della Repubblica italiana,il suo lavoro l'ha fatto, benché sia finito
in prigione per calunnia e vi resti tuttora. Litvinenko è morto di una morte
spaventosa avvelenato chissà da chi. Ma, guarda caso, ha lasciato una
testimonianza. Prima di morire ha detto: «Prodi era un nostro uomo», le
esatte parole commissionate a Scaramella dalla Commissione Mitrokhin (come
risulta dalle intercettazioni pubblicate). Dopo morto non ha niente da dire.
Il caso sconvolgerebbe qualunque Paese, anche fuori dalle tradizioni
democratiche dell'Occidente. Infatti una commissione parlamentare con poteri
giudiziari ha lavorato per anni e con abbondanti fondi dello Stato,
assumendo consulenti che poi sono risultati «da galera», allo scopo
dichiarato di eliminare il capo dell'opposizione. Se è «legge criminale» la
mite legge Gentiloni perché tocca di striscio gli interessi privati di un
uomo ricchissimo, che adesso è anche capo dell'opposizione, come definire la
commissione Mitrokhin e i suoi scopi da colpo di Stato? Ma tutto questo ci
da modo di verificare la vasta conseguenza del quasi completo controllo
mediatico nelle mani non di una sola coalizione o di un solo partito ma di
una sola persona.
* * *
L'uso berlusconiano dei media pubblici e privati è così ferreo da cambiare
la percezione degli eventi persino agli occhi degli esperti. E questo spiega
la passione con cui Berlusconi si batte perché non glielo si limiti neppure
marginalmente. E spiega perché non vuole sentire parlare di una vera legge
sul conflitto di interessi nel senso del diritto occidentale. Infatti lo
priverebbe della sua presunta magia carismatica. La persistenza negli anni
di quel conflitto spiega anche qualcosa che altrimenti sarebbe davvero
inspiegabile. Pensate che una rispettabile e rispettata docente associata di
scienze politiche all'Università di Bologna, Donatella Campus, pubblica con
le pregiate Edizioni del Mulino un testo scientifico intitolato
«L'antipolitica
al governo».
I tre personaggi esemplari proposti dalla prof. Campus sono De Gaulle, il
generale che ha guidato la Resistenza francese e la rinascita di quel Paese,
ha tenuto testa ai militari e fatto finire la guerra d'Algeria; Ronald
Reagan, il personaggio che ha colto al volo l'occasione della Glasnost, ha
aiutato il leader sovietico Gorbaciov a uscire senza danno dalle macerie del
suo impero e ha - proprio lui, che parlava sempre di «impero del male» -
portato Russia e America fuori dalla guerra fredda in modo dignitoso e
indolore. E il terzo chi è? È Berlusconi, l'uomo che ha spaccato l'Italia e
continua a spaccarla.
Nel libro della Campus Berlusconi è descritto come desidera essere
Berlusconi, un audace liberal che si scrolla di dosso la politica
tradizionale e inaugura un rapporto libero e inedito con la opinione
pubblica. La Campus non nota che Berlusconi «entra in campo» con una
cassetta, non in persona (dunque senza domande e senza dover rendere conto).
E che da quel momento tiene costantemente i giornalisti a distanza e sotto
intimidazione. A volte, fatalmente, e dopo gli esempi Biagi e Santoro, la
categoria diventa ossequiosa. E incline alla celebrazione. Fenomeno
irrilevante? È mai accaduto a De Gaulle o a Reagan? La Campus non nota le
leggi ad personam, non nota le leggi vergogna, non nota l'uso degli avvocati
difensori come deputati e senatori a capo di commissioni chiave per gli
interessi personali del leader. Non nota la politica come finzione (Pratica
di Mare), come repressione (Genova), come intimidazione ostentata e
padronale (la messa in stato di accusa da parte dei suoi media, di chi gli
tiene testa). Non nota l'illegalità di controllare e dirigere la Tv di
Stato, mentre presiede controlla e dirige quella privata.
Il libro della Campus è il perfetto monumento al conflitto di interessi. Ci
dice che quel conflitto di interessi, quando è abbastanza forte, colpisce
soprattutto i media. Esso, infatti, cambia e riorganizza la percezione degli
eventi anche gli agli occhi degli esperti. La controprova è nel libro di
Marc Lazar uscito negli stessi giorni. Anche lui è un politologo ma, dalla
Francia, lavora al riparo dal totale controllo mediatico che Berlusconi
mantiene sull'Italia. Sentite che cosa scrive Lazar: «L'Italia è un grande
malato e la terapia del dottor Berlusconi non gli ha permesso di
ristabilirsi. L'economia ristagna e le prospettive sono fosche. Al di là dei
proclami boriosi si perpetua una vecchia tradizione politica di immobilismo.
Silvio Berlusconi non ha avviato alcuna liberalizzazione né innestato alcuna
modernizzazione. Tuttavia ha verosimilmente significato un cambiamento
completo dell'universo delle rappresentazioni mentali».
Berlusconi è certamente l'antipolitica. Ma in un senso distruttivo e
vendicativo contro quella parte non piccola del suo Paese che non coincide
con la sua proprietà. Solo il suo mondo inventato e strettamente sorvegliato
dai media può avere indotto qualcuno, per quanto esperto, a scambiarlo per
Reagan o De Gaulle.