著者: siempre@virgilio.it 日付: To: forumlecce 題目: [Lecce-sf] saddam hussein e dintorni
per chi è interessato, qui sotto le riflessioni di Adel Jabbar,
iracheno, lavora come esperto di sociologia interculturale presso
l'Università di Trento e altre Università italiane.
*Il dopo Saddam.
Vendetta e assassinio
*di Adel Jabbar
A seguito dell'annuncio
dell'impiccagione del raìs ed il preavviso dato
dallo speaker della
televisione dei governativi iracheni (diretta da
consulenti di
comunicazione statunitensi), riguardante la diffusione di
alcune
immagini dell'esecuzione, ho cercato di seguire le notizie, le
immagini e i commenti che derivavano. Già la continua e macabra attesa
costellata dai ripetuti preavvisi, spesso accompagnati da canti che
inneggiavano all'esecuzione di Saddam, dava il senso del risentimento
e
della vendetta nei confronti di un uomo già sconfitto e umiliato
nell'aprile 2003. Tutto ciò mi ha trasmesso un senso di paura e di
terrore, sentimenti dei quali la popolazione irachena non si libererà
presto.
Personalmente sono stato dissidente, oppositore, perseguitato
ed
esiliato del regime di Saddam, non ho mai condiviso in modo
assoluto
nessuna delle sue scelte politiche fin da quando è diventato
presidente
dell'Iraq il 16 luglio 1979 e sono testimone delle atrocità
e delle
violenze raccapriccianti con cui gli uomini e le milizie del
regime
trattavano la popolazione irachena. Quindi, lungi da me
qualsiasi
tentativo di trovare delle attenuanti.
Ciò nonostante, sono
assolutamente contrario all'esecuzione e allo
spettacolo di morte che
i governanti attuali hanno offerto al pubblico.
E le motivazioni sono
molteplici.
La prima è di natura etica. Sono contrario alla pena di
morte.
La seconda è sul piano simbolico. La scelta, premeditata,
oltraggiosa e
insultante, del primo giorno della Festa del Sacrificio
per trasformare
il tiranno in animale sacrificale, ha ovviamente
esasperato un clima già
oltremodo compromesso e teso.
La terza è
dettata da esigenze di verità e di giustizia. Un personaggio
come
Saddam Hussein, che è stato il protagonista per più di cinquanta
anni
della storia politica dell'Iraq, attore politico che ha fatto,
strafatto, disfatto e misfatto, è certo venuto a conoscenza di molti
atti che riguardano la vita dello Stato e delle istituzioni, ha goduto
di appoggi conosciuti e sconosciuti, di complicità interne, regionali
e
internazionali che gli hanno consentito di salire al potere, nonché
di
compiere guerre contro i paesi vicini. Per tutto questo sarebbe
stato
assolutamente opportuno mantenere in vita il raìs, al fine di
fare
chiarezza e di venire a capo delle tante vicende più o meno
oscure.
Questa verità poteva servire a fare giustizia, il che avrebbe
giovato
alla popolazione irachena e avrebbe potuto portare allo
sviluppo di una
coscienza capace di elaborare il proprio passato in
funzione della
costruzione di un nuovo presente.
La quarta motivazione
è di tipo giuridico. Qualunque persona, esperta o
meno di vicende
irachene e di cultura del diritto, ha toccato con mano
la farsa del
processo istituito per giudicare Saddam e i suoi
collaboratori. Un
tribunale politico in mano non solo ai suoi nemici
politici, ma a
vendicatori, persone prive di qualsiasi senso della legge
e dello
Stato, costretti dagli eventi a mettere in piedi questo
baraccone. Non
a caso il processo è stato celebrato in maniera
confessionale,
contestando a Saddam Hussein reati commessi solamente
contro gruppi
linguistico-culturali o confessionali, del tutto
trascurando il fatto
che prime vittime del suo regime sono stati
marxisti, nazionalisti
arabi e soprattutto esponenti del suo partito. Il
processo, se fosse
stato regolare e garante, avrebbe rappresentato
un'occasione
fondamentale per aprire una nuova era di diritti e di
democrazia. Al
momento dell'impiccagione, poi, i testimoni presenti,
esponenti
governativi, sembravano un coro di vili provocatori da stadio,
che
insultavano Saddam nel momento in cui aveva già il cappio al collo.
La
quinta è di tipo morale. Governanti che capeggiano oggi milizie
feroci, che hanno reso il Paese una terra di conquista per bande e
cosche mafiose, che assassinano ogni giorno centinaia di persone, che
hanno trasformato il Paese in un bagno di sangue e in uno dei luoghi
più
insicuri e corrotti del mondo, con quale legittimità morale
possono
ergersi a giudici? Questi governanti si sono resi responsabili
della
morte di circa un milione di civili nell'arco di neppure quattro
anni,
hanno prodotto due milioni di esiliati, un milione e mezzo di
sfollati
all'interno del Paese, non hanno saputo garantire alla gente
l'acqua
corrente e la luce elettrica e non sono neppure in grado di
tenere
pulite le strade di Baghdad.
La sesta ed ultima motivazione è
di tipo politico. A questo proposito è
opportuno ricordare che la
dittatura ha usufruito, a lungo, dei favori
di diverse democrazie
occidentali. Tornando all'attualità, chi ha
condannato a morte Saddam
in questo modo, Bush per avere un trofeo (di
fronte ad un suo
elettorato abituato alla cultura wanted live & dead) ed
i suoi
complici iracheni per vendetta, sappiano che la pratica
dell'assassinio non ha dato risultati benefici al loro predecessore
Saddam e che quindi continuare con la stessa prassi non solo non
gioverà
a stabilizzare la situazione, ma spalancherà la porta
dell'inferno che è
già stata aperta con l'invasione del paese. Altro
che scontro di
civiltà, gli uni e gli altri sono stati uniti nel
celebrare e nel
perpetuare la civiltà della morte. Questo ulteriore
crimine non renderà
l'Iraq né sicuro né democratico per nessuno, forse
libero sì, ma per
sciacalli, avventurieri, faccendieri, predatori e
assassini di ogni
risma. E Saddam, che avrebbe dovuto passare alla
storia come un despota,
con questa azione sarà purtroppo ricordato
come un eroe, per molti
iracheni, arabi e musulmani e non solo, credo.
Quanto l'oggi sarà simile a ieri! Come dicono gli arabi.