[Lecce-sf] saper parlare all'altro

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Autore: Silverio Tomeo
Data:  
To: social forum
Oggetto: [Lecce-sf] saper parlare all'altro
Quell'arte tutta nostra di saper parlare all'Altro
                        Zygmunt Bauman


                        Partendo dal presupposto che è "insensato pensare che 
                        l'Europa possa competere con il potere economico, 
                        militare e tecnologico" degli Stati Uniti e delle 
                        economie emergenti (in particolare quelle asiatiche), 
                        George Steiner asserisce che il compito dell'Europa "è 
                        di ordine spirituale e intellettuale". "Il genio 
                        dell'Europa è ciò che William Blake avrebbe chiamato 'la 
                        santità dei minimi particolari'. Il genio di una varietà 
                        linguistica, culturale, sociale, di un ricchissimo 
                        mosaico che spesso trasforma una distanza irrilevante, 
                        una ventina di chilometri, in una frontiera tra due 
                        mondi (.). L'Europa morirà se non combatterà per 
                        difendere le proprie lingue, le proprie tradizioni 
                        locali e le proprie autonomie sociali. Perirà se 
                        dimentica che 'Dio si trova nei dettagli'" (Una certa 
                        idea di Europa). 
                        Concetti analoghi si ritrovano nell'eredità letteraria 
                        di Hans-Georg Gadamer (in particolare L'eredità 
                        dell'Europa). In cima alla lista dei pregi unici 
                        dell'Europa, Gadamer pone proprio la sua varietà e la 
                        sua ricchezza, che rasenta la dissipazione; ai suoi 
                        occhi, la profusione di differenze è il principale 
                        tesoro che l'Europa ha conservato e che può donare al 
                        mondo. "Vivere con l'Altro, vivere come l'Altro 
                        dell'Altro è il principale compito dell'uomo, al livello 
                        più basso così come a quello più elevato. Di qui forse 
                        il vantaggio peculiare dell'Europa, che poteva e doveva 
                        imparare l'arte di vivere insieme agli altri". In 
                        Europa, più che in qualsiasi altro luogo, "l'Altro" è ed 
                        è sempre stato vicino, a vista e a portata di mano; 
                        l'Altro è, metaforicamente e persino letteralmente, il 
                        vicino di casa, e gli europei, nonostante l'alterità e 
                        le differenze che li contraddistinguono, non possono far 
                        altro che negoziare i termini di questo buon vicinato. 
                        La cornice europea, caratterizzata dal "multilinguismo, 
                        dalla prossimità dell'Altro e dall'eguale valore 
                        accordato all'Altro in uno spazio estremamente ridotto", 
                        potrebbe essere vista come una scuola in cui il resto 
                        del mondo può apprendere quelle conoscenze e quelle 
                        competenze fondamentali che fanno la differenza tra la 
                        sopravvivenza e il declino. Acquisire e condividere 
                        l'arte di imparare gli uni dagli altri è, secondo 
                        Gadamer, "il compito dell'Europa", e io aggiungerei la 
                        missione dell'Europa, o meglio il fato dell'Europa in 
                        attesa che venga riconfigurato come destino. 
                        Non si tratta di sopravvalutare l'importanza di questa 
                        missione - e l'importanza della determinazione con cui 
                        l'Europa la intraprende - dal momento che "condizione 
                        essenziale per risolvere i problemi vitali del mondo 
                        attuale", un'autentica conditio sine qua non, sono 
                        l'amicizia e la "ferma solidarietà" che, sole, possono 
                        assicurare alla convivenza tra gli uomini una "struttura 
                        ordinata". Per far fronte a tale compito possiamo, ed è 
                        necessario, trarre ispirazione dalla comune eredità 
                        europea: per gli antichi greci, ci ricorda Gadamer, il 
                        concetto di "amico" "esprimeva la totalità della vita 
                        sociale". "Amici" sono coloro che riescono, ancorché 
                        diversi, ad essere solidali gli uni con gli altri e ad 
                        aiutarsi a vicenda proprio in virtù delle loro 
                        differenze, e che soprattutto riescono a far ciò senza 
                        rinunciare alla propria unicità e senza, d'altra parte, 
                        far sì che la propria unicità li allontani o li metta 
                        gli uni contro gli altri. 
                        Di recente, Lionel Jospin ha riversato le sue speranze 
                        per un nuovo ruolo mondiale dell'Europa nel suo 
                        "approccio sfumato alle realtà attuali". L'Europa, 
                        sostiene Jospin, ha imparato a proprie spese, e pagando 
                        un prezzo altissimo in termini di sofferenza, a 
                        "superare le rivalità storiche e risolvere pacificamente 
                        i conflitti", a conciliare "un'enorme varietà di 
                        culture" e a convivere con la prospettiva di una 
                        permanente diversità culturale non più considerata un 
                        fastidio temporaneo. Sono queste, è bene sottolinearlo, 
                        le lezioni di cui il resto del mondo ha così tanto 
                        bisogno. 
                        Vista sullo sfondo di un mondo dilaniato dai conflitti, 
                        l'Europa appare come una fucina in cui vengono 
                        continuamente forgiati gli strumenti necessari al 
                        raggiungimento di quell'unità universale del genere 
                        umano di cui parlava Kant, come un laboratorio in cui 
                        tali strumenti vengono "testati in corso d'opera", 
                        sebbene per ora in progetti meno ambiziosi e su scala 
                        ridotta. Gli strumenti che all'interno dell'Europa si 
                        vanno forgiando e collaudando servono soprattutto alla 
                        delicata operazione - per gli osservatori meno ottimisti 
                        troppo delicata perché possa avere una benché minima 
                        probabilità di successo - di separare i fondamenti della 
                        legittimità politica, del processo democratico e della 
                        disponibilità a condividere le risorse come avviene in 
                        una comunità, dal principio di sovranità nazionale e 
                        territoriale cui sono stati indissolubilmente legati per 
                        gran parte della storia moderna. 
                        La nascente Federazione europea si trova dinnanzi al 
                        compito di replicare l'impresa compiuta agli albori 
                        della modernità dallo Stato nazione: riconciliare potere 
                        e politica, che attualmente sono divisi e seguono rotte 
                        opposte. Oggi come allora la strada che conduce alla 
                        realizzazione di questa impresa è impervia, irta di 
                        insidie e disseminata di rischi incalcolabili, con 
                        l'aggravante che il percorso non è tracciato, cosicché 
                        ogni passo è un salto nell'ignoto. 
                        Se occorre ricentrare ed elevare a un livello superiore 
                        a quello di Stato nazione i capisaldi della solidarietà 
                        umana (il sentimento di mutua appartenenza e di 
                        responsabilità condivisa per il futuro comune o la 
                        disponibilità a prendersi cura del benessere reciproco e 
                        a trovare soluzioni durature e pacifiche ai conflitti 
                        che di volta in volta insorgono), allora tali valori 
                        necessitano di una cornice istituzionale per la 
                        formazione della volontà e dell'opinione pubblica. 
                        L'Unione europea aspira, seppur con passo lento ed 
                        esitante, a creare una forma embrionale o rudimentale di 
                        tale cornice istituzionale (solo il tempo dirà quali dei 
                        due aggettivi è il più adatto), ma gli ostacoli più 
                        insormontabili che sta incontrando sul proprio cammino 
                        sono appunto gli Stati-nazione e la loro riluttanza a 
                        disfarsi di ciò che rimane della loro sovranità un tempo 
                        piena. È dunque difficile tracciare in modo preciso il 
                        cammino e ancor più arduo (oltre che irresponsabile e 
                        azzardato) è prevederne le svolte future. Se adottata e 
                        anteposta alla logica dell'arroccamento locale, la 
                        logica della responsabilità e delle aspirazioni globali 
                        può contribuire a preparare l'Europa alla sua prossima 
                        avventura, più grandiosa forse di quelle che l'hanno 
                        preceduta. Nonostante le probabilità contrarie siano 
                        innumerevoli, quella logica potrebbe far sì che sia 
                        ancora una volta l'Europa a definire i modelli globali, 
                        consentendole di mettere in pratica tanto i valori che 
                        ha saputo custodire e utilizzare per preservarsi nelle 
                        avversità, quanto l'esperienza etico-politica di 
                        autogoverno democratico acquisita, per far fronte 
                        all'immane compito di sostituire l'insieme di entità 
                        arroccate nei rispettivi territori e impegnate in un 
                        gioco a somma zero per la sopravvivenza con una comunità 
                        umana universale e pienamente inclusiva. Solo se e 
                        quando si riuscirà a realizzare tale comunità, l'Europa 
                        potrà considerare compiuta la sua missione. Solo in seno 
                        a una tale comunità i valori che guidano le ambizioni e 
                        la quête dell'Europa - quei valori che sono l'Europa - 
                        potranno essere veramente al sicuro. 
                        Ciò che ci aspetta è stato profeticamente descritto da 
                        Franz Kafka nel racconto I difensori: "Se dunque non 
                        trovi nulla in questi corridoi, apri le porte; e se non 
                        trovi nulla dietro a queste porte, esistono altri piani; 
                        se non trovi nulla lassù, non importa; sali per nuove 
                        scale! Finché non smetterai di salire non cesseranno i 
                        gradini, anzi, si moltiplicheranno all'infinito sotto i 
                        tuoi piedi che salgono". 
                        Certo, riconosco che non si può considerare un 
                        programma, né un aspettativa o un auspicio, da 
                        realizzare nel 2007, ma deve esserci un momento in cui 
                        cominceremo a incamminarci lungo quei corridoi. Che quel 
                        momento sia il 2007.