[NuovoLab] in memoria di fabrizio giovenale

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Autor: antonio bruno
Data:  
A: ambiente_liguria
CC: forumambientalista, forumgenova, fori-sociali, forumSEGE, debate
Assumpte: [NuovoLab] in memoria di fabrizio giovenale
liberazione 27.12.06

Amava il suo paese e voleva cambiarlo

I miei 15 anni di battaglie accanto a lui
di Roberto Musacchio

Fabrizio Giovenale e' stato un uomo importante.
Importante per la sua famiglia, per sua moglie Marina, i suoi figli e i
suoi nipoti. A questi ultimi
ha dedicato alcuni suoi scritti a simboleggiare la sua straordinaria
capacità di attraversare
le generazioni guardando sempre, da ambientalista, a quelle future. Lo e'
stato per noi, donne e uomini
della politica, delle sinistre e dell’ambientalismo italiano che abbiamo
avuto il privilegio e il piacere di essergli vicino e di apprezzare quella
sua capacità unica di offrire i contributi più ricchi e preziosi con una
disponibilità totale e una assoluta semplicita'.
Fabrizio era egualmente presente agli appuntamenti piu' solenni e
prestigiosi come alle riunioni piu' comuni e ordinarie.
Ma lui è stato un uomo importante per questo Paese, l’Italia.
Lo dico con convinzione e senza alcuna retorica sapendo quanto ne fosse
lontano e insofferente.
Giovenale e' stato un dirigente di primo piano di importanti strutture
pubbliche; ha collaborato
in gabinetti di ministri nell’esperienza del primo centrosinistra; e' stato
alla guida di associazioni ambientalistiche
storiche, nuove e nuovissime; ha accompagnato le sinistre italiane in modo
ricco e
creativo. E’ stato un uomo di fortissima impronta morale in cui l’etica non
era astratta
ma si concretizzava in un senso del pubblico come bene comune e un amore
per la fisicità
e la materialità di questo pubblico, e cioè l’ambiente, il territorio, le
città.
L’ambientalismo e' stato per lui esattamente l’espressione di questa etica
pubblica. In
nome di essa ha instancabilmente operato da dirigente pubblico, da politico
ambientalista,
da uomo di cultura.
Ha denunciato le miserie e le stoltezze delle classi dirigenti, che specie
in questo
paese nella degradazione dell’ambiente hanno mostrato tutta la loro
mancanza di senso civico.
Ma ha anche costantemente incalzato le sinistre, criticato senza sconti le
culture industrialiste, le povertà culturali o la meschinita' di
compromessi privi di sguardi sul futuro.
Lo ha fatto con una grande capacita' di conoscenza delle cose concrete,
l’ambiente e le sue leggi;
e con una incessante opera di ricerca e di innovazione di pensiero.
Per questo è stato naturale trovarsi assieme in questi ultimi quindici anni
della sua vita
nell’impresa di rifondare contemporaneamente un ambientalismo e una
sinistra critici. Lui che aveva dato tanto
di se' a Italia Nostra e a Legambiente, si impegnava ora nella costruzione
della Sinistra
Rossoverde e del forum ambientalista. Lui uomo di sinistra si trovava
accanto a
noi di Rifondazione comunista e della Sinistra europea. E questo trovarsi
insieme non
avveniva in momenti saltuari ma in un impegno quotidiano e minuzioso.
Ne' questa nuova impresa della sua vita lo aveva sottratto agli altri
soggetti di impegno di anni
precedenti con cui aveva sempre mantenuto una relazione, convinto che
occorresse
comunque mantenere un profilo unitario.
Anche perche' voleva che provassimo a cambiarlo questo Paese, sprofondato
nel berlusconismo.
Ne sentiva un’urgenza testimoniata da tanti suoi scritti come l’ultimo
libro che
volle uscisse prima delle elezioni con il bellissimo titolo “La risalita”.
Ma questa propensione unitaria si accompagnava a una grande radicalita' e
acutezza
di pensiero. Le sue elaborazioni critiche della globalizzazione e sul
valore dell’economia
locale e dei beni comuni sono tra il meglio della cultura altermondialista in
cui lui si trovava a proprio agio.
Giovenale e' stato anche uno scrittore importante, giornalista, saggista,
uomo di cultura militante, quotidiana, fuori da ogni torre d’avorio.
Un uomo bello che amava il suo paese e la sua città, Roma, e il mondo.
Rendere omaggio a questa tua vita importante e' il minimo che possiamo fare
insieme a dirti che ti vogliamo bene e che continueremo a sentirti vicino
nel fare le cose che ci hai insegnato.

Fabrizio Giovenale se n’è andato, addio ad una mente critica e lucida
Maestro di ottimismo, tra impegno e utopia
di Sabina Morandi

Fabrizio Giovenale se n’e' andato il 21 dicembre scorso, dopo una lunga vita
piena d’affetti, d’impegno e di riflessioni lucide e profonde sulle quali
si sono formate più generazioni di ambientalisti.
La morte però, rende egoisti e chi ha conosciuto Fabrizio non puo' che
sentirsi un po’ più solo, come se fossimo
stati abbandonati dalla guida sicura di una mente ben ancorata alla realtà,
una mente critica e lucida ma anche
in grado di conservare - e dispensare a piene mani - una speranza combattiva.
Personalmente non ho avuto la fortuna di formarmi alla sua scuola come
tanti urbanisti diventati in seguito famosi
- Antonio Cederna o Vezio De Lucia, tanto per citare i più noti - e il
nostro rapporto
è nato giusto qualche anno fa, in seguito alla lettura di alcuni articoli
che lo avevano
spinto a contattarmi. Rassicurata e lusingata da un “tifo” così autorevole,
mi sono volentieri
lasciata coinvolgere in un confronto serrato durante il quale, malgrado la
differenza generazionale, abbiamo scoperto una comunanza di vedute che stupiva
entrambi. Per quanto mi riguarda, ho attinto a piene mani dal suo
ottimismo, un
ottimismo tanto concreto quanto informato e nient’affatto ingenuo.
Ero prevenuta, lo ammetto. Non mi aspettavo in un ottantenne tanta lucidità
e tanta
capacità di tenere il passo con gli eventi. Ogni volta che ci parlavi,
Fabrizio aveva
sempre letto il libro appena uscito, la rivista più contestata, l’articolo
più discusso, e
argomentava con un entusiasmo e un’umilta' che fanno difetto a molti
quarantenni.
Non c’era traccia in lui dell’arroganza che scaturisce dall’aver fatto
tante cose
importanti. Le sue esperienze di politica istituzionale - fu a capo del
servizio studi e
programmazione dei Lavori pubblici durante gli anni d’oro del primo centro
sinistra,
quando le riforme si facevano sul serio - non l’hanno ne' corrotto né
sfiduciato ma sono
probabilmente alla base di quella concretezza che ha continuato a mostrare
in tutti
i suoi scritti. Ai dilettanti di ogni categoria Fabrizio insegnava quella
serietà
che forse solo una formazione scientifica puo' garantire.
Ai professionisti della scienza e dello sviluppo cercava di insegnare
invece che non esistono solo le strade già tracciate e che l’utopia non è
un sogno da lasciare ai poeti ma un impegno, una responsabilità della
politica che non rinuncia a cercare di trasformare l’esistente.
In “La risalita”, libretto pubblicato in fretta e furia da Punto Rosso
durante la scorsa campagna elettorale, Fabrizio aveva individuato alcune
strade per risalire dalla spirale distruttiva che il mondo sembra avere
imboccato. Il
punto di vista di Giovenale, com’è noto, è sempre stato quello rosso-verde,
il che
non significa soltanto poter vantare una militanza durata mezzo secolo ma
avvertire
con forza l’impellenza di una crisi ambientale divenuta sempre piu'
evidente eppure,
paradossalmente, sempre più lontana dagli orizzonti della politica.
Com’e' possibile che la politica abbia rinunciato a ogni tentativo di
regolare l’espansione di una globalizzazione
basata su di una crescita cieca e meramente quantitativa incapace di fare
i conti con i limiti fisici del pianeta? Ma soprattutto - si chiedeva
Fabrizio - come invertire questa tendenza?
Con parole leggere e scrittura colloquiale, Fabrizio metteva, come si dice,
i piedi nel
piatto. Per esempio invitando, nel suo ultimo scritto, a interrogarsi su
alcune questioni
a lungo rimandate, come ad esempio «la deformazione economica della
laicita' illuminista» che ha fortemente influenzato la sinistra anche
perché «la dottrina marxista, che ha guidato l’azione delle sinistre nel
mondo per un secolo e mezzo, si fonda sulla stessa interpretazione
economicista della realta' del capitalismo suo antagonista» ovvero, sempre
per dirla con le sue parole, si e' trattato di «contendersi il manico della
padella per
cuocere la stessa frittata».
Pero', sosteneva Fabrizio, la stagione delle guerre permanenti
insieme all’accelerazione delle crisi ambientali, riporta alla ribalta
quell’intuizione
basata su di un’idea di societa' «intesa come equa distribuzione dei beni
collettivi
quanto come limitazione dei diritti individuali su di essi », limitazione
che pero' va
direttamente in rotta di collisione con quell’idea dello sviluppo
illimitato condivisa
dalla maggior parte della sinistra. Il problema e' che per sperare ancora
nella pace, per uscire
dallo sfruttamento neo-coloniale dei popoli e delle risorse del sud del
mondo, o
anche semplicemente per dar da mangiare a tutti quanti, non ci sono
scorciatoie: bisogna
abbandonare il paradigma dominante e imboccare drasticamente la via della
decrescita, ovvero abbracciare con forza «l’idea di ridurre
i consumi delle risorse terrestri (e cioe' delle materie prime per le
lavorazioni industriali)
che incontrava e incontra l’ostilita' del “popolo di sinistra”».
Lungi dal coltivare, sia per l’Italia che per l’Europa nella sua interezza,
la rincorsa della
competitivita' a ogni costo, Fabrizio suggeriva di abbracciare decisamente
un altro modello, diventarne i campioni
e poi magari “venderlo” altrove.
Come? Premiando ad esempio il “ciclo corto” (ovvero i cicli locali di
produzione e consumo) e favorendo
il rimpiazzo delle risorse mancanti, in primo luogo metalli e petrolio,
attraverso ogni tipo di agevolazione fiscale
che sostenga le iniziative di risparmio energetico - sia nella produzione
che nell’edilizia
- di riconversione e di diffusione delle rinnovabili.
Tutto cio', oltre a prepararci per la crisi alimentare causata dal
simultaneo aumento
della popolazione planetaria e dall’esaurimento dei combustibili fossili
(che sono alla
base dell’agricoltura industrializzata), restituisce sovranità agli Stati e
sottrae il
controllo alle gigantesche multinazionali, le prime beneficiarie della
globalizzazione.
Decrescita, beni comuni, giustizia climatica, ri-localizzazione delle
imprese.
Per quanto poco utilizzate nel nostro paese, queste sono le parole d’ordine
dei movimenti antagonisti di mezzo
mondo, parole che riescono perfino a trovare udienza nella politica
istituzionale, lì dove ha preso il potere una
sinistra non troppo asservita agli interessi delle grandi corporation.
In Italia, dove anche chi aveva la competenza e l’esperienza per fare
questi discorsi - come Fabrizio
- ha imboccato la strada della subalternita' culturale, queste sono ancora
parolacce perfino in casa comunista.
Fabrizio chiamava “sogni” le sue arrischiate panoramiche, aggiungendo che
sognare
e' un diritto e insieme un dovere per chi non s’accontenta dell’esistente e
percepisce
l’orrore di una crisi ecologica terminale.
Volentieri raccogliamo il testimone dalle mani di uno che, questo dovere,
se lo e' accollato fino alla fine.
Anche se, senza di lui, sognare sarà molto più difficile.
Chiamava “sogni” le sue arrischiate panoramiche, aggiungendo che sognare e'
un diritto e insieme un dovere per
chi non s’accontenta dell’esistente e percepisce l’orrore di una crisi
ecologica terminale
Sorprendente la sua capacità di stare al passo con gli eventi.
Non c’era traccia in lui dell’arroganza che scaturisce dall’aver fatto
tante cose importanti.
Le sue esperienze di politica istituzionale non l’hanno ne' corrotto ne'
sfiduciato, ma sono probabilmente alla
base della concretezza che caratterizzava il suo pensiero
Se le risorse scarseggiano la cosa ragionevole da fare è metterle in comune
Per le sinistre un’occasione storica per assumere un ruolo protagonista

Una nuova forma di comunismo contro la Grande Crisi ambientale

Quello che segue è l’ultimo articolo, ancora inedito, inviatoci da Fabrizio
Giovenale.
Lo possiamo davvero considerare come il suo testamento politico.
di Fabrizio Giovenale

Noi preoccupati da sempre del disinteresse della stampa per le questioni
ambientali non ci
possiamo più lamentare.
C’e' stato il “Living Planet Report 2006” del Wwf, poi, prima che quello
finisse nel dimenticatoio, è uscito l’Observer con il Rapporto di Sir
Nicholas Stern commissionato da Blair, e subito appresso Nairobi...
La prima volta, che io ricordi, che l’ambiente è stato per più di una
settimana di seguito su tutti i giornali. Su Liberazione si sono seguiti
gli editoriali di Piero Sansonetti, Ritanna Armeni e Carla Ravaioli mentre
Sabina Morandi forniva il suo quotidiano
contributo di informazioni preziose, e poi le corrispondenze sul vertice in
Africa (ennesimo fallimento, tra l’altro,
con l’ulteriore rinvio di qualunque decisione importante)...
In tutti i casi: a me questa sembrava una buona occasione per far fare un
passo in
avanti al modo di ragionare delle sinistre al riguardo.
Provo a spiegarmi.
Carla Ravaioli notava che da buon economista Nicholas Stern, per esser
certo di richiamare l’attenzione sul suo Rapporto, ha provato a tradurne i
risultati in quattrini.
Al di là dei guasti climatici, degli scioglimenti di ghiacci, delle
desertificazioni avanzanti, dei 200 milioni di
profughi scacciati da terre sempre più inaridite, ha sparato la cifra di
3,68 trilioni di sterline (5,5 trilioni di euro, il 20% del Pil mondiale)
come prezzo per il mancato intervento sul mutamento climatico.
E’ stata quella la cifra strombazzata da tutti i giornali. Evidentemente
lo ha fatto perché è consapevole che quello dei soldi è il solo
linguaggio comune a tutte le sfere di potere del mondo.
Approccio al problema che comporta il rischio però (è questa la critica di
Ravaioli) che
anche le soluzioni vengano ricercate soltanto attraverso strumenti
economici, oltreche'
tecnologici: rifiutando ancora una volta cioè di imboccare la strada più
giusta, che è quella
di sgombrare le nostre menti dai criteri monetari come unico metro per
valutare le cose e
deciderci a perseguire le finalità - dichiaratamente antieconomiciste -
della maggior
possibile riduzione degli sfruttamenti di risorse terrestri nei cicli
correnti di produzione-econsumo.
Vorrei provare adesso a riprendere il filo del discorso da un altro capo
messo in particolare
evidenza da Ritanna Armeni. Quello della dimostrazione data da Stern
dell’impossibilita'
materiale per un solo paese, per importante che sia, di incidere in misura
apprezzabile
N sulla soluzione di questi problemi fintantoché gli altri seguitano a non
darsene per intesi.
La conclusione che ne discende - “o tutti insieme o nessuno” - a me sembra
peggio
che catastrofica. Significa in pratica un invito a tutti a non far niente
di niente, perché
tanto non servirebbe... Probabilmente è per questo che Stern mette avanti
la questione
dei soldi: perché ritiene meno difficile metter d’accordo le grandi potenze
economiche
che i singoli Stati. Cadendo però nell’altro rischio che Ravaioli denuncia:
che dall’interesse
delle multinazionali, che vedono nella questione ambientale soltanto una
nuova occasione di guadagni e di affari,
non possa venire in sostanza niente di buono.
Anche perche', aggiungerei, non è affatto detto che sia più facile metter
d’accordo i colossi economici che le Nazioni.
Ritanna Armeni, nel ricordare le conclusioni di Stern sulla necessità di
«un accordo globale di tutti i paesi del mondo per un
intervento immediato e pianificato», mette in evidenza che questo significa
riconoscere a
tutto l’ambiente fisico planetario il carattere di “bene comune”.
Un’idea di sinistra, d’accordo, positiva teoricamente, ma che non mi sembra
possa
arrivare a nascondere lo sconforto profondo che ci deriva
dall’impossibilità materiale di fare praticamente alcunché
per levarci davvero dai guai.
La convinzione che ormai “non ci resta che piangere”.
Sta di fatto che il genere umano non s’è mai trovato di fronte a
una tragedia futura-prossima di questa portata. Trilioni di sterline a
parte: si tratta, né più
né meno, della sopravvivenza per popoli interi. Sappiamo infatti che c’è
già chi pensa a salvare
sé stesso a spese della distruzione degli altri: c’era anche questa tra le
motivazioni
dei neocons statunitensi nel loro tentativo (fortunatamente fallito, come
stiamo vedendo)
di procedere a suon di bombe alla conquista del mondo. Già nel 1970 il
sociologo Usa Garret
Hardin scriveva: «Se non ce n’è per tutti meglio a noi soli, e che crepino
gli altri»)... Mentre l’idea
solidaristico-socialista del pari diritto di tutti alla vita si scontra
dovunque con difficoltà
continuamente crescenti.
Già, perché qui sta il busillis. Giorgio Ruffolo parlava su La Repubblicadi
«gigantesco problema
di ristrutturazione sociale, riorganizzazione politica e ripensamento etico
della società
umana». E in quell’editoriale del 25/10 Sansonetti metteva in discussione
la natura
stessa del capitalismo, «che porta nel suo dna un enorme definitivo
difetto: la dittatura
della crescita dei consumi e quindi il rischio di rovina del pianeta».
Vedete dov’è che voglio andare a parare? Da quel che ci dice Ritanna Armeni
sull’ambiente fisico
“bene comune” e dalle parole di Sansonetti sulla messa in crisi del
capitalismo, mettendo
insieme due-più-due mi sembra risulti evidente che, se c’è ancora una
qualche speranza di riportare a vivibilità
questa Terra (niente è recuperabile al cento per cento, d’accordo, ma
niente è mai nemmeno
completamente perduto), sta oggi nel realizzare una nuova forma di comunismo
che basi la ricerca di equità nella ripartizione dei beni su motivazioni
profondamente diverse
da quelle passate. Un comunismo lontano, cioè, dal contesto ipotizzato da
Marx di ricchezza
complessiva in aumento, e fondato invece sulla realtà dello squilibrio
crescente fra
popolazione mondiale e risorse, e quindi sull’assioma lapalissiano che se
le risorse scarseggiano
la sola cosa ragionevole e decente da fare è metterle in comune e
ripartirle fra tutti
il più equamente possibile. Come dire che in un momento tanto drammatico di
situazione
di bilico per il futuro del genere umano, la sola speranza di salvezza è
“spostata a sinistra”.
Dipenderà da noialtri - così frastornati ed incerti finora sul nostro
destino - sgombrarci la
testa da qualunque residuo di fisime economiciste mutuate dai nostri
avversari, abbracciare
convinti l’idea della messa in comune del bene unitario rappresentato dalla
biosfera terrestre,
trasmettere ad altri la nostra convinzione, batterci senza sosta e senza
quartiere contro
il mostruoso aggregato degli interessi capitalisti ostinati a non voler
vedere quel che sta
cambiando sotto i loro stessi occhi, ristabilire i valori della solidarietà
interumana, unire
le forze per la ricostituzione ancora possibile della vivibilità della
Terra...
Che dite? Sto vaneggiando? Può darsi. Ma se si riflette sulle difficoltà
che abbiamo incontrato
finora nel definire la nostra idea di rifondazione di un comunismo del
XXI° secolo, se
poniamo mente a quanto si sta rivelando problematico individuare una linea
di pensiero e
di azione per la Sinistra Europea, non è difficile accorgerci che ci si sta
offrendo - se pure in
extremis e quando già quasitutto sembra perduto - una prospettiva di
validità incontestabile.
E che noi soli - attenzione - possiamo portare avanti.
Un compito storico per le sinistre come non l’hanno mai avuto, che ci
piomba addosso
già quasi-fuori dal tempo massimo. Il che lo rende - ci piaccia o meno -
ancor più impegnativo.
Chiaro che questo è un discorso che va approfondito e verificato portandolo
avanti. Troppe
cose ci sarebbero ancora da dire. Limitiamoci a una. Che per tentar di
risolvere la questione
ambientale le “terapie morbide” non bastano più. Beninteso: sperimentare
energie
alternative, razionalizzare edilizia e trasporti, riciclare i rifiuti e
quant’altro sono cose che
vanno fatte. E’ quel che hanno cominciato a capire (Ravaioli ricorda)
perfino i potentati
economici pronti a metter le mani sul nuovo business-ambiente.
Ma non è questo (quantomeno non questo soltanto) che serve.
E’ produrre di meno, è consumare di meno, è ritornare per certi aspetti a
condizioni pre-industriali di parsimonia nei comportamenti.
E’ adattarci definitivamente all’idea (ricordate la polemica dell’anno
scorso su
queste pagine?) di sostituire un sistema basato sui consumi crescenti con
un sistema industrial-
produttivo “in decrescita”.
In aperto contrasto con gli interessi economici dominanti nel mondo e con
la mentalita'
che c’è dietro. E’ dedicare d’ora in avanti gran parte delle forze
lavorative mondiali al risanamento
ambientale: rimboschimenti, risanamenti idrogeologici, ripuliture e
quant’altro.
In altre parole: è rifiutare una volta per tutte e per sempre di lasciarci
guidare da criteri di
competitività e concorrenza.
E’ mettere realmente alla base di tutte le nostre scelte politiche la
solidarieta' fra gli esseri umani. E’ batterci contro la rete oppressiva e
violenta dei potentati economici che detengono i massimi poteri nel mondo.
Cose da far tremare soltanto a pensarle, d’accordo. Ma che rappresentano
per la sinistra
(di questo faremo bene a convincerci, per quanto difficile ed ostico sia)
la più grande occasione
storica che le si sia mai presentata per assumere il ruolo protagonista in
una travagliatissima
fase della vicenda umana. Senza cadere in eccessi di catastrofismo né di
retorica:
a me sembra che ci si prospetti - se saremo capaci di stare all’altezza dei
problemi
reali - la possibilità di dedicarci a una missione certamente drammatica,
ma forse decisiva per la prosecuzione dell’avventura umana su questo pianeta.
Le “terapie morbide” non bastano piu'.
Serve produrre di meno, consumare di meno, in aperto contrasto con gli
interessi economici dominanti e con la mentalità che c’è dietro