ineressante scritto di Adorno...l'ho ricopiato nel blog che ho aperto
NTo
la parte che segue, l'ho presa dal capitolo "musica con le dande", che
Adorno scrisse in riferimento al "secondo congresso internazionale dei
compositori e dei musicologi", organizzato a Praga dal Sindacato dei
compositori cecoslovacchi. A. dice inoltre: […] proprio perché come
rappresentante della musica nuova ho dato rilievo con vigore alla sua
inevitabile problematica sociale, mi sento obbligato ad oppormi
all'abuso di simili motivi al servizio della reazione e
dell'oppressione, anche quando sono mimetizzati con un vocabolario
progressivo.
[…] Più avanti si obietta che la libertà dell'artista è già in se
stessa ideologia, e che proprio i capolavori autentici sono in un
certo senso sempre nati sotto il controllo sociale, per la volontà di
un commissionario o sotto l'imposizione del mercato: ma questo è un
sofisma. Anche se le cose fossero veramente sempre andate così male,
questo non giustificherebbe di dover mantenere coscientemente in vita
ciò che è falso e cattivo. Inoltre questa obiezione vela differenze
sostanziali: la cerchia limitata dei commissionari feudali avanzava
almeno la pretesa della competenza, riconoscendo così l'indipendenza
dell'artista inteso come artigiano che "ha un mestiere in mano"; il
mercato anonimo del periodo borghese, poi, ha lasciato all'artista uno
spazio sufficiente per deviare dalla linea, onorando addirittura
questa deviazione come suggello di genialità.
Invece la minacciosa ordinanza commissariale è incomparabilmente meno
conciliabile con le buone intenzioni dell'artista di quanto non lo
fosse l'ingerenza del conte che insisteva per l'uso dei corni
naturali, o il successo di un'opera della tradizione italiana alla sua
prima esecuzione, in cui il compositore e l'ascoltatore non se
l'intendevano poi tanto male. L'indiscutibile elemento dell'apparenza
nella libertà artistica non legittima l'intenzione di scacciare
dall'arte tutto ciò che richiama gli istinti svincolati e la vera
libertà. Oggi la cosiddetta giovane generazione è molto più minacciata
dal conformismo, da una testarda aspirazione di sicurezza, dalla
sciatteria e dalla prontezza alla connivenza di quanto non lo sia
dallo spettro del "soggettivismo estremo", che il proclama scongiura
minacciosamente: sarebbe piuttosto necessario educare i compositori a
tutto ciò che esso combatte con tanto fervore. Ma il proclama sta
dalla parte del più forte, e non fa che sfondare una porta aperta.
Potrebbe benissimo entrare in un fronte popolare formato non solo
dagli alfieri angosciati dalle idee e delle emozioni progressive, ma
anche dalla borghesia filistea, che non crede ai propri occhi davanti
a questo capovolgimento delle cose, oppure se la ride sotto i baffi.
Il bonario ammonimento a evitare gli eccessi artistici, la ricomparsa
dell'appello al sano sentire popolare, che sotto il fascismo esprimeva
la volontà di coloro che hanno onnubilato i popoli, si risolve nella
dimostrazione di una violenza la quale non tollera più nulla che già
non porti il suo marchio: il popolo è oppio per il popolo.
Dissonanze, di Theodor W. Adorno (prima edizione tedesca "dissonanzen" del 1958)