***
Pubblicato Sabato, 16 Dicembre 2006 sul sito palestinese-israeliano
dell´Alternative Information Centre (AIC)
Jonathan Cook è scrittore e giornalista che vive a Nazareth. E´ l´autore
dell´imminente "Sangue e religione: lo smascheramento dello stato
ebraico democratico", pubblicato dalla Pluto Press e distribuito negli
Stati Uniti dalla University of Michigan Press. Il suo sito è:
www.jkcook.net
Traduzione a cura di Patrizia Viglino,
www.informationguerrilla.org
***
Il problema che si trova a dover affrontare la leadership palestinese,
mentre si sforza di portare un qualche aiuto alle milioni di persone che
vivono nei territori occupati, per alleviare le loro sofferenze
collettive, può riassumersi in poche parole. Come con un bambino
disobbediente che deve soltanto chiedere "scusa" per poter uscire dalla
camera dove era stato messo in punizione, il governo di Hamas deve solo
dire "Noi riconosciamo Israele", e probabilmente aiuti e benevolenza
inonderanno la Cisgiordania e Gaza.
Questo, alla fine, era il succo del recente discorso del primo ministro
israeliano Ehud Olmert durante una visita nel Negev, dove aveva
suggerito l´idea che la mano del suo paese era tesa oltre le sabbie,
verso le masse affamate di Gaza - solo se Hamas si fosse pentito.
"Riconosceteci e siamo pronti a parlare di pace", era sottinteso.
Certamente il popolo palestinese è stato perversamente punito per aver
fatto la sua scelta democratica all´inizio di quest´anno, eleggendo il
governo Hamas che Israele e i governi occidentali al potere disapprovano:
- un blocco economico è stato imposto riducendo alla fame i
finanziamenti dell´Autorità Palestinese per pagare i servizi e
stipendiare la sua ampia forza lavoro;
- milioni di dollari in tasse appartenenti ai palestinesi sono stati
illegalmente trattenuti da Israele, esacerbando la crisi umanitaria;
- il blocco fisico di Gaza rafforzato da Israele ha impedito ai
palestinesi di esportare i loro prodotti, soprattutto coltivazioni
deteriorabili, e di importare beni essenziali come medicine e cibo;
- gli attacchi militari israeliani hanno danneggiato le infrastrutture
vitali a Gaza, inclusi il sistema elettrico e idrico, così come hanno
ucciso in modo indiscriminato i suoi abitanti;
- migliaia di famiglie sono state divise perché Israele ha usato il
pretesto del suo scontro con Hamas per non rinnovare i visti dei
palestinesi con passaporto straniero.
La parola magica "vi riconosciamo" potrebbe porre fine a tutte queste
sofferenze. Allora perché il loro primo ministro Ismail Hanyeh, ha
giurato la scorsa settimana che mai l´avrebbe pronunciata? Hamas è così
pieno di odio e di ribrezzo per Israele quale stato ebraico da non poter
fare una semplice dichiarazione di buona volontà?
E´ facile scordare che, dal momento che questa situazione si è
drammaticamente deteriorata di recente, i problemi dei palestinesi non
sono iniziati con le elezioni di Hamas. L´occupazione israeliana dura da
quattro decenni, e nessun leader palestinese è mai stato in grado di
strappare a Israele la promessa di uno Stato realmente sovrano in tutti
i territori occupati: non i mukhtars, gli arrendevoli leader locali che
per decenni sono stati gli unici rappresentati cui era permesso parlare
nell´interesse dei palestinesi dopo che la loro leadership nazionale era
stata espulsa; non l´Autorità Palestinese sotto la secolare leadership
di Yasser Arafat, che ha fatto ritorno nei territori occupati a metà
degli anni Novanta dopo che l´OLP aveva riconosciuto Israele; non la
leadership del suo successore, Mahmoud Abbas, il "moderato" che per
prima cosa ha chiesto la fine dell´Intifadah; e ora non i leader di
Hamas, nonostante abbiano ripetutamente proposto una tregua di lunga
durata (hudna) come prima passo per costruire la fiducia.
In modo simile, pochi palestinesi dubitano che Israele non continuerà a
fortificare l´occupazione - così come ha fatto durante il supposto
processo di pace negli anni di Oslo, quando il numero dei coloni ebrei
nei territori occupati si è duplicato - anche se Hamas viene cacciato e
un governo di unità nazionale, di tecnocrati o anche di Fatah viene
messo al suo posto.
C´e molto altro nel fatto che Israele ottenga questa piccola concessione
da Hamas che molti osservatori colgono.
Una dichiarazione che dica che Hamas riconosce Israele significherebbe
molto più che andare incontro alle condizioni di Israele per i
negoziati; potrebbe significare che Hamas si è messo nella stessa
trappola che era stata precedentemente allestita per Arafat e Fatah.
La trappola è disegnata per assicurare che nessuna soluzione pacifica al
conflitto sia possibile.
Raggiunge i suoi obiettivi in due modi.
Primo, come è già stato inteso, perlomeno da chi è stato più attento, il
riconoscimento da parte di Hamas del "diritto di esistere" di Israele
potrebbe effettivamente significare che il governo palestinese ha
pubblicamente abbandonato i suoi obiettivi di lottare per creare uno
stato Palestinese autonomo.
Questo perché Israele si rifiuta di demarcare i suoi confini futuri,
lasciando aperta la domanda su quale sia l´ampiezza della "sua
esistenza" che chiede ad Hamas di riconoscere. Sappiamo che nessuno tra
i leader israeliani parla di un ritorno di Israele entro i confini
precedenti alla guerra del 1967, o di qualcosa di molto simile.
Senza il ritorno ai confini precedenti al 1967 (più una sostanziale
iniezione di buona volontà da parte di Israele per assicurare un non
impedito passaggio tra Gaza e la Cisgiordania) non esiste alcuna
possibilità che possa emergere uno stato palestinese autonomo.
E, certamente, non ci sarà nessuna buona volontà in futuro. Ogni leader
israeliano si è rifiutato di riconoscere i palestinesi, prima come
popolo e ora come nazione. E con i modi tipicamente ipocriti con cui
l´Occidente si rivolge ai palestinesi, nessuno ha mai suggerito che
Israele si impegni in questo riconoscimento.
Infatti, i governi israeliani sono stati glorificati per il loro rifiuto
di estendere ai palestinesi il medesimo riconoscimento che chiedono per
sé stessi. La famosa Golda Meir, primo ministro laburista, disse che i
palestinesi non esistono, aggiungendo nel 1971 che "i confini sono
determinati da dove vivono gli ebrei, non da un disegno in una carta
geografica". Contemporaneamente ha ordinato che la Green Line, il
confine israeliano fino alla guerra del 1967, venisse cancellato da
tutte le mappe ufficiali.
Questo retaggio ha occupato le prime pagine dei giornali la scorsa
settimana quando il ministro dell´educazione, il dovish [ndt, moderato,
in gergo israeliano] Yuli Tamir, ha causato una tempesta emettendo una
circolare che reintroduceva la Green Line nei testi scolastici
israeliani. Ci sono state ampie proteste contro la sua "ideologia di
estrema sinistra" da parte di politici e rabbini.
Secondo gli insegnanti israeliani, il cambiamento dei libri di testo che
mostrano nuovamente la Green Line - o che evitano i riferimenti di
"Giudea e Samaria", i nomi biblici della Cisgiordania, o che includano
le città arabe nelle carte geografiche di Israele - sono pressoché zero.
Gli editori privati che stampano libri di testo potrebbero rifiutarsi di
incorrere in ulteriori costi per la ristampa delle carte geografiche, ha
detto il professor Yoram Bar-Gal, preside di geografia all´Università di
Haifa.
Sensibile al danno che lo scontro potrebbe produrre all´immagine
internazionale di Israele, e consapevole che la direttiva di Tamir non
verrà mai applicata, Olmert ha acconsentito di principio al cambiamento.
"Non c´è nulla di sbagliato nel marcare la Green Line", ha detto. Ma, in
una dichiarazione che ha reso del tutto vuota la sua accondiscendenza,
ha aggiunto: "Ma bisogna enfatizzare che la posizione pubblica del
governo e dell´opinione pubblica respinge il ritorno ai confini del 1967".
Il secondo elemento della trappola è un po´ meno facile da capire.
Riguarda lo strano modo che ha Israele di formulare le sue richieste ad
Hamas. Israele non chiede semplicemente di "riconoscere Israele", ma di
"riconoscere il diritto di esistere di Israele". La differenza non è
solo una questione di semantica.
Il concetto di uno stato che ha diritti non è solo strano ma alieno alla
legge internazionale. La gente ha diritti, non gli stati. Ed è
precisamente questo il punto: quando Israele chiede che il suo "diritto
a esistere" venga riconosciuto, il sottotesto è che non stiamo parlando
del riconoscimento di Israele come un normale stato nazionale ma come lo
stato di un popolo specifico, gli ebrei.
Nel chiedere che venga riconosciuto il suo diritto di esistere, Israele
si sta assicurando che i palestinesi acconsentano che il carattere di
Israele come stato esclusivamente ebraico venga inciso nella pietra, uno
stato che privilegia i diritti degli ebrei al di sopra di tutte le altre
etnie, religioni e gruppi nazionali presenti all´interno dello stesso
territorio. La questione su quali siano le conseguenze di un tale Stato
è stata ampiamente commentata sia in Israele che in Occidente.
Per molti osservatori, significa semplicemente che Israele deve
rifiutarsi di acconsentire al ritorno di milioni di palestinesi che
stanno languendo nei campi profughi della regione, le cui precedenti
abitazioni in Israele, sono oggi espropriate per il beneficio degli
ebrei. Se gli fosse concesso di tornare, la maggioranza ebraica di
Israele potrebbe venire erosa in una notte e non potrebbe più chiamarsi
stato ebraico, se non nello senso in cui l´apartheid nel Sud Africa era
uno stato bianco.
Questa conclusione è stata apparentemente accettata da Romano Prodi, il
primo ministro italiano, dopo un giro di lobbying nelle capitali europee
da parte della telegenica ministra degli esteri israeliana, Tzipi Livni.
Secondo il Jerusalem Post, Prodi sta dicendo in privato che Israele
dovrebbe ricevere garanzie dai palestinesi che il suo carattere ebraico
non verrà mai messo in discussione.
I rappresentanti israeliani si stanno rallegrando per quello che pensano
sia la prima spaccatura nel sostegno dell´Europa alla legge
internazionale e ai diritti dei profughi. "E´ importante portare
chiunque a fare lo stesso", ha dichiarato un dirigente israeliano sul
Jerusalem Post.
Ma in verità le conseguenze del riconoscimento di Israele come stato
ebraico da parte della leadership palestinese scendono molto più in
profondità rispetto alla questione del futuro dei profughi palestinesi.
Nel mio libro "Sangue e Religione", ho delineato queste dure conseguenze
per i palestinesi, sia nei territori occupati che per i milioni di
palestinesi che vivono in Israele come cittadini, ipoteticamente con gli
stessi diritti dei cittadini ebrei.
La mia tesi è che la necessità di mantenere il carattere ebraico di
Israele ad ogni costo, sia il motore del conflitto con i palestinesi.
Nessuna soluzione è possibile fin tanto che Israele insiste nel
privilegiare la cittadinanza degli ebrei sugli altri gruppi, e nel
distorcere la realtà territoriale e demografica della regione, per
assicurarsi che le statistiche continuino a crescere a favore degli ebrei