De Juana sequenza di aggressioni ai suoi diritti.*
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Nella documentazione precedente indicavamo tutte le manovre che si erano  
portate a termine per impossibilitare l'accesso alla libertà al  
prigioniero politico basco Iñaki de Juana. Questa situazione lo portò ad  
essere protagonista di uno sciopero della fame di 63 giorni. Così, il  
passato 26 di ottobre si celebrò il processo nell'Udienza Nazionale nella  
quale il prigioniero basco affrontava una richiesta di 96 anni per un  
delitto di minacce e di integrazione in organizzazione armata per due  
articoli di opinione che inviò al periodico GARA. Durante il giudizio la  
procura considerò che aveva scontato già una condanna per integrazione,  
per cui respinse questa tipologia e ridusse la richiesta a quattro anni di  
condanna per un "delitto di apologia" o nel suo caso ad un "delitto di  
minacce" per il quale potrebbe venire condannato a 13 anni di prigione.
Da parte sua, la difesa sollecitò l'assoluzione di De Juana poiché "le  
accuse non hanno potuto essere comprovate nel giudizio" ed aggiunse che  
quello che è applicato all'abitante di San Sebastián è "il diritto penale  
del nemico", nel quale "non si giudicano i fatti, bensì la persona". Iñaki  
de Juana spiegò durante il giudizio che la finalità dei due articoli, era  
"una pura critica politica" e "denunciare e trasmettere la situazione di  
ingiustizia" che soffrono i carcerati politici baschi all'opinione  
pubblica. Dopo aver dichiarato che non capiva dove può vedersi la minaccia  
nei testi, ricorse al diritto ad esercitare la libertà di espressione.
Giorni dopo veniva resa pubblica la sentenza, per la quale si condannava a  
12 anni e 7 mesi di prigione e ad altre pene accessorie per un delitto di  
minacce terroristiche, delitto che richiede per la sua commissione tra  
altre cose che la minaccia sia seria, reale, concreta, dipendente della  
volontà dell'autore. etc. e come elemento finalizzato che abbia come fine  
sovvertire l'ordine costituzionale o alterare gravemente la quiete  
pubblica. Niente di questo può apprezzarsi nei testi. È per questo, che si  
può capire che in Spagna, come a Guantánamo, ci sono situazioni che  
ricordano tempi inquisitori e che danno l’esempio di quello che è il  
diritto penale del nemico che si sostenta sull'odio e la vendetta.
In questa situazione di ingiustizia assoluta, Iñaki de Juana inizia il  
giorno 7 di novembre un nuovo sciopero della fame, da aggiungere a quello  
di 63 giorni che poche settimane prima si era concluso con la perdita di  
24 chili.
All'inizio della protesta, De Juana avrebbe sollecitato per iscritto alla  
direzione del centro penitenziario di Aranjuez di "essere sottoposto ad un  
regime di isolamento e non ricevere visite." Queste fonti assicurano che  
questa richiesta ha l'oggetto di "evitare che si insinui l'idea che  
disattende lo sciopero di fame", come dissero alcuni quotidiani spagnoli.
Pochi giorni dopo l’Istituzione Penitenziaria domanda all'Udienza  
Nazionale che si controlli lo stato di salute del prigioniero basco. Un  
atto permette di realizzare controlli medici contro la sua volontà,  
compreso il ricovero ospitale, sul carcerato Iñaki de Juana, come  
"l'adozione di quante misure consideri necessarie di controllo personale  
interno." I magistrati Manuela Fernández, Paloma Pastor e Ricardo  
Rodríguez riconoscono nel proprio atto che si impongono limitazioni  
all'esercizio dei diritti fondamentali con questa misura di De Juana. Il  
venerdì 24 Novembre, Iñaki de Juana fu ricoverato nel centro ospedaliero  
Dodici Ottobre dopo varie prove realizzate di nuovo contro la sua volontà.
De Juana cominciò questo secondo sciopero della fame con 70 chili di peso  
e nei primi 20 giorni di sciopero ha perso tra otto e nove chili.
Questa è l'ultima risorsa del carcerato basco per protestare per  
l'evidente aggressione orchestrata contro di lui, denunciare la frenetica  
fabbricazione di accuse per evitare a tutti i costi la sua scarcerazione  
ed in definitiva per rivendicare il suo diritto alla libertà. In questo  
momento Iñaki ha bisogno di tutta la solidarietà. Dobbiamo proteggere la  
sua integrità fisica e reclamare il suo ritorno in libertà.
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Irabazi arte!
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