il manifesto 9.12.06
 
 Perché mi dimetto dall'Acquedotto pugliese
 Riccardo Petrella
 Partecipare alla ripubblicizzazione dell'acqua in Puglia è stata la
 motivazione principale per accettare l'invito di assumere la presidenza
 dell'Acquedotto pugliese, fattomi dal presidente della regione Puglia,
 Nichi Vendola, appena fu eletto nell'aprile 2005. Accettai perché si
 trattava di un'opportunità unica e di una grande sfida politica, sociale e
 umana, percepita e valutata come tale anche dalla stragrande maggioranza
 dei «militanti per l'acqua pubblica», in Italia e altrove. Grandi furono,
 altresì, le attese e le speranze suscitate. Non dico che l'opportunità , 18
 mesi dopo, sia diventata una sfortuna, ma è corretto dire che le promesse
 si sono rivelate, per il momento, illusorie.
 Nel contesto italiano, la ripubblicizzazione dell'acqua significava, e
 significa ancora oggi, una serie di scelte precise sul piano politico,
 sociale, istituzionale, economico, gestionale
 Ripubblicizzare l'acqua significa anzitutto che, conformemente a quanto
 affermato nel programma dell'Unione, non solo la proprietà delle
 infrastrutture e delle reti deve essere pubblica ma lo deve essere anche la
 gestione dei servizi idrici. Se la gestione è stata affidata a un soggetto
 di natura giuridica privata, quale una società per azioni , come è il caso
 dell'Acquedotto pugliese (Aqp SpA), ripubblicizzare significa dare la
 gestione dell'acqua a un soggetto /(impresa, ente o consorzio) di natura
 giuridica pubblica. La regione Puglia, proprietaria quasi esclusiva del
 capitale dell'Aqp SpA (la Basilicata ne possiede il 12,7%) ha
 sistematicamente rifiutato di discutere dell'abbandono della SpA
 considerando la questione d'importanza secondaria, vuoi oziosa, e stimando
 che la forma più efficace di ripubblicizzazione consiste nel far funzionare
 bene l'acquedotto- colabrodo dando priorità assoluta alla riduzione delle
 perdite. Non ho mai capito perché la questione dello statuto dell'Aqp debba
 essere considerata contraddittoria e inibitoria rispetto all'obiettivo,
 necessario e urgente, del risanamento radicale dell'Acquedotto.
 Ripubblicizzare l'acqua significa, in secondo luogo, adottare le misure
 pratiche che concretizzano , «la gratuità» del diritto all'acqua per tutti,
 cioè la presa a carico da parte della collettività attraverso la fiscalità
 generale ( come è il caso, giustamente, per il costo dell'esercito) dei 50
 litri pro capite al giorno. La legislazione attuale non lo consente. La
 soluzione provvisoria da me proposta , consistente nel creare in Puglia un
 Fondo sociale per il diritto all'acqua che avrebbe permesso, di fatto, di
 accordare «gratuitamente» i 50 litri, è stata rigettata senza dibattito.
 Ripubblicizzare significa, in terzo luogo, una politica dell'acqua centrata
 su un governo pubblico degli usi e sul risparmio e non solo sulla politica
 degli investimenti per l 'aumento di un'offerta economicamente «razionale»
 e l'ammodernamento e espansione delle grandi infrastrutture. Infondere
 questa nuova centralità nell'attuazione del piano triennale d'investimenti
 2003-5 poi 2004-6, non é stato possibile per l'indisponibilità «culturale»
 dell'istituzione regionale. Il piano «Goccia d'oro» da me proposto
 (ordinato su tre assi: riduzione delle perdite, priorità al risparmio,
 partecipazione ) per quanto accolto con favore dall'AATO e dalla Autorità
 di Bacino, non ha superato l'esame discreto dell'ufficio presidenziale
 regionale.
 In quarto luogo, ripubblicizzare implica una scelta innovatrice forte: lo
 scollamento progressivo del finanziamento del servizio idrico dalla
 dipendenza dai mercati di capitale nazionale e internazionale privati. Nel
 2004 l'Aqp SpA si è indebitato sui mercati finanziari internazionali con un
 prestito obbligazionario di 250 milioni di euro. Per diversi motivi, si
 sarebbe potuto rinegoziare il prestito e tentare con cautela, in via
 sperimentale, la fattibilità di nuovi meccanismi pubblici di finanziamento
 regionale e nazionale dei servizi pubblici «locali», in alternativa alla
 tendenza oggi prevalente in favore di un capitalismo municipale e
 interregionale finanziario multiutilities. Niente da fare.
 Infine ripubblicizzare significava e significa un governo dell'acqua
 partecipato dei cittadini, che deve tradursi, se si vuole uscire dalle
 enunciazioni retoriche, anche in una gestione trasparente e innovatrice
 dell'azienda. L'unica cosa che sono riuscito a ottenere è che nei documenti
 ufficiali dell'Aqp non si parli più di clienti ma di cittadini, perlomeno
 di utenti. Sono riuscito altresì a bloccare la riconduzione di una Carta
 dei servizi che non rispondeva alla visione «pubblica» per la quale ero
 stato nominato. Per il resto, nessuna novità. Non si è mai discusso di
 consulta dei cittadini, di coinvolgimento dei cittadini. La gestione
 interna dell'Acquedotto resta orientata da una cultura autoritaria e da
 pratiche tecnocratiche che non hanno trovato nella regione una vera
 opposizione, almeno per quanto abbia potuto constatare personalmente, anche
 nel caso del recente licenziamento brutale e ingiustificato, dopo più di 12
 anni di servizio irreprensibile, per quanto io ne sappia, di un alto e
 stimato dirigente dell'acquedotto.
 Quanto sopra non mira a identificare colpe e colpevoli (serve a poco), né a
 focalizzarsi sul passato. A mio parere le ragioni di fondo che hanno
 permesso che i «fatti» riportati accadessero. sono da imputare
 a) alla «tirannia dei rapporti di potere» tra i partiti della maggioranza
 regionale. Le componenti principali di questa maggioranza non hanno mai
 cessato di affermare la loro preferenza in favore di una concezione
 privatista efficientista, aperta al capitale finanziario privato e alla
 concorrenza sui mercati nazionali; europei e internazionali secondo il
 modello Hera ed Acea;
 b) alle «logiche di opportunismo pragmatico» che prevalgono allorché anche
 le forze progressiste conquistano il potere. Queste forze hanno accettato
 di considerare l'acqua, malgrado tutto, come un bene economico nel senso e
 nel quadro imperante dell'economia capitalista di mercato. Pertanto hanno
 accettato di trattarla come proprietà «regionale» e, quindi, oggetto di
 negoziati di scambio mercantile bilaterale. Fra le tante cose che meritano
 da parte delle forze al governo un esame attento e rigoroso è il fatto che
 i dirigenti delle regioni del meridione hanno aderito all'idea di negoziare
 sulla quantità d'acqua che ogni regione può e è disposta a trasferire alle
 altre regioni, mediamente, il pagamento di un prezzo dell'acqua grezza. Se
 questa «gestione mercantile» dell'acqua non è abbandonata, ho paura che la
 guerra dell'acqua scoppierà in Italia;
 c) alle grandi difficoltà obiettive incontrate in ragione dello
 spappolamento operativo in cui si è trovato l'Aqp SpA negli ultimi anni. E'
 certo che non è in un paio di anni che si riesce a cambiare quel che è
 stato e dimora l'Acquedotto pugliese nella vita e nell'economia della Puglia;
 d) al peso d'un certo personalismo presidenziale, per molti versi
 comprensibile, ma che richiede alcune correzione;
 e) e, last but not least, ai miei propri limiti, agli inevitabili errori di
 giudizio commessi.Non ho dato, per esempio, l'importanza necessaria alla
 creazione di un'equipe «presidenziale» capace di meglio conoscere il
 funzionamento interno all'Acquedotto e assicurare i necessari legami
 quotidiani con l'istituzione regionale in tutte le sue componenti
 determinanti. Ho peccato, in un certo senso, di ingenuità e di eccessiva
 fiducia negli altri.
 La comprensione delle ragioni è indispensabile per riprogettare le azioni
 per il futuro e tentare di contribuire al perseguimento della
 ripubblicizzazione dell'acqua in Italia e altrove, nel quadro anche della
 lotta per la res publica. Parteciperò attivamente alla campagna per
 l'approvazione del disegno di legge d'iniziativa popolare per l'acqua e
 alla preparazione e tenuta dell'Assemblea mondiale degli eletti e dei
 cittadini per l'Acqua (Amece) che si terrà a Bruxelles dal 18 al 20 marzo
 2007 nei locali del Parlamento europeo. Ancor più che nel passato, penso
 che sia necessario valorizzare la formazione e l'educazione ai Beni comuni
 concentrando gli sforzi maggiori sull'Università dei Beni comuni.
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