[NuovoLab] Dichiarazioni Placanica: manifesto e liberazione …

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Aihe: [NuovoLab] Dichiarazioni Placanica: manifesto e liberazione 30.11.06
il manifesto

Genova 2001 Il racconto del carabiniere che sparò in Piazza Alimonda
«Ora la commissione sul G8». Ma l'Unione si divide
Roma
Rifondazione comunista è la più convinta. «Bisogna indagare sull'inquietante tessuto di menzogne da parte delle forze dell'ordine nei confronti dell'omicidio di Carlo Giuliani al G8 di Genova» dice il capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena. Graziella Mascia del Prc, prima firmataria di una delle due proposte di legge, si dice addirittura ottimista: «Sono convinta che ci siano i margini per fare la commissione in tempi rapidi. La fronda all'interno dell'Unione che si è sempre detta contraria è sempre meno consistente. Credo che la commissione potrebbe cominciare a discutere della sua istituzione già dalla prossima settimana». Il resto della coalizione non fa i salti di gioia. Tolta la sinistra radicale - al cui interno le posizioni sono tutt'altro che univoche - chi sarebbe disponibile a parlare di quel che è accaduto a Genova nel luglio del 2001, come un pezzo dei Democratici di sinistra, ieri si guardava bene dal dirlo pubblicamente. Molto più forte parlano i contrari, a cominciare da Angelo Piazza della Rosa nel pugno e dal capogruppo dell'Italia dei valori Massimo Donadi che si fa un vanto di essere stato «da sempre contrario ad una inchiesta che si occupi di «mettere di mettere sotto accusa le forze dell'ordine del nostro Paese nel loro complesso».
Qualunque sarà il destino della commissione di inchiesta sul G8, le dichiarazioni fatte su Calabria ora da Mario Placanica aiuteranno ben poco a sciogliere i nodi di quel che è accaduto il 21 luglio in piazza Alimonda. Da quando ha cominciato a rilasciare interviste a scadenze fisse il carabiniere che sparò contro Carlo Giuliani ha cambiato più volte versione (l'ultima la vedete qui sotto). Ora dice di non essere lui ad uccidere quel giovane che si parò davanti al defender in cui era chiuso, ma non ha mai azzardato ipotesi su chi possa averlo fatto. Anzi più Placanica parla, più i punti oscuri su quel che accadde in piazza Alimonda aumentano. Haidi Giuliani è convinta che non abbia detto tutto quel che sa, che possa raccontare ancora e che per questo dovrebbe essere protetto da una scorta: «Se è vero, come dice, che non ha ucciso lui Carlo perché ha sparato in aria è stato indotto a mentire per coprire il vero assassino su quella camionetta», spiega. Ma anche sulla dinamica che ha raccontato all'epoca dell'inchiesta sul G8, facendosela confermare dal collega Raffone, i conti non tornano. I due dissero che Placanica si era accucciato sopra a Raffone per proteggerlo e invece se fosse vero che il giovane carabiniere calabrese sparò verso l'alto senza guardare dove andavano i colpi sembra difficile credere che il colpo che uccise Giuliani sia stato esploso dall'alto e non dal basso.
Il terreno è scivoloso e lo sarà ancora di più se davvero si discuterà dei compiti della commissione parlamentare di inchiesta sul G8. Oltre al testo firmato da Graziella Mascia e dai parlamentari dell'Unione la commissione Affari costituzionali ha di fronte un testo dei comunisti italiani che propongono di discutere anche delle violenze di piazza da parte dei «black block». Su una linea non troppo diversa si muove l'Italia dei valori, contraria all'inchiesta ma disposta ad accettarla solo se lavorerà «sulle violenze e le devastazioni poste in essere dai cosiddetti black block e con finalità che siano comunque quelle proprie della politica e non della magistratura ordinaria». E poi c'è il fronte di quelli contrari comunque, a cominciare dal leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini, passando per il presidente della commissione Affari costituzionali, Violante, per finire con il presidente del Senato Franco Marini che giusto una settimana fa ha tagliato netto: «Vedrei bene che questo problema venisse chiuso».
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Chi ha ucciso Carlo non era nel Defender»
Rifondazione, Pdci e Verdi tornano alla carica e chiamano in causa il capo della polizia De Gennaro: il racconto del militare è inquietante, bisogna fare chiarezza. Contraria l'Italia dei valori. E l'Ulivo sta a guardare La nuova verità di Mario Placanica sull'uccisione di Carlo Giuliani: io ho sparato in aria, a uccidere è stato qualcuno dall'esterno della camionetta. Quando sono rientrato in caserma mi hanno festeggiato così: benvenuto tra gli assassini
Catanzaro
«Killer, benvenuto tra gli assassini». Così i colleghi accolsero Mario Placanica subito dopo che, il 20 luglio 2001 in piazza Alimonda, un proiettile uccise Carlo Giuliani. Dicevano «morte sua vita mia» e cercavano di convincerlo che era stato lui ad ammazzarlo. «Ma io ho esploso due colpi in aria, non ho mirato». Placanica, il carabiniere indagato per la morte di Giuliani, torna a parlare di quanto avvenne al G8 di Genova. Racconta quei momenti a bordo del Defender da cui, si disse, partì il colpo mortale. Parla. E fornisce una versione diversa da quella ufficiale. Non è la prima, anche se stavolta accusa i carabinieri e si dice disposto a collaborare con la famiglia Giuliani. E racconta. Di quanto «fossero contenti in caserma», dei colleghi che «hanno fatto festa e cantavano canzoni su Carlo». Erano tanto soddisfatti del suo lavoro che gli hanno regalato un basco del battaglione Tuscania. Oggi Placanica ammette di «non credere» alla storia del proiettile deviato da un calcinaccio e che colpì Carlo Giuliani alla testa, quella che gli ha consentito di non essere giudicato. «E' un film», dice, «chi ha sparato e ucciso era sicuramente all'esterno della nostra camionetta». Parole da prendere col beneficio dell'inventario ma che potrebbero riaprire il capitolo dell'uccisione del giovane no global, dopo l'inchiesta avviata dal pm Silvio Franz e archiviata dal Gip Elena Daloiso. Spiega Placanica: «Quel giorno ci avevano detto di stare attenti. Molti di noi erano carichi e non so se per l'uso di qualche droga. Sta di fatto che c'era una certa agitazione».
Il giovane ausiliario calabrese partecipò alle cariche sul lungomare. Lì venne dato alle fiamme un blindato dei carabinieri. Lui sparava lacrimogeni per disperdere la folla. Ma per il maggiore Cappello non stava facendo un buon lavoro. «Mi prese il lanciagranate - ricorda - perché disse che non ero capace. Stavo sparando a parabola, come mi è stato insegnato. Lui incominciò a fare fuoco ad altezza uomo, colpendo in faccia le persone. Cose allucinanti».
E' a questo punto che Placanica si sente male. Viene accompagnato verso piazza Alimonda. Poche centinaia di metri più in là. Un percorso che l'ex carabiniere non riesce a dimenticare: «Per la strada ho visto picchiare a sangue, dal colonnello Truglio e dal maggiore Cappello, alcune persone con la macchina fotografica. Poi ho cominciato a vomitare e mi hanno fatto salire sul Defender in Piazza Alimonda». «A bordo - racconta - c'era Catavaio, carabiniere in ferma biennale, e Baffone, un ausiliario seduto dietro, insieme a me. Accanto a noi c'era un'altra camionetta con a bordo il colonnello Truglio. Il responsabile del nostro mezzo era il maggiore Cappello».
Così, quando partono i manifestanti, «i carabinieri scappano». «Ci hanno superato - aggiunge - noi abbiamo fatto retromarcia e ci siamo incastrati in un cassonetto della spazzatura». La testimonianza di Placanica, a questo punto, prefigura uno scenario tutto nuovo. La tragedia, probabilmente, si poteva evitare: «Ci hanno lasciati soli, ci hanno abbandonato. Potevano intervenire perché c'erano i carabinieri e anche gli agenti di polizia. Potevano fare una carica per allontanare i manifestanti e invece non hanno fatto niente». Placanica perde sangue. Tira fuori la pistola e carica. «Non vedevo praticamente nulla, ero quasi steso. Solo Baffone era un po' più alzato. Mi è arrivato l'estintore sullo stinco e l'ho ributtato giù scalciando». Poi spara due colpi. «In aria, ne sono convinto». Ma Carlo Giuliani è a terra. Morto. Il suo passamontagna è zuppo di sangue. «Dopo gli spari - dice - sul Defender è salito un altro carabiniere che si chiama Rando e ha messo lo scudo sul vetro che avevano rotto. Davanti è salito il maresciallo del Tuscania di cui non ricordo il nome. E siamo partiti!» Da questo momento in poi Mario Placanica scivola in buco nero. La sua vita si trasforma. Viene portato in ospedale. Firma le cartelle, viene dimesso e condotto in caserma. «Qui mi hanno detto che avevo ucciso un manifestante». Sono le 23. «Mi hanno interrogato, messo sotto pressione». Un'ora di domande. Fino alla visita da parte di un medico militare. «Mi dicevano che stavo male, ma io mi sentivo benissimo». Gli hanno prescritto l'Aldol, uno psicofarmaco fortissimo. «Dormivo venti ore al giorno. Tutte quelle medicine mi hanno rovinato. Ora non ne prendo più e ho deciso di parlare. Voglio scoprire anch'io tutta la verità. Mi sono trovato in un ingranaggio più grande di me. Avevo paura ma sono troppe le cose poco chiare in questa storia». A cominciare dai filmati: «Molti saranno stati distrutti, altri sono stati sequestrati. Sarei curioso di vederli». Poi le indagini sul corpo di Carlo Giuliani: «Perché ci hanno lavorato alcuni militari? Perché gli hanno fracassato la testa con una pietra?». Placanica aspetta risposte. Oggi come ieri: «Una volta ho telefonato al maggiore Cappello. Mi ha detto di non avere dubbi. Che lui aveva saputo dell'accaduto solo alle 20, ma dalle immagini è accanto al corpo. Io non ho sentito altri spari, però anche i colleghi che erano dentro al Defender non hanno sentito i miei colpi. Credo che cremare il corpo di Carlo Giuliani sia stato un errore. Si sarebbe potuta scoprire qualcosa in più». Dice di volere la verità, fino in fondo: «Sarei contento di poter collaborare con i familiari di Carlo per arrivare a capire tutto». Gli ultimi cinque anni sono stati, per lui, «maledetti». Dopo che l'Arma l'ha scaricato, ha cercato fortuna in politica candidandosi, con An, alle comunali di Catanzaro. Quindi uno strano incidente stradale. Fra il capoluogo calabrese e Crotone, la sua Ford Focus uscì di strada. Rischiò la paralisi per quello che i suoi avvocati definirono «un incidente inspiegabile». Oggi racconta un altro G8 e tende la mano ad Haidi e Giuliano Giuliani. A loro, un tempo, voleva chiedere un risarcimento per «il suo mancato reintegro nei carabinieri e per non aver trovato un impiego».
-----Strasburgo
Il caso Giuliani alla Corte europea
Le vicende che portarono alla morte di Carlo Giuliani, il 20 luglio 2001, finiranno anche davanti alla Corte europea di Strasburgo. Il 5 dicembre sarà esaminata l'istanza presentata dai genitori e dalla sorella di Carlo, nella quale si sostiene che la sua morte «è dovuta ad un uso eccessivo della forza» e che «l'organizzazione delle operazioni per ristabilire l'ordine pubblico non sono state adeguate». In più, i ricorrenti rilevano che «l'assenza di soccorsi immediati ha comportato la violazione degli articoli 2 e 3» della Convenzione dei diritti dell'uomo, ossia il divieto di trattamenti inumani. La famiglia Giuliani lamenta di non aver avuto «una vera inchiesta» perchè non sono stati ascoltati alcuni testimoni e alti responsabili della polizia e sostiene che uno degli esperti nominati dal pubblico ministero e che ha sviluppato la tesi di un proiettile «deviato da una pietra lanciata in aria» avrebbe pubblicato poco tempo prima un articolo favorevole alla tesi della legittima difesa. Infine, «benchè l'inchiesta abbia interessato due carabinieri, diversi atti investigativi sono stati affidati ai carabinieri».



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liberazione
Placanica ci ripensa: «Non l’ho ucciso io»

Intervista choc dell’ex carabiniere. La famiglia Giuliani: riaprire il caso

Rifondazione: «Ora la commissione d’inchiesta». Cdl e dipietristi: «Scordatevelo!»

Dunque, Placanica dice di essere arrivato a Genova
il 17 luglio, col XII battaglione Sicilia. Prima
d’allora aveva svolto compiti di ordine pubblico, «banali»
solo una volta alla Favorita.
Giocava il Palermo. Erano giorni di stanchezza e di tensione indescrivibile. «I superiori - racconta al quotidiano calabrese - gridavano sempre ». E dicevano di stare attenti che avrebbero tirato le
sacche di sangue infetto. «Era come se dovessimo andare in
guerra». Il 20 luglio era tra Via Torino e Via Tolemaide, dove fu dato alle fiamme un blindato, doveva sparare i lacrimogeni per disperdere i manifestanti.
Ora sappiamo che quelle cariche erano illegittime
ma Placanica non dice o non sa. Però dice la prima delle
rivelazioni bomba: «Dopo un po’ il maggiore Cappello
mi ha preso il lanciagranate perché diceva che non ero capace. Io stavo sparando ”a parabola”,
così come m’è stato insegnato. E invece lui ha iniziato
a sparare ad altezza d’uomo, colpendo in faccia le
persone. Cose allucinanti».
Cappello e Truglio - anche dilui fa il nome Placanica - sono veterani delle missioni all’estero.
Placanica, ormai ”disarmato”, doveva togliere il
nastro alle granate e passarle a Cappello ma si sente male
col gas che si sprigiona nell’operazione.
Mentre lo accompagnano a Piazza Alimonda,
avrebbe visto «picchiare a sangue dal colonnello Truglio
e dal maggiore Cappello alcune persone con la macchina
fotografica. Ho iniziato a vomitare
e mi hanno fatto salire sulla camionetta». A bordo sarebbero stati in tre, Cavataio,
Raffone e Placanica. Cappello era capomacchina di quel defender, Truglio dell’altro veicolo uguale. Sostiene ancora Placanica che avrebbe estratto l’arma quando si accorge diavere il sangue sulle mani. Il
defender era stato attaccato dai manifestanti in cerca di
una via di fuga. Dice che non vedeva nulla, avrebbe gridato
e poi sparato. In aria, due volte.
Ne è convinto: «Non ho preso la mira... Ero steso col
braccio alzato verso l’alto. La
mano era sopra la ruota di scorta». Ma l’autopsia ha affermato che il colpo che ha ucciso Carlo era diretto. Dopo sarebbero saliti a bordo un altro
carabiniere sul retro e un maresciallo del Tuscania a
fianco al conduttore. «E siamo partiti ma abbiamo dovuto
allargare il percorso perché i manifestanti, quelli di Agnoletto, non volevano farci passare
». A questo punto, Placanica omette la sosta a Forte
S.Giuliano, sede del comando provinciale dei cc, visitato
quel giorno da Fini e il suo fido
Ascierto, dove avrebbe funzionato
una sala operativa ”alternativa” alla questura.
Dice ancora di aver saputo solo alle 23, in ospedale, della
morte di un manifestante.
«Mi hanno fatto dimettere, mi hanno fatto firmare la cartella e mi hanno portato in caserma.
Lì mi hanno detto che
avevo ucciso un manifestante
». All’interrogatorio avrebbero
cercato di forzargli la
mano, «di farmi dire qualcosa
in più» ma lui no, ha affermato
sempre di non aver sparato
direttamente.
Tornato alla Fiera, dormitorio di tanta polizia, «i colleghi hanno fatto festa», gli regalano
un basco del Tuscania,
«erano contenti... cantavano
canzoni, hanno fatto una canzone su Carlo Giuliani».
Una volta al reparto gli avrebbero
messo gli psicologi alle calcagna, poi lo hanno trasferito
a Catanzaro. Ma lui non avrebbe più ingranato. Per
due anni lavorerà a singhiozzo.
Fino all’incidente d’auto:
«Lo sterzo è come se si fosse
bloccato - racconta - non riuscivo
più a sterzare». Il 22 novembre
del 2004 viene dichiarato idoneo all’ospedale militare
ma la commissione medica non ne avrebbe tenuto
conto, verrebbe imbottito di psicofarmaci e il 13 dicembre
viene dichiarato non idoneo.
Non vale il ricorso al Tar e, a
chi gli obietta che, se davvero
doveva ”coprire qualcuno”,
sarebbe stato più conveniente tenerselo buono, non congedarlo.
«Ma se vengo congedato
per problemi psichici chi mi crede?».
Già, chi gli crede? Certo che Placanica ne dice di cose forti (anche se all’udienza preliminare
si avvalse della facoltà di
non parlare). Come il fatto
che «alcuni militari hanno
”lavorato” sul corpo di Giuliani
», che «gli hanno fracassato
la testa con una pietra». La famosa
pietra insanguinata che compare quando Carlo, già
morto, viene accerchiato dalle
forze dell’ordine, e quella
pietra cambierà posto nelle
foto di quegli istanti, i dubbi
sull’identità dello sparatore,
sono elementi già noti alla
controinchiesta e ai familiari
che chiedono da sempre di riaprire un caso chiuso troppo
in fretta. Haidi Gaggio, oggi
senatrice Prc, chiede che l’ex
carabiniere sia messo sotto protezione: «Se è vero che non
è stato lui, allora è stato indotto
a mentire per coprire il vero
assassino: l’unico modo per fare chiarezza è un pubblico
dibattimento». Anche dei cori
di giubilo alla Fiera si sapeva
già: «Un comportamento disgustoso
- ripete Giuliano Giuliani - ci sono centinaia di
testimoni». Le esternazioni
dell’ex cc dimostrano solo che
«il caso non è chiuso», dichiara
Graziella Mascia, deputata
Prc che prese parte alla prima
indagine conoscitiva. «Cos’ha
da dire De Gennaro?», chiede
l’europarlamentare Vittorio
Agnoletto all’epoca portavoce
del Gsf. E tutti, assieme a
verdi e giovani comunisti, a
reclamare la riapertura del caso
e l’istituzione dell’inchiesta
parlamentare, scritta nel
programma dell’Unione per
ricostruire le resposabilità
politiche. Ma è dall’Italia dei
valori che arriva uno stop che
si accoda alle dichiarazioni di
guerra delle destre, tutte le destre,
da Casini a Rotondi a Gasparri
a La Russa: «Scordatevi
la commissione», «Non se ne
parla proprio», «Faremo le
barricate», «Non si processano
le forze dell’ordine, ci sono
cose più importanti». E dal
forzista Vito una domanda
maliziosa: «Che ne pensa
Amato della commissione?».
Come in altre occasioni del
genere, il silenzio di quercia e
margherita è assordante. Il
comando dell’Arma «perplesso
» fa sapere che il caso
sarà affidato alle valutazioni
dell’autorità giudiziaria.
«No, secondo me su Genova
non è stata detta la verità»
Stralci dell’intervista al ragazzo congedato tratta dal quotidiano «CalabriaOra»
«Perché alcuni militari hanno fracassato la testa a Giuliani con una pietra?»
ubblichiamo ampi stralci dell’intervista a Mario
Placanica pubblicata ieri sul
quotidiano «CalabriaOra».
Intervista nella quale il carabiniere
affer4ma di essere «un capro espiatorio usato per coprire
qualcuno» e di dovesostiene
di non essere lui l’assassino
di Carlo Giuliani.
Che ordini vi sono stati impartiti
per le giornate del G8?
Ci dicevano che le situazioni
sarebbero state un po’ particolari,
non come semplice ordine pubblico ma qualcosa di
più
In che senso?
Ci dicevano di stare attenti, ci
raccontavano che ci avrebbero
tirato le sacche di sangue infetto. Ci dicevano di attacchi
terroristici. La sensazione era come se dovessimo andare
in guerra.
Quella mattina del 20 luglio
dove sei stato dislocato?
Ci hanno posizionato vicino
la ”Fiera” insieme ad alcuni
poliziotti. Ci sono state delle
cariche sul lungomare, ma
solo di alleggerimento. Abbiamo
partecipato alle cariche
in cui venne dato alle
fiamme il blindato dei carabinieri.
In quella situazione mi
è stato affidato il compito di
sparare i lacrimogeni per disperdere
i manifestanti. Però
dopo un po’ il maggiore Cappello
mi ha preso il lanciagranate
perché diceva che non
ero capace. Io stavo sparando
a ”parabola”, così come mi è
stato insegnato, e invece lui
ha iniziato a sparare ad altezza
d’uomo, colpendo in faccia
le persone. Cose allucinanti.
Chi eravate sul Defender?
C’eravamo io, Cavataio, carabiniere
in ferma biennale e,
Raffone, un ausiliario.
P Nessuno che avesse esperienza?
Sì, eravamo solo noi
Accanto avevate un’altra camionetta?
Si, c’era un altro defender con
a bordo il colonnello Truglio.
Il responsabile del nostro
mezzo era il maggiore Cappello
C’erano altri colleghi?
C’era il plotone dei carabinieri
davanti a noi che ci faceva
da scudo.
Dalle immagini si vede partire
la carica dei manifestanti,
tu cosa hai visto?
I carabinieri sono scappati, ci
hanno superato, noi abbiamo
fatto retromarcia e siamo rimasti
incastrati contro un
cassonetto della spazzatura.
Cosa ti ricordi di quei momenti?
Solo un rumore infernale.
Quando vi siete incagliati cosa
hai pensato?
Ci hanno lasciato soli, ci hanno
abbandonato.
Quando hai estratto la pistola?
Quando mi sono visto il sangue
sulle mani. Ero stato colpito
alla testa. Ho tolto la pistola
e ho caricato
Cosa vedevi davanti a te?
Non vedevo praticamente
nulla, ero quasi steso, solo
Raffone era un po’ più alzato.
Mi è arrivato l’estintore sullo
stinco, scalciando con i piedi
l’ho ributtato giù. Loro continuavano
con questo lancio di
oggetti, io ho gridato che avrei
sparato. Poi ho sparato in
aria.
Sei convinto di aver sparato
in aria?
Sono convinto di aver sparato
in aria, non ho preso mira, è la
verita
Quanti colpi hai sparato?
Due colpi, tutti e due in aria
Non vi siete accorti di quello
che era successo a piazza Alimonda?
No. Ho saputo della morte di
Carlo Giuliani alle 23 quando
sono venuti in ospedale i carabinieri
con un maggiore.
Però non mi hanno comunicato
la notizia in ospedale. Mi
hanno fatto dimettere, mi
hanno fatto firmare la cartella
e mi hanno portato in caserma.
Lì mi hanno detto che
avevo ucciso un manifestante.
Come ti sei sentito in quel
momento?
Mi è caduto il mondo addosso.
Io sapevo di aver sparato
però ero convinto anche di
aver sparato in aria. Mi hanno
fatto l’interrogatorio, mi hanno
messo sotto pressione e io
ho risposto quello che potevo
rispondere. Hanno cercato di
farmi dire qualcosa in più, ma
io l’ho detto che non avevo
sparato direttamente.
E dopo cosa è successo?
Mi hanno riportato alla fiera
di Genova. Mi hanno fatto dare
sette giorni di prognosi
Che ambiente hai trovato
quando sei rientrato in caserma?
Mi chiamavano il killer. I colleghi
hanno fatto festa, mi
hanno regalato un basco dei
Tuscania, ”benvenuto tra gli
assassini” mi hanno detto.
I colleghi erano contenti di
quello che era capitato?
Si, erano contenti. Dicevano
morte sua vita mia, cantavano
canzoni. Hanno fatto una
canzone su Carlo Giuliani
A casa quando sei tornato?
Dopo una settimana che ero a
Palermo mi hanno dato trenta
giorni di convalescenza.
Però mi hanno mandato nella
caserma di Sellia e i miei genitori
non potevano entrare.
Mio padre tra l’altro era ricoverato
in ospedale a Catanzaro.
Io uscivo di nascosto, ma a
Catanzaro non sono riuscito
a salire.
Che idea ti sei fatto, era per
proteggerti o perché non volevano
che parlassi all’esterno?
Non lo so se mi proteggevano
o avevano paura di qualcosa(...)
Avevi sparato prima di quel
giorno?
Tre volte al poligono e non ti
dico i risultati, non ne ho preso
uno. Non ero buono con la
pistola anche per questo mi
hanno mandato al battaglione.
Alle stazioni mandano
quelli più bravi, gli altri vanno
nei battaglioni.
Dopo Sellia ritorni in Sicilia…
Lì sono iniziati i problemi.
Perché tutte quelle domande
erano uno stress incredibile.
Insomma ho iniziato a marcare
visita. Mi hanno trasferito
a Catanzaro al reparto comando,
poi sono andato a un
corso integrativo in Sardegna.
(...)
In questo periodo ti capita
un altro episodio che ha fatto
discutere. Ti salvi quasi miracolosamente
da un incidente
stradale.
Ho perso improvvisamente il
controllo del veicolo. Lo sterzo
è come se si fosse bloccato,
non riuscivo più a sterzare
(...).
Secondo te si è detta tutta la
verità sul G8 di Genova?
No.
Cosa è rimasto all’oscuro?
Ci sono troppe cose che non
sono chiare.
A cosa ti riferisci?
A quello che è successo dopo
a piazza Alimonda. Perché alcuni
militari hanno ”lavorato”
sul corpo di Giuliani? Perché
gli hanno fracassato la testa
con una pietra?
Perché hai deciso di parlare
solo adesso?
Perché ci vuole coraggio e io
finalmente l’ho trovato.


Ritratto dell’ex militare che al G8 si autoaccusò
Ci è o ci fa?
Cerca lavoro o vuole dire qualcosa?
ario Placanica ci fa o ci è?
L’interrogativo insegue dal 20
luglio 2001 il giovane carabiniere
autoaccusatosi di aver colpito Carlo
Giuliani, prima, e assolto per aver
sparato in aria da dentro il defender
in piazza Alimonda, poi. E lui ce la
mette tutta, per confusione e per
interesse.
Dopo aver detto centinaia di volte di
voler chiudere e dimenticare quei
giorni, torna sempre a inzupparci il
biscottino nella parte della vittima
dell’Arma che l’ha abbandonato, di
complotti che attentano alla sua
vita, della famiglia Giuliani a cui
chiede i danni per aver perso il
lavoro. In tribunale si avvale della
facoltà di non rispondere, ma fuori
parla.
Il ragazzo non sta bene, d’accordo, e
non riesce ad uscire dai maledetti
(anche per lui) giorni del G8, ma fa
tanta confusione. Il tutto comincia
immediatamente dopo l’uccisione
di Carlo; Placanica – ferito e
sconvolto, secondo i referti – si
autoaccusa di aver sparato dal
defender assaltato dai manifestanti.
La tesi tiene un anno e l’avvocato
datogli dall’Arma lo porta a un passo
dall’archiviazione più onorevole per
le istituzioni: è stato Placanica e non
c’è stata nessuna confusione di
referti o organizzazione dell’ordine
pubblico. Ma Placanica fa di testa
sua, va al Tg1 e dice “dopo un anno
non mi rendo conto se sono stato io,
perché io ho sparato in aria, non
contro persone”. L’avvocato lo molla
e lui si affida al solo legale di fiducia,
Vittorio Colosimo che ne diventa la
voce pubblica.
Siamo nel clima post-Genova con la
destra a costruire l’immagine
dell’eroe proletario contro i violenti
no-global con tanto di campagna
fondi per Placanica di Libero da
circa 400mila euro. Ufficialmente il
quotidiano di Feltri raccoglie soldi
per le spese legali ma siccome sul
fronte legale garantisce lo Stato,
tramuta lo scopo in solidarietà, anzi
in “premio” per la condotta
esemplare. La destra cerca di
costruire il personaggio Placanica,
mentre il movimento e la famiglia
Giuliani lo ignorano (salvo nelle aule
del tribunale). Nessuno slogan a
Genova 2002 contro di lui. Si cerca la
verità non il capro espiatorio.
Il 05 maggio del 2003 la Procura
chiude la sua vicenda processuale:
fu legittima difesa in condizioni
speciali. Stop. Le contraddizioni
sono tali da dover inventarsi uno di
quegli strani dispositivi quando ci
scappa il morto per mano delle forze
dell’ordine - dal malore attivo di
Pinelli all’autosoffocamento di
Aldrovandi: una pietra devia la
pallottola sparata in aria da
Placanica e ammazza Giuliani.
Amen. Tre mesi dopo, il carabiniere
si schianta con l’auto contro un
albero mentre torna a casa (in
provincia di Catanzaro). L’avvocato
Colosimo parla di “incidente
inspiegabile”, adombra un tentato
omicidio.
La Procura indaga e archivia.
All’epoca Placanica era un milite in
congedo per problemi di salute. Un
congedo che diventa definitivo
nell’aprile 2005 per infermità
dipendente da «causa di servizio».
Pensione di invalidità e arrivederci.
Lui la prende malissimo: “Credo che
l’Arma mi ha abbandonato, non mi
sono mai sentito parte di una
famiglia, al contrario”. L’avvocato
minaccia sfracelli. Pochi giorni
prima aveva fatto sapere che il suo
assistito avrebbe testimoniato al
processo di Genova sui disordini dei
manifestanti al G8. La risposta non
si è fatta attendere.
Non passano quattro mesi che
Placanica annuncia ai giornali di
volersi candidare alle comunali di
Catanzaro, magari con An che l’ha
sempre sostenuto e invitato alle
proprie iniziative pubbliche. Alla
fine si presenterà con una lista civica
del sindaco uscente di centrodestra,
senza essere eletto. Ma torniamo
all’annuncio della sua discesa in
politica, nel settembre 2005, molto
in anticipo sul voto e appena due
giorni prima della testimonianza in
Tribunale in cui avrebbe dovuto
rispondere “ai cento avvocati noglobal”
e tribunale annesso,
secondo l’avvocato. Placanica
invece si avvale della facoltà di non
rispondere. Suo diritto. Il giorno
della verità – se ce n’è una che
Placanica possa aiutare a svelare – è
sempre rinviato. In mezzo c’è tempo
anche per un messaggio di
solidarietà di Maradona, un
annuncio di querela ad Antonello
Venditti e altre iniziative del suo
legale per cercare di tenere un po’ di
luce sul suo assistito.
M
Il Prc rilancia
l’urgenza
di conoscere anche
le responsabilità
politiche
della gestione
delle piazze nel 2001
«Ho sparato in aria.
Sono convinto
di aver sparato
in aria, non preso la
mira, è la verità.
Due colpi, tutti e due in aria»
«Mi hanno fatto l’interrogatorio,
mi hanno messo sotto pressione.
Ho risposto quello
che potevo rispondere»
Cinque anni di annunci
e smentite, un ”misterioso” incidente
d’auto e perfino il tentativo di scendere
in politica.
Naturalmente a destra Il ragazzo se la prende coi superori
diretti, tira in ballo i due ufficiali veterani delle
missioni all’estero.
Ma dice e non dice




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