[NuovoLab] cosa scriveva il secolo xix un anno fa dopo lo sc…

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著者: antonio bruno
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To: veritagiustiziagenova
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題目: [NuovoLab] cosa scriveva il secolo xix un anno fa dopo lo scoppio per un razzo partito dalla caserma di bolzaneto
secolo xix 29.11.05

Una dipendente della FaCe Farmaceutici colpita da una scheggia. Non è
grave. Per lo sparo utilizzato un tubo innocenti
Attentato a Bolzaneto, donna ferita Razzo da nave entra in un ufficio
vicino alla caserma del G8. Ma era diretto altrove Genova. Quattro
attentati dinamitardi, nessun colpevole.

L’esplosione, causata da un ordigno in uso presso i mercantili da carico,
avrebbe potuto interessare le vicine pompe di benzina della polizia o le
cisterne di prodotti petroliferi adiacenti. Per il momento nessuna
rivendicazione. Proprio ieri nella delegazione era in visita il ministro
Scajola Genova. Prima un sibilo, poi un fortissimo e il razzo ha sfondato
un vetro doppio, attraversato l’ufficio, correndo per il corridoio, quando
non ha scontrato una che s’è incendiata. Erano le di ieri mattina e negli
uffici FaCe, azienda specializzata produzione di farmaci con a Bolzaneto, è
stato il panico: dipendente — Giovanna Rausa anni — è rimasta leggermente
ferita e può considerarsi salva miracolo, gli altri sono fuggiti, mentre in
due cercavano di spegnere il rogo.
attentato che poteva uccidere.
Ma il sospetto inquietante, che serata si è fatto quasi certezza, non fosse
la fabbrica destinataria del grosso proiettile, perché quella finestra
affaccia proprio sul cortile della caserma “Nino Bixio”, del VI reparto
mobile: è stata prigione dei no global, il luogo nel luglio di quattro anni
fa centinaia di dimostranti sono stati detenuti e picchiati. Dalle loro
dichiarazioni si è innescata la tempesta giudiziaria che ha travolto le
dell’ordine, che ha trasformato quella zona in un simbolo, rievocato pure
dagli anarcoinsurrezionalisti dopo gli attacchi dinamitardi contro la
questura, un commissariato e due stazioni dei carabinieri a Genova fra il
dicembre 2002 e il marzo scorso.
le ipotesi al vaglio degli investigatori ce n’è una che desta particolare
preoccupazione. Il razzo, lanciato dalle alture di Cremeno, zona collinare
che sovrasta la vallata, poteva essere diretto all’autorimessa della
polizia confinante con la FaCe dove si trovano pompe della benzina (non
lontano sono posizionati i serbatoi dell’industria Europetrol, ndr) oppure
evitato per pochi metri le palazzine di vetro nelle quali alloggiano agenti
e dirigenti. E non mancano neppure i riferimenti temporali a infittire il
giallo. Ieri, proprio a Bolzaneto, il ministro delle Attività produttive,
Claudio Scajola — al tempo del G8 responsabile degli Interni — era in
visita all’associazione Gigi Ghirotti, mentre nei prossimi giorni sono
previste udienze importanti nel procedimento a carico dei 45 che si
macchiarono delle violenze in cella.
Senza dimenticare che gli stessi uomini del Reparto sono impegnati
settimane nei servizi di ordine pubblico in Val di Susa, teatro
contestazioni ai cantieri per velocità.
Eppure non è giunta rivendicazione, fino a notte. La Digos e la al setaccio
il nastro d’asfalto che si arrampica sulle alture, da cui l’area della
caserma è visibile in numerosi punti. E la base dell’inchiesta, finora, è
rappresentata soprattutto dagli accertamenti tecnici.
Chi ha colpito in Valpolcevera ha usato un razzo da segnalazione per navi
d’altura, probabilmente cargo oceanici, dotato d’innesco a strappo,
paracadute e con possibilità di grande gittata. Si è posizionato a 300
metri dal muro divide le forze dell’ordine dalla fabbrica e ha fatto fuoco
«in traiettoria», praticamente in orizzontale anziché verso l’alto come
accade quando il dispositivo è utilizzato in mare. Chi può compiere
un’azione del genere?
«Di certo — conferma un investigatore — hanno usato un minibazooka, forse
un tubo innocenti o un congegno in dotazione con il razzo stesso». Non è
difficile procurarseli, sebbene i controlli nell’ambiente delle forniture
marittime siano già avviati. Gli inquirenti hanno individuato con buona
certezza il punto preciso dello sparo, dopo un paio di tornanti sulla
strada che conduce a Cremeno e non lontano da un agriturismo. Inizialmente
si era pensato a un rudere sottostante (dopo che un’ispezione alla “Nino
Bixio” aveva escluso l’ipotesi
d’un colpo partito dall’interno) e però molti tasselli non quadrano:
difficile, infatti, maneggiare un oggetto tanto pericoloso dentro un’auto o
all’aperto senza incappare in una vettura di passaggio e nella sorveglianza
delle volanti.
«Le indagini sono aperte, apertissime — ripete il questore Salvatore
Presenti —. Non c’è un elemento preciso che ci indica come
bersaglio, ma questo è un periodo delicato nei processi sul G8 e le teste
calde sono sempre in circolazione ». Cresce la tensione, che spinge il
prefetto Giuseppe Romano a parlare senza esitazioni di «gesto criminale» e
a intensificare
la vigilanza: se ne parlerà durante il comitato per l’ordine e la sicurezza
in agenda domani.
Per ora non resta che ripercorrere le segnalazioni degli ultimi mesi, alla
ricerca d’una traccia. Alla fine di settembre tre persone erano state
identificate, mentre scattavano foto dalla collina e si era scoperto essere
consulenti dei legali
che assistono i no global. Nulla a che vedere con il razzo, insomma. Un
anno fa, invece, il muro perimetrale
fu violato da un lacrimogeno: un gesto dimostrativo, certo, forse lontano
preludio di quanto accaduto ieri.


I PRECEDENTI
Quattro esplosioni senza colpevoli

Dal luglio 2001 al marzo di quest’anno per quattro volte i boati delle
bombe sono risuonati a Genova.
Ordigni sempre rivendicati.
Firmata Cooperativa artigiana fuochi e affindi, sigla aderente alla Fai
(Federazione anarchica informale)
la lettera esplosiva recapitata in via Manuzio, mentre sugli altri
attentati si è vista la mano della Brigata 20 luglio.
Solo in un caso, però, la polizia è arrivata a sfiorare i responsabili.
L’unico indagato per le bombe genovesi,
per gli ordigni esplosi nel dicembre 2002 vicino alla questura, è stato uno
studente basco, inguaiato
dalle celle telefoniche.
16 luglio 2001: caserma dei carabinieri di via Manuzio, nel quartiere di
San Fruttuoso. La bomba arriva in una busta, contenente un borsellino da
donna. La deflagrazione ferisce al volto e ad un occhio un giovane
carabiniere di leva, Stefano Storri. Sono i giorni che precedono il G8.
L’attentato è rivendicato dalla Cooperativa fuochi e affini, sigla che
aderisce alla Federazione
anarchica informale.
. 9 dicembre 2002: il bersaglio questa volta è la polizia. La trappola per
uccidere viene archittetata nei giardini Francesco Coco, confinanti con la
questura. Due ordigni esplodono a dieci minuti l’uno dall’altro. Il primo è
poco più che una
bomba carta, ma il secondo è stato preparato per uccidere. Una serie di
circostanze evita la tragedia. Per quell’attentato viene indagato lo
studente basco.
. 29 marzo 2004: altro attentato alla polizia, identico a quello di 15 mesi
prima. Questa volta l’obiettivo è la
caserma “Pietro Ilardi” di Sturla. Due esplosioni: prima viene sventrato un
contenitore dei rifiuti in ghisa,
mezz’ora dopo, con un potenziale ben superiore, un cassonetto della
spazzatura a non più di 15 metri dall’ingresso
della caserma, nella quale c’erano 140 persone.
. 1 marzo 2005: tre ordigni esplodono contro le caserme delle forze
dell’ordine. Prima contro due caserme dei carabinieri nel
ponente cittadino, a Pra’ e Voltri, mentre l’ultimo allarme è a Sturla,
davanti “Ilardi”. Il giorno successivo la
Federazione anarchica informale rivendica gli attentati, con un volantino
recapitato al Secolo XIX, facendo riferimento ad una bomba che avrebbe
dovuto esplodere al teatro Ariston durante la diretta del Festival di Sanremo


Genova. Ovviamente l’inchiesta aperta dal pubblico ministero Cristina
Perroni è contro ignoti, difficile per ora immaginare
responsabilità e motivazioni. Lo ha spiegato nella tarda serata lo stesso
magistrato precisando che per ora si ragiona soltanto
sulle ipotesi. E, parlando di ipotesi, visto che il razzo è esploso a una
ventina di metri dalla caserma di Bolzaneto, subito si è pensato a un
collegamento con i processi sui fatti del G8 genovese che proprio in questi
giorni si stanno celebrando nel palazzo di giustizia di Piccapietra. Oggi
stesso si svolgerà un’udienza contro i 24 no global accusati di
devastazioni in piazza.
Ma sembra difficile ritenere che possa esistere qualche correlazione tra lo
sparo del razzo e tale procedimento. Il primo dicembre sono in calendario
gli altri due processi del G8, quello per l’efferata irruzione della
polizia alla scuola Diaz, che doveva essere il rifugio notturno dei no
global e quello per le violenze nella caserma di Bolzaneto,
improvvisata a infermeria, nei confronti dei giovani feriti che vi erano
stati trasferiti. Sia nel procedimento per i fatti
della Diaz, sia per quelli che avevano avuto come teatro la caserma di
Bolzaneto, sono imputati in tutto una settantina di rappresentanti delle
forze dell’ordine. E soprattutto considerando quest’ultimo procedimento le
cui violenze si sono svolte proprio nella caserma che ieri mattina è stata
sfiorata dal razzo esploso, che si è ipotizzato che qualche collegamento
tra i due fatti possa esistere. Già un paio d’ore dopo il lancio, nei
corridoi della procura si faceva l’ipotesi che potesse essere un segnale.
Un gesto intimidatorio legato proprio ai processi in corso e soprattutto al
processo sui fatti della caserma di Bolzaneto che, nonostante siano già
state svolte alcune udienze, tra eccezioni e rinvii, non è ancora entrato
nel vivo del dibattimento. Un procedimento già partito tra mille difficoltà
che sembra non riuscire a decollare. Sono previste ben 300 udienze, con un
totale di seicento testimoni e cento avvocati coinvolti. Nel corso della
prima udienza lo stesso procuratore aggiunto Mario Morisani aveva fatto in
aula dichiarazioni molto dure contro una giustizia che procede a tentoni.
Il timore più volte manifestato soprattutto dalle numerossissime parti lese
— oltre 200 — è che il dibattimento abbia tempi
talmente lunghi da finire in prescrizione. Gli imputati sono 45 tra
poliziotti, carabinieri, personale della polizia penitenziaria e medici.
L’inchiesta, affidata ai pm Patrizia Petruziello e Vittorio Raineri Miniati
si è conclusa nella scorsa primavera con il rinvio a giudizio degli
imputati. Ma, prima del periodo feriale il processo non è potuto iniziare:
era stato affidato alla terza sezione del tribunale il cui presidente, Dino
Di Mattei, era stato nel frattempo promosso capo
della procura di Imperia e trasferito. L’altro giudice, Vincenzo Pupa,
nello stesso periodo è andato in pensione. Quindi si è dovuto ricostituire
il collegio oggi presieduto da Renato Delucchi.
Tra gli imputati figurano poliziotti di alto rango: il vicequestore
Alessandro Perugini, all’epoca dei fatti vice capo della Digos di Genova,
il generale della polizia penitenziaria Oronzo Doria e Biagio Antonio
Gugliotta, ispettore della polizia penitenziaria, responsabile della
sicurezza del centro di detenzione provvisorio. Le accuse contestate sono
abuso d’ufficio, violenza privata, falso ideologico, abuso di autorità
contro detenuti o arrestati, violazione dell’ordinamento
penitenziario e della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali.
Elisabetta Vassallo
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"Eppure il vento soffia ancora...." Pierangelo Bertoli (1942 - 2002)

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(luglio 2001).
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Genova
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