[NuovoLab] sulla manifestazione di milano

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Autore: antonio bruno
Data:  
To: aderentiretecontrog8
CC: forumgenova, forumsociale-ponge
Oggetto: [NuovoLab] sulla manifestazione di milano
il manifesto

Milano
La pace non può aspettare
Oltre 50 mila in corteo per «Palestina-Israele, due popoli, due Stati»
Successo dei promotori della «Tavola della pace». Tra le parole d'ordine:
stop al trattato militare con Tel Aviv. Presenti anche l'ambasciatore Olp e
gli «Ebrei contro l'occupazione»
Manuela Cartosio
Milano
«Tutto sommato, è andata bene». Lo dicono in tanti in piazza Duomo, mentre
dal palco il numero dei partecipanti alla manifestazione viene alzato da 50
a 80 mila. Il «tutto sommato» riassume il timore della vigilia che al
corteo dei «buoni», secondo alcuni «troppo filogovernativo», ci sarebbero
stati più gonfaloni che manifestanti. Non è stato così. Intanto a Roma,
alcuni «cattivi» facevano la loro parte per «conquistarsi» il titolo di
testa già pregustato in quasi tutte le redazioni.
A Milano si è manifestato «Per la pace e la giustizia in Medio Oriente»,
obiettivo declinato nello striscione d'apertura in «Palestina e Israele due
popoli, due Stati: stessa dignità, stessi diritti, stessa sicurezza». E' lo
slogan che il movimento per la pace e la sinistra ripetono da decenni.
All'improvviso, sarebbe diventato troppo «equivicino», da quando il
ministro degli esteri D'Alema ha messo in circolazione l'aggettivo. Uno
slogan condiviso dall'ambasciatore palestinese in Italia Sabri Ateyeh,
presente alla manifestazione di Milano, che di certo non equipara le
responsabilità del suo popolo e di Israele nel conflitto che dura da oltre
mezzo secolo. «Israele è potente, è armata, occupa i territori. I
palestinesi sono alla fame. Impossibile metterli sullo stesso piano», dice
una ragazza - occhi pittati e capo velato - che sfila con i Giovani
musulmani d'Italia. «Il punto è che c'è un popolo in più, quello
palestinese, e uno Stato in meno», dice il capogruppo di Rifondazione al
Senato Giovanni Russo Spena. Sottoscrivono gli «Ebrei contro
l'occupazione», quattro gatti - scherzano - «ma abbiamo un certo indotto,
fidanzati, figli...». Venuti al corteo anche per testimoniare che ci sono
ebrei, «qui e in Israele», che non sono d'accordo con il governo israeliano.
«Azioni concrete» per «fare» la pace in Medio Oriente. Dal palco Flavio
Lotti, portavoce della Tavola della pace, le sollecita al governo italiano
e all'Unione europea. Due innanzi tutto: conferenza internazionale e forza
d'interposizione a Gaza, «come in Libano». Al governo Prodi il portavoce
della Tavola, e alcuni striscioni, rimproverano l'aumento le spese militari
in finanziaria. Solo un cenno alla manifestazione di Roma: «Basta prediche,
basta demagogia, basta contrapposizioni per schieramenti. Questa è la vera
solidarietà che dobbiamo ai nostri amici palestinesi e israeliani».
Robusta la presenza organizzata di Arci, Legambiente, Cgil, Cisl, Acli,
Rifondazione, Pdci, Ds. In mezzo i tanti tasselli di un moviemento per la
pace che ha perso smalto ma resiste. Lupetti dell'Agesci di Casale
Monferrato, Donne in nero, Beati costruttori di pace, organizzazioni del
volontariato. «Vicenza città d'arte, non militare», recita lo striscione
della Cgil e il suo segretario, Oscar Mancini, assicura che la partita
contro il raddoppio della base americana «non è chiusa, stiamo preparando
un referendum». Quelli di Ronco Briantiano, paese dell'hinterland milanese,
tengono a far sapere che «se la pace è un sogno, allora noi siamo
irrudicibili sognatori». E teniamo sul pennone del municipio la bandiera
arcobaleno, puntualizza il sindaco, «anche se a qualcuno dà fastidio». Il
gonfalone del comune di Monterotondo accompagna lo striscione «Ciao
Angelo». Lo portano i volontari dei campi di lavoro in Palestina, compagni
di Angelo Frammartino, ucciso quest'estate a Gerusalemme da un giovane
palestinese. Molti gli striscioni delle comunità d'immigrati, con bandiere
palestinesi e qualche barba in odor di fondamentalismo islamico. Tenuta
sotto osservazione dalle telecamere per cogliere qualche «eccesso». Non ce
ne sono stati. L'unico fuori programma è stato il check point costruito dai
Giovani comunisti in un angolo di piazza Duomo (non siamo riusciti a
vederlo, li prendiamo in parola».
Delegazione sindacale ai massimi livelli, con Epifani per la Cgil e Bonanni
per la Cisl (la Uil non ha aderito, ma nessuno sembra averci fatto caso).
Il segretario della Fiom Gianni Rinaldini ammette che la preparazione della
manifestazione è stata piuttosto accidentata. Ma la soluzione della
questione israelo-palestine è la «chiave» della pace in Medio oriente,
Dunque, bando alle polemiche e «stiamo al pezzo». Una piattaforma «chiara e
netta» ha avuto la meglio sulle logiche particolaristiche di casa nostra,
osserva Paolo Beni, presidente dell'Arci. E Piero Maestri, di Action for
Peace, rivendica al movimento il merito d'aver reso più netta la piattaforma.

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«Fermate l'embargo, basta eventi soltanto mediatici»
Visto negato alla dirigente del Fplp Leila Khaled, a Roma arriva solo un
suo messaggio per la piazza. E una polemica: sì ai negoziati, no ai vertici
che non risolvono nulla
Geraldina Colotti
Leila Khaled è una figura storica della resistenza palestinese,
rappresentante del Consiglio nazionale ed esponente del Fronte popolare per
la liberazione della Palestina. Avrebbe dovuto partecipare di persona alla
manifestazione di Roma. L'avevano invitata l'Unione democratica arabo-
palestinese (Udap), i Cobas e anche alcuni parlamentari, che sostengono di
aver avuto garanzie per il rilascio del visto da parte dell'ambasciata
italiana ad Amman. Ma il visto è stato rifiutato dal nostro ministero degli
esteri. E di Leila a Roma è arrivato solo un messaggio, che è stato letto
in piazza. Come mai? «Non me lo aspettavo. Prodi - dice al telefono - ha
dichiarato di voler aprire una nuova pagina nei rapporti con il
Medioriente. Ma come se non possiamo muoverci neanche su invito dei vostri
parlamentari?»
Cosa si aspetta dall'Italia? Prodi, Chirac e Zapatero, vogliono indire una
conferenza di pace.
Come esponente dell'Ufficio politico dell'Fplp (ho la delega al problema
dei profughi), chiedo al governo italiano la revoca degli accordi militari
con Israele, la fine dell'embargo. In sessant'anni di esilio e diritti
negati ci sono state tante conferenze di pace, tutte senza esito, perché
nessuno è riuscito a imporre a Israele il rspetto delle risoluzioni
dell'Onu. Esploreremo sempre ogni margine di trattativa, però un altro
evento mediatico senza costrutto non serve.
Qual è la sua lettura del quadro politico palestinese?
L'Fplp ha invitato sempre all'unità e si adopera per trovare un accordo fra
tutte le componenti politiche palestinesi. Siamo consapevoli delle forti
divergenze interne, ma in un movimento di liberazione nazionale occorre
un'intesa in grado di contrastare l'egemonia dell'occupante e di chi lo
sostiene, e un efficace ombrello organizzativo. Per questo lavoriamo per
ricostruire una Olp che sia legittima rappresentante del popolo
palestinese, si batta per la sua autodeterminazione, per il ritorno dei
profughi e per la costruzione di uno stato palestinese indipendente con
capitale Gerusalemme. Hamas è stato eletto democraticamente, ma non ha
avuto la possibilità di governare per via di un micidiale embargo. Ora ci
stiamo adoperando per formare un governo di unità nazionale che abbia come
primo obiettivo quello di spezzare l'embargo. Comunque, non vogliamo che si
ripeta con Hamas l'esperienza del passato, quando al Fatah ha deviato dalle
decisioni politiche palestinesi senza portare a casa nessun risultato.
L'esperienza ci ha insegnato che in Palestina nessuna organizzazione da
sola potrebbe dirigere le sorti del nostro popolo.
Hanan Awwad, stretta collaboratrice di Arafat, ha detto al manifesto che il
rais è stato assassinato e che occorre riaprire l'inchiesta. Cosa ne pensa?
Da noi sì dà per scontato che Arafat sia stato avvelenato, c'è più di un
elemento certo, resta da sapere chi sia stato. L'Fplp è tra i promotori di
un comitato di ricerca della verità che sta portando avanti l'inchiesta. Un
uomo di quella grandezza non merita una fine oscura.
Quali sono oggi gli alleati della resistenza palestinese ?
Senza dubbio le masse arabe, le forze democratiche e di sinistra sono
nostri alleati naturali, insieme a quel che resta del panarabismo. Adesso è
in corso in Libano un convegno di carattere panarabo che ha al centro la
solidarietà con la resistenza palestinese, libanese e irachena. Sono nostri
alleati i popoli dell'America latina che hanno eletto governi contrari alle
politiche repressive. Con la fine del bipolarismo, sono cambiate le forme
della resistenza, sono sorti movimenti mondiali contro la globalizzazione.
I loro contorni politici a volte non sono definiti per chi, come noi, si
riferisce ancora a un quadro d'analisi marxista, ma andiamo nella stessa
direzione.
Lei è stata una delle prime guerrigliere, è femminista e laica. Come valuta
le azioni suicide che vedono partecipi anche le donne?
La lotta armata non è stata una scelta individuale, ma quella di un popolo
che, dopo il '67, cercava di affermare i propri diritti politici e non
voleva essere considerato dal mondo un problema umanitario. Sono passati
quarant'anni. Abbiamo tentato tutte le strade, e tutte le strade sono state
chiuse. Prima di chiederci perché un giovane, anziché pensare alla vita,
arrivi a usare il suo corpo come arma, chiedetevi perché altri territori
sono stati confiscati, i contadini privati dei mezzi di sussistenza. Le
colonie aumentano di giorno in giorno, e così le esecuzioni mirate, le
uccisioni di civili, le punizioni collettive, mentre un muro ci seppellisce
vivi. Gli israeliani vengono, ci strappano un altro pezzo di terra, lo
recintano, piazzano le tende e le trasformano in campi di detenzione e
tortura. Una morte annunciata ogni giorno. Provate a immaginare cosa
significhi.
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liberazione

50.000 pacifisti sfilano con associazioni, sindacati e partiti della
sinistra: due popoli, due Stati. Le Nazioni Unite condannano
le aggressioni israeliane. Qualche migliaio anche a Roma con slogan su
Nassiriya e fantocci bruciati. Bertinotti: «Frasi e gesti orribili»
Un grande corteo a Milano chiede all’Onu di intervenire in Palestina
Claudio Jampaglia
Milanonostro corrispondente
Neta e Taraji ridono e si spalleggiano davanti al taccuino. Nonostante
abitino da sempre a pochi chilometri - una a Haifa, l’altra a Jenin - sono
diventate amiche a Bologna, una settimana fa, grazie all’iniziativa
dell’associazione di donne Orlando che le ha invitate a conoscersi e
operare insieme per la pace. Come? «Per prima cosa manifesteremo insieme
dai due lati dei check point con canzoni, teatro e scambi di fiori e cibi
per dire che di quel filo spinato e della paura le une delle altre non
abbiamo bisogno - raccontano - Poi ci impegneremo nelle nostre comunità per
spiegare che dobbiamo parlarci e fidarci per cambiare». Spetta a queste due
donne, e alle altre venti che le accompagnano in questa esperienza,
l’apertura della manifestazione “per la pace e la giustizia in Medio
Oriente”. Sono le prime di 50mila con il loro telo colorato che dice:
“Stessa dignità, stessi diritti, stessa sicurezza. Due popoli, due Stati”.

Ieri qualcosa di importante è successo per il movimento pacifista e per la
questione mediorentale qui da noi. Lo vedi dalle facce di chi ci ha
scommesso e te lo dicono anche i più dubbiosi in partenza come Piero
Maestri di Action for Peace: «Finalmente una grande manifestazione per il
Medio Oriente a dimostrazione che se si dà la possibilità al movimento
pacifista di esprimersi la risposta c’è e dice: basta guerra in Palestina».
La manifestazione di Milano è stata come una Perugia-Assisi, come volevano
Tavola della Pace, Arci, Acli, Cgil-Cisl, gli Enti locali per la Pace e
come hanno accettato che fosse i movimenti, Action for Peace, Rifondazione
e i tanti che l’hanno promossa e organizzata.