[NuovoLab] Rashid: «In Medio Oriente è genocidio

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Il giornalista palestinese e deputato del Prc: «Parlano solo le armi, il silenzio
è complice del massacro. L’Italia e l’Europa operino per invertire la tendenza»
Rashid: «In Medio Oriente è genocidio
Per la pace in piazza il 18 a Milano»


Angela Mauro
Altre decine di morti, altri feriti. E’ l’ennesima strage nella striscia di Gaza: si allontana la pace, si allontana la realizzazione di un governo di unità nazionale palestinese. Ali Rashid, giornalista palestinese ora deputato di Rifondazione comunista, assiste con sgomento e rabbia a quello che non esita a definire «un genocidio», del suo popolo. «Serve subito una conferenza internazionale di pace», dice Ali Rashid, servono «truppe di interposizione a Gaza e in Cisgiordania». Ma nel frattempo non si può stare zitti: «il silenzio è complice del massacro». Bisogna mobilitarsi e mobilitare: «il 18 novembre è importante essere in piazza per la pace in Medio Oriente nella manifestazione nazionale promossa a Milano da tante realtà pacifiste».

Beit Hanoun, ennesimo massacro. La forza è l’unica arma in Medio Oriente?

Purtroppo, con quanto accaduto ieri, il Medio Oriente si dimostra ancora come il luogo dove la forza rappresenta l’unica forma di diritto che abbia un valore effettivo. In questo modo, il messaggio che arriva ai popoli del Medio Oriente, e in particolare ai palestinesi, è che chi ha la forza può fare quello che vuole. E’ pericoloso.


Come spieghi quest’ultima strage?

Va sottolineata l’incapacità israeliana di affrontare politicamente i problemi. Dopo tanti anni, Israele si dimostra incapace di usare il linguaggio per rapportarsi con gli altri: non usa la politica perché sa che, se lo fa, deve rinunciare a qualcosa. L’asprezza delle azioni di Tel Aviv dimostra come nel suo governo e nella società crescono sempre più le componenti della destra razzista. Tutto questo non induce ad essere ottimisti, anche se è evidente a tutti che l’uso della forza non porta a soluzioni. E’ inutile alimentare false speranze. Nel 1993, quando fu ucciso Rabin, eravamo a due passi da una soluzione politica. Adesso, siamo di nuovo a zero, in pieno conflitto.


La comunità internazionale si dimostra inerte. Dov’è l’Onu?

E’ colpevolmente inerte. Negli ultimi dieci giorni, Abu Mazen ha chiesto più volte la convocazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per discutere di Gaza e Cisgiordania. Nessun risultato. L’Onu discute della crisi iraniana, per esempio, ma non di quanto accade nella mia terra. E, naturalmente, in questo gli Stati Uniti hanno una grossa responsabilità. Israele usa gli stessi metodi di guerra preventiva permanente di Bush: nessuna ragionevolezza, solo uso della forza. Quello che stanno facendo al popolo palestinese si può chiamare tranquillamente genocidio. E’ lento nel tempo, ma ha lo scopo di annientare un popolo. Quando si sventra l’economia di un popolo, quando si distruggono case e alberi, quando si fa strage dei civili: cos’altro è se non genocidio?


Come valuti la reazione di Hamas dopo la strage di ieri?

Di fronte all’inerzia della comunità internazionale, di fronte alle stragi, le parole di Hamas assumono una particolare gravità, anche se bisogna dire che Hamas rispetta la tregua ormai da più di tre anni. Ora, il fatto che Israele continui a parlare solo il linguaggio delle armi non aiuta il dialogo, non favorisce la costituzione di un governo di unità nazionale tra Hamas e Al Fatah. Come si fa a chiedere ad Hamas di riconoscere lo stato di Israele se Israele continua a fare stragi?


Dalle macerie come si riparte?

E’ necessario inviare truppe di interposizione dell’Onu a Gaza e in Cisgiordania. Nel frattempo, bisogna chiedere a Israele di cessare il fuoco e di ritirarsi da Gaza. Bisogna convocare una conferenza internazionale di pace che coinvolga tutti i soggetti. L’Italia e l’Europa devono farsi promotrici di un vero processo di pace. Fa bene D’Alema a dire che bisogna partire dal Libano, stabilizzare la tregua e avviare un processo di pace dal Golan siriano ai territori palestinesi occupati. E’ necessario insomma che la comunità internazionale parli e agisca perché il silenzio rende complici. Quanto al Prc, oltre agli attestati di solidarietà, è necessario che faccia in modo che l’Italia e l’Europa operino per invertire la tendenza in Medio Oriente.


Il 18 novembre la manifestazione nazionale a Milano.

E’ importante manifestare per rispondere alla logica della guerra con la logica della politica e della pace. Non crediamo che la soluzione sia quella di passare da una guerra sbagliata ad una guerra giusta. Non ci sono guerre giuste. Con la manifestazione a Milano vogliamo rassicurare entrambi i popoli, i palestinesi e gli israeliani. Vogliamo rompere l’isolamento dei palestinesi, soffocati da una comunità internazionale silente e dai media che, soprattutto quelli italiani, non perdono occasione per giustificare le azioni di Israele. Vogliamo rafforzare chi in Israele ancora crede nella pace come soluzione e rifiuta la guerra. A chi il 18 scende in piazza a Roma, con una piattaforma che non contempla la formula “due popoli, due stati”, diciamo che i palestinesi non hanno bisogno di qualcuno che gli dica cosa fare. Hanno invece bisogno dell’attenzione di tutti, vanno aiutati in modo che non siano costretti a ricorrere alla resistenza. La resistenza è una costrizione, non è una cosa romantica.





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