[NuovoLab] "L'ipocrisia della pace" da Pagine di Difesa

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Autore: Edoardo Magnone
Data:  
To: forumgenova
Oggetto: [NuovoLab] "L'ipocrisia della pace" da Pagine di Difesa

Da "Pagine di Difesa" (testata giornalistica di politica internazionale e della
difesa) leggo che il MONDO MILITARE cercano di rimettere i puntini sulle "i"
attribuendo il giusto significato/valore alle parole come "Soldati di
Guerra", "Soldati di Pace" o "Missioni Militari di Pace"!

Pur essendo criticabile per una serie non trascurabile di motivi è un articolo
interessante perche fornisce nuovi elementi (visione interna/reale) dell'umore
che circola nel "mondo militare" tra i soldatini italiani forse esasperati dal
dover imbracciare fucili a ripetizione e guidare fregate da guerra in altri
lidi... ed essere, pergiunta, etichettati/benedetti dai vari governi come
"Pacifisti" e "Portatori di Pace".

Etichette che, a detta da fonte interna, "i soldati aborriscono"!!


Cordialmente,
Edoardo Magnone


PS. Aborrire: provare un forte sentimento di orrore per cose ripugnanti!



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http://www.paginedidifesa.it/2006/iannarelli_061109.html

"L'ipocrisia della pace"
Roberto Iannarelli, 9 novembre 2006

Negli ultimi anni locuzioni come 'missioni militari di pace', 'soldati di pace'
e persino 'ministero della Pace' al posto di quello 'della Difesa' (ritenuto
forse non sufficientemente pacifico) hanno trovato larghi consensi, purtroppo,
non solo in certe frange pseudo pacifiste ma più in generale nel linguaggio
politico e mass mediatico italiano. È necessario sottolineare come una tale
operazione, oltre a essere un inganno verso i cittadini, insinui un enorme
pericolo all'interno delle Forze armate.
Il soldato deve applicare un principio di avalutatività nell'esercizio della
propria professione, rispettando solo le regole d'ingaggio e i principi
umanitari delle convenzioni e del diritto internazionali. In un paese
democratico, le valutazioni di altra natura, spettano esclusivamente alla
politica. Il giovane soldato, se da una parte è sottoposto a un addestramento
militare di durata relativamente breve, dall'altra subisce costantemente sia un
ormai consolidato processo di svilimento dei valori patriottici sia un più
recente fenomeno di condizionamento consistente nell'esagerata evidenziazione
del ruolo pacifico del soldato e della missione, ovvero della pace come unico
elemento giustificativo per imbracciare un fucile, sempre che questo sillogismo
possa avere una qualche coerenza interna.

Per commemorare il 4 novembre, il logo ufficiale della Difesa è stato quello di
un soldato donna che stringe fra le braccia un bambino. Sul mensile 'Il nuovo
giornale dei militari' altro soldato e altro bambino. A meno di non voler
sostenere che il soldato sia un automa, è necessario riflettere seriamente su
come la psiche dell'uomo soldato elaborerà questi due contrastanti messaggi e
sottolineare come il dubbio potrà pericolosamente insorgere anche nel momento
peggiore, quello della battaglia, pregiudicando la necessità di un'alta
prontezza operativa, del riflesso automatico al combattimento, mettendo in
grave pericolo sia se stesso che i commilitoni e gli eventuali alleati, che non
sanno a priori quanto chi gli sta affianco abbia più o meno ‘assorbito’ questi
concetti. Dubbio che si aggiungerà poi a quello di quanto potrebbe costargli un
fatale errore di valutazione sul campo di battaglia (accadimento fisiologico in
quei frangenti), come ben sanno quei soldati accusati di aver sparato a
un’ambulanza nella cosiddetta ‘battaglia dei ponti’ in Iraq.

Se invece si dà per assodato che il soldato non è un essere avulso dalla società
in cui vive e che deve obbligatoriamente essere interpretato nella sua sfera
psicologica, allora lo si deve salvaguardare dal costante e pesante
bombardamento tendenzialmente negativo e devalorizzante, in modo da non creare
divergenti interpretazioni sulle modalità di esplicazione del proprio ruolo
all'interno delle Forze armate e della società civile. Segnale d'allarme di una
situazione ormai giunta alla saturazione, è dato dal fatto che gli stessi
militari (si vedano recenti interviste a giovani soldati) parlano di loro
stessi con un linguaggio che non si addice a una forza combattente, bensì ad
altri meritori organismi che però nulla hanno da spartire con le Forze armate.
Perfino osservatori non particolarmente vicini ai militari hanno segnalato il
fenomeno.

Sarebbe bello poter risolvere il problema esercitando forme di censura, ma il
lavoro da fare è molto più lungo e faticoso, di carattere squisitamente
politico attraverso la ricostruzione morale e civile del nostro Paese. In caso
contrario, viene da domandarsi da dove attingeranno le future Forze armate i
loro soldati. Dai giovani no global, pacifisti, disobbedienti? E se parte di
questi giovani, per assurdo, si piegherà giocoforza a un lavoro come militare
per sbarcare il lunario, le Forze Armate e la nazione quale affidamento
potranno mai fare su tale personale?

O ci si dichiara totalmente pacifisti e si abrogano le Forze armate oppure si
accetta l'esigenza di avere ‘soldati di guerra’, il che certo non fomenterebbe
la creazione di truppe assetate di sangue o di mercenari, bensì darebbe al
Paese strumenti tecnici d'offesa adeguati. Quanto detto non significa che i
militari non possano essere impiegati in operazioni di peace-keeping o
peace-enforcing e neppure che non debbano essere in prima linea in caso di
calamità o in situazioni ove è necessaria una azione congiunta con le forze di
polizia. Le missioni militari di pace sono d'altronde sancite dal combinato
disposto degli articoli 41 e 42 della Carta delle Nazioni Unite e dall'articolo
11 della Costituzione italiana.

Significa invece che, dopo aver ribadito con forza che anche in questo tipo di
impiego devono essere garantiti ai militari tutti i mezzi strumentali, politici
e giuridici per esercitare il loro mandato in piena sicurezza, ben venga la
chiamata a questi compiti extra, purché nessuno (mass-media e mondo politico)
strumentalizzi il mondo militare affibbiandogli etichette che non gli competono
e che i soldati aborriscono.